Tredicesimo album per la prolifica ed originale band svedese che prosegue ormai sui territori prog-sperimentali che ci hanno regalato quel bellissimo “Pale Communion” di 5 anni fa. Ad introdurre la nuova musica, registrata e disponibile anche con cantato in lingua svedese, è la strumentale e spaziale “Garden of earthly delights”, mentre l’istrionico leader Akerfeldt sale in cattedra con “Dignity”, il single su cui è stata allestita una bellissima videoclip. Con “Heart in hand” sembra di ascoltare i leggendari primissimi Deep Purple nelle parti ritmiche ed insieme gli Uriah Heep nelle parti vocali, un pezzo arricchito da tanta maestria sulle sei corde, elettrice ed acustiche. Il sound dei 70’ domina anche la successiva “Next of kin”, composizione fin troppo pomposa ed articolata in cui si alternano momenti acustici ad altri epici. ”Lovelorn crime” ci riporta a certe ballate alla Kansas, un mid-tempo costruito al piano ed inserti di mellotron che innescano un bel guitar solo più moderno, ma resta una composizione senza clamori. “Charlatan” invece è un pezzo decisamente più dinamico e astruso, cambi di ritmo, tempi dispari sono il pane per denti progressivi ma difficilmente digeribile. Toni epici in “Universal truth” costruita su ricercate armonie vocali, saliscendi folkeggianti. Davvero più interessante ed originale la successiva “The garroter” che apre il folk al jazz con maestria disarmante, qualcosa di veramente riuscito e avvincente. L’iniziale ritmica di “Continuum” faceva presagire a qualcosa di molto originale e sperimentale ma il pezzo prosegue con tanti strappi elettrici e vocali, prevedibili. Il finale spetta a “All things will pass” ed è un grido al pericolo della tecnologia tradotto da un riffone epico, o che comunque vuol farsi ricordare. L’album non lo ricorderò però tra i loro migliori, perché esageratamente articolato ed ambizioso, forse.
Best tracks: “Dignity”, “Heart in hand”, The garroter”. 7/10