L’attesissimo nuovo album è uscito dopo 21 anni da “Up”. Il buon Peter ha sedimentato l’uscita per molti mesi facendoci ascoltare molti pezzi ivi contenuti anche attraverso un tour preprogrammato. Non sono mai stato un fan della sua musica ma non posso non riconoscerne lo spessore artistico ed il valore del personaggio sempre socialmente impegnato. Già l’equipe dei musicisti coinvolti lascia presagire ad un sound che non si discosterà dal passato, sono i suoi fidi: Tony Levin, David Rhodes e Manu Katchè, a cui si affiancano anche Brian Eno, Tom Cawley, Linnea Olsson e Paolo Fresu oltre alla New Blood Orchestra. La partenza è la cifra del disco pop che sostanzialmente è questo “i/o”, che mantiene anche le due sole lettere con cui firma da decenni i suoi album. “Panopticom” ha tutto per essere un brano vincente, refrain memorabile, arrangiamenti moderni ed impeccabili e la sua voce nel pieno della sua versatilità timbrica. “The court" è un pezzo molto più articolato ed in un certo senso complesso armonicamente. Un canto rap si mischia a controcanti in un contesto molto percussivo. “Playing for time” è un intimo inno alla “Here comes the food”, piano e orchestra di accompagno ma non ha certo la stessa forza e brillantezza. Anche “i/o” contiene gli ingredienti di una bella traccia d’annata e da canticchiare. Con “Four kinds of horses” si raggiungono vette più introspettive intorno ad un’atmosfera più cupa e misteriosa creata dall’intervento di Brian Eno ai sintetizzatori e ad arrangiamenti davvero sopraffini. “Road to joy” smorza le inquietudini precedenti e rimanda ai tempi di “Sledgehammer” con il lavoro chitarristico di David Rhodes in evidenza. Con l’intimistica “So much” rievoca le ballate piano e voce di Nick Cave. “Olive tree” rimanda agli eighties con tanti tromboni e sax. Di ben altra intensità invece “Love can heal”, vero gioello dell’album. Gabriel racconta con pathos sopra una bella ed ipnotica sequenza ai synth, voci celestiali e violini struggenti infieriscono incantevolmente. La percussiva “This is home” vuole sdrammatizzare con il suo ritmo afro. Tutt’altra atmosfera in “And still”, i rimandi sono alle sonorità anni ‘30 o ’40, forse quelli della madre a cui è dedicata la canzone. Orchestrazioni di altissima intensità e sequenze davvero coinvolgenti. La fine è affidata alla più solare  “Live and let live”, un inno percussivo ancora dal sapore afro. Insomma il repertorio di Gabriel in questo disco c’è tutto ed è magistralmente prodotto e arrangiato, i testi sono quelli che sempre lo coinvolgono: il tempo, la mortalità, la giustizia, le trasformazioni, la comunicazione e l’ambiente, naturalmente. Un disco che non fa però gridare al sensazionale ma al risentito.

Best tracks: “Four kinds of horses”, “Love can heal”, “And still”. 7/10

 

THE PINNEAPPLE THIEF will release the new album "It leads to this" on 9th february 2024

THE PINNEAPPLE THIEF in tour:
Date in Italy:  Milano, 07 marzo 2024, Alcatraz

HANS ZIMMER in tour:
Date in Italy:  Torino, 10 marzo 2024, Auditorium del Lingotto Agnelli, Milano, 27 marzo 2024, Teatro Lirico Gaber. Bergamo, 30 marzo 2024, Teatro Sociale. Udine, 18 maggio 2024, Teatro Nuoco Giovanni. Roma, 26 maggio 2024, Auditorium Conciliazione

 

 

 

Accanto a Roger Waters nell’ambito rock c’è un altro dinosauro, inesauribile dispensatore di onde musicali: è Jean Michel Jarre, il guru dell’elettronica che alla veneranda età di 75 anni sta sfornando regolarmente album di qualità pazzesca dopo aver attraversato un unico periodo arido e creativamente insoddisfacente tra il 2000 ed il 2010. A vederlo sembra ancora un ragazzetto, un po' come Steven Wilson (sebbene di parecchio più giovane… forse che la buona musica è il miglior elisir di giovinezza?), ma sembra più affamato che mai, di cosa? Io credo la sfida attuale che lo stimola sia quella di dimostrare di essere il migliore anche nella musica techno, di poter dire che la techno esiste perché lui l’ha originata e lui la può portare ai massimi livelli, forte della sua lunga esperienza. Un altro aspetto, forse più ludico, è quello delle collaborazioni con questa tipologia di artisti: è un modo intelligente, e proficuo commercialmente, di far conoscere la sua musica, il suo curriculum anche ai più giovani proprio con la “doppia firma”, E questo lo aveva già sperimentato con il progetto “Electronica”. Dopo l’Oxymore dedicato al suo mentore Pierre Henry in cui esplorava sentieri techno-industrial, ora rivisita alcuni di questi brani con l’ausilio di altre icone del genere, più o meno giovani. Chiamato in causa Martin Gore per “Brutalism take 2”, una creatura industrial, ruvida e selvaggia, con un ritmo serrato ma che contiene un motivo di quattro note che la fa ricordare, eccome. Un’ariosa sovrapposizione di voci sequenziate indicano la genialità di Jarre e Brian Eno, il brano resta sospeso in un climax di voci e versi davvero affascinante. Una “reprise di Brutalism” con Deathpact la configura in un ambito dance-trance, ossessiva e cavernosa, i suoni utilizzati sono fantastici. Un “Epica take 2” è composta assieme a French79 e ne esce una versione galattica: dentro un arpeggio vorticoso e bellissimo ed una miriade di voci accennate, ancora 4 note a dettare ossessivamente il tema portante, è l’apoteosi del sequencer. I vocalizzi sintetici sono ancora l’asse portante di “Synthy sisters take 2” che con Adiescar Chase ci apparecchia anche delle belle note di piano malinconico. Ora si sale di quota ritmica ed “Epica maxima” rappresenta un vertice della trance, firmata con Armin Van Buuren. Anche qui un utilizzo dei sequencer superlativo ed emozionante. “Sex in the machine” è rielaborata con la dj Kraviz. Non è nuovo il nostro Jean Michel ad un rilettura in chiave elettronica o sintetica dell’amplesso, di quell’energia misteriosa che costruisce poi la sensualità  descritta  con “Rely on me” (con Laurie Anderson) o “Erosmachine”. Ancora paroline e sussulti sintetizzati dialogano all’interno di un atmosfera ibrida  e scandita di una sola drum machine. La “Zeitgest take 2” con NSDOS è un trasboccante revival cibernetico mentre l'ultraterrena “Zeitgest Botanica” che chiude l’album è un vorticoso diluvio sonoro nell’ambito techno. Con Irene Dresel firma un altro capolavoro ricco di avveniristiche soluzioni elettroniche che solo un esperto ed incantato Jarre può immaginare e praticare. Un altro gran disco che ci ricorda di essere il numero uno quando si tratta di fare qualcosa con gli oscillatori e proiettarci nelle galassie sconosciute.

Best tracks: “Epica take 2”, “Epica maxima”, “Zeitgeist botanica”. 8/10

 

IN STUDIO FOR NEW ALBUM: AIRBAG, ASIA featuring John PAYNE, MOBY, THE PINNEAPPLE THIEF, DAVID GILMOUR, LEPROUS

NICK MASON's SAUCERFUL SECRET in tour:
Date in Italy:   Milano, 18 luglio 2024, Teatro Arcimboldi. Vicenza, 19 luglio 2024, Piazza dei Signori. Bologna, 20 luglio 2024, Sequoie Musik park. Roma, 21 luglio 2024. Auditorium Cavea. Caserta, 23 luglio 2024, Belvedere di San Leucio. Roccella jonica, 24 luglio 2024, Teatro al castello.

YES in tour:
Date in Italy:   Roma, 5 maggio 2024, La Nuvola. Milano, 06 maggio 2024, Teatro degli Arcimboldi. Padova. 08 maggio 2024, Gran Teatro Geox

TOTO in tour:
Date in Italy:   Perugia,17 luglio 2024, Arena Santa Giuliana. Ostuni, 22 luglio 2024, Foro Boario. Este (Padova), 23 luglio 2024 Castello Carrarese. Lucca 24 luglio 2024, Piazza Napoleone

RAMMSTEIN in tour:
Date in Italy:   Reggio Emilia, 21 luglio 2024, Arena Campovolo.

 

 

 

C’è un artista che a 55 anni ha già prodotto una discografia mastodontica tra collaborazioni, progetti solisti e paralleli, e le sue band; uno che ha già un libro autobiografico, uno che poi sembra somigliare a quei ragazzi ambiziosi che escono dalle cantine come dei nerd della musica, si, quelli tutti casa e musica. Sarà il suo aspetto pulito, non maledetto come tante rockstar si sono costruite o no volontariamente. Insomma di Steven Wilson ne escono rari soprattutto di questi tempi moderni, dove tutti rincorrono prima dei clichè e poi si interessano della loro musica. Steven Wilson è la musica, ovviamente parliamo di un contesto di musica, ma che lui ha e sta esplorando come un vero nerd appassionato. Solo nell’intervallo “pandemia covid” ha lavorato alla “rinascita” dei Porcupine Tree e a ben due progetti solisti: “The future bites” e questo nuovissimo “The Harmony codex”. Come dire: non sarà certo una pandemia a fermarmi, anzi. La sacrosanta libertà artistica che serve a Wilson per spaziare nel vasto universo musicale rappresenta  anche il carburante per innescare nuove idee e nuove collaborazioni con musicisti diversi. Dunque dal prog, e poi dal rock al pop fino all’elettronica tutto è consentito e quest’ultimo lavoro mi appare come una condensa di quanto fatto finora. “Inclination” ha una prima parte strumentale, bellissima, con un ritmo house in cui si incrociano synth, trombe ed effettistica varia e poi decollare con il cantato di Wilson che rimanda alle sonorità pop di “To the bone”, insomma potrebbe essere un jazz ellettro-pop! Sono intervenuti tra gli altri David Kollar, Adam Holzman, Theo Travis, Pat Mastellotto, Nate Navarro, Nils Petter Molvaer. “What life brings” invece è suonata quasi interamente da Wilson (che torna a dimenarsi anche alla chitarra solista), a parte la sezione ritmica affidata a Craig Blundell e Guy Pratt. Un piacevole singolo. Su “Economies of scale” compie un gran lavoro di elettronica coadiuvato dal solo Holzman, il pezzo ha reminiscenze alla Tears for Fears ed è davvero interessante con il suo velo onirico. Eccoci alla lunga “Impossible Tightrope” che parte con orchestrazioni cinematiche e poi il batterista Nate Wood mena le danze in un vorticoso giro di giostra prog in cui hanno il sopravvento il sassofono di Travis prima ed il piano elettrico di Holzman dopo. Nel finale vanno apprezzati gli intrecci delle singole tracce, synth, orchestrazioni e solos. Tanta roba! Dopo un pezzo così impegnativo segue la più lenta e malinconica “Rock Bottom”, un dialogo vocale tra Wilson e una superlativa Ninet Tayeb collegato da una chitarra gilmouriana. “Beautiful scarecrow” ha molti sentori Porcupine, così oscura e profonda, e non a caso chiamato in causa il bassista  Nick Beggs. Comunque da rilevare il bellissimo lavoro ai synth percepibile con attento ascolto. Ammetto che “The harmony codex” mi ricorda “Daydreaming” dei Radiohead un viaggio ipnotico senza fine, passaggi da una porta all’altra come nelle stesse video-clip. Una sequenza ripetuta ma asciutta, variazioni o condimenti pochi o nulli. “Time is running out” è condotta prima da un arpeggio pianistico e poi da un groove ritmico, tutto fatto  da Wilson, però resta sospesa e poco convincente. Nel cantato rap di “Actual brutal facts” si inseriscono bellissime sonorità alla “Fear of a blank planet” dei Porcupine, devo rilevare ancora il gran lavoro ai synth. Si giunge al gran finale, e che finale! “Staircase” rimarrà tra i pezzi più belli scritti da Wilson. Sequenze vocali straodinarie e una base eletronica ipnotica fanno esplodere una ritmica portentosa ed a cascata interventi solistici (bravo Niko Tsonev) emozionanti, il refrain è epico come l’intermezzo al basso di Nick Beggs, pazzesco! Giusta chiusura  con una sequenza ai synth degna del miglior Rick Wright di “Shine on you crazy diamond 2”. Sicuramente un altro bell’album, ricco ed articolato, così tanto da incidere forse sulla freschezza dell’idea compositiva, per questo ancora gli preferisco quell’ “Hand Cannot Erase” che aveva più pezzi memorabili.

Best tracks: “Inclination”, “Impossible tightrope”, “Staircase”. 8/10

 

JEAN MICHEL JARRE will release the new album "Oxymoreworks" on 03th november 2023.

PETER GABRIEL will release the new album "I/o" on 01th december 2023. 

PALLAS will release the new album "The messenger" on 15th december 2023. 

 

 

 

 

Il fenomenale polistrumentista sudafricano, noto per essersi ritagliato una parentesi nel lungo decorso degli Yes, esce dall’oblio del rock (dedicatosi esclusivamente alle Colonne Sonore) e produce il suo album solista dopo 11 anni dallo strumentale e variopinto “Jacaranda”. Si coadiuva del solo e fido batterista Lou Molino e scrive tanta nuova musica, di difficile definizione perché spazia nei generi più diversi. “Big mistakes” è la giusta opener, rock puro con tanto di refrain accattivanti, sentire la sua voce, quei cori, e quel solo elettrico ed elettrizzato finale rimanda subito al periodo eighties degli Yes (quel “90125”). “Push” ci dà una dimostrazione della sua abilità tecnica (pianoforte o chitarra non fa differenza) dentro un pezzo ben costruito e molto articolato, un folk-rock in cui intervengono addirittura mandolini e violini (di Charlie Bisharat), e la batteria di Vinnie Colaiuta. In “Oklahoma” esce fuori la sua esperienza in Colonne Sonore: pezzo dal sapore epico trascinato dalle orchestrazioni e poi un portentoso solo elettrico. La successiva e lunga “Paradise” contiene un lungo solo quasi slide, canti e controcanti in stile Yes e finale jazz ma non mi emoziona. Dopo la tirata ed astrusa “Thandi” in cui il buon Trevor sfoga una performance con l’elettrica al fulmicotone, si torna al folk slide di “Goodbye”. “Tumbleweed” poteva essere concepita solo dal suo genio e la sua maestria. Lungo gioco vocale che prende connotati jazzistici molto soft. “These tears” è una ballata lenta e malinconica, sapientemente costruita e suonata. Più sbarazzina “Egoli” in cui tornano le sue amate atmosfere folk. Il disco è chiuso da “Toxic”, non poteva essere un titolo migliore: un intreccio di blues e cori Yes legati dalla sua chitarra, un altro pezzo quasi inconcepibile per la sua struttura compositiva. Bello il duetto piano e violino nella bonus track “Spek & Polly” ed il jazz di “Georgia”. Insomma l’attesa è valsa, un disco ispirato e suonato divinamente, soprattutto chi ama questo musicista può restarne entusiasta.

Best tracks: “Big mistakes”, “Oklahoma”, “These tears”.  8/10

 

 

Avanza anche la carriera solista del talentuoso cantautore inglese negli intervalli degli impegni con i suoi The Pinneapple Thief. Sono momenti di riflessione, sulla vita e soprattutto sul tempo che scorre e la musica assume connotati intimistici in un impianto generalmente acustico. La vena melodica di Bruce è il suo marchio di fabbrica ed è inesauribile, già con l’opener “Dear life”, breve ballata chitarra, voce e orchestrazioni di fondo da canticchiare in spiaggia con falò. “Lie flat” aggiunge un ritmo campionato, la voce è riverberata, come stare in una giungla. “Olomouc” è condotta dalle orchestrazioni ed il cantato quasi dimesso. “So simple” fin troppo semplice ed inutile. “Never ending light” spolvera un delicato motivo ai synth ed interventi elettrici alla chitarra che impreziosiscono gli arrangiamenti orchestrali portanti. Un pezzo raffinato che resta però sospeso. Compiuta è invece “Day of all days”, altra ballata chitarra, voce e orchestrazioni che si fa ricordare e cantare. Ancora un motivo ai synth traina “Nestle in” che avanza con il  cantato di Soord lagnoso e coinvolgente. “Instant flash of light” resta troppo sugli stessi binari sonori già ampiamente ascoltati. La strumentale “Rushing” sembra voglia cambiare qualcosa e finisce per essere un intermezzo quasi da “Budda bar”. “Stranded here” vuole invece annoiare e “Read to me” è la sua quasi provocatoria prosecuzione. E se con “Find peace” Bruce cercava la pace credo l’abbia trovata e la solennità dei violoncelli finali lo confermano. Anche se il disco voleva essere così, lento, pacato ed acustico non ho trovato grandi idee compositive e mi risulta un po' troppo piatto.

Best tracks: “Dear life”, “Day of all days”, “Nestle in”. 6/10

 

 

Quando recensisco Roger Waters sono di parte, sia chiaro a chi dovesse leggermi. Mi innamorai di lui per la sua coerenza, il suo perfezionismo, la sua passione ossessiva fino ad essere sempre divisivo. Anche con questo progetto è riuscito nel (prevedibile) intento. Decide di rielaborare addirittura il capolavoro per antonomasia con una chiave completamente diversa, non certo smussando, aggiungendo o sostituendo… l’ha dichiarato, non vuole bagnarlo d’altro bensì asciugarlo, perché emergesse quello che ritiene oggi possa essere esaltato, soprattutto da un punto di vista letterario/filosofico. Nessun parallelismo dunque, solo la rielaborazione di un artista libero, ora più che mai. Vi coinvolge molti musicisti dei suoi ultimi tour e vi aggiunge quattro figure nuove, proprio scelte per tale progetto: Via Mardot, talentuosa del magico theremin, Johnny Shepherd, rinomato organista, la vocalista Azniv Korkejian, compagna del bassista Seyffert, e Gabe Noel, arrangiatore delle orchestrazioni. Anche nel suo ultimo tour ribadisce prima di ogni concerto il suggerimento a chi ostenta solo fanatismo floydiano di andarsene affanculo al bar perché lui utilizza la sua musica anche per fare politica, che piaccia o meno, questo è sempre stato. La musica di “Speak to me” parte tra cinguettii e folate di vento, musica si fa per dire perché in realtà inizia il monologo di Waters introducendo il testo tenebroso di “Free Four” del 1972, un parlato che dice: “I ricordi di un uomo in età avanzata. Sono le azioni di un uomo nel fiore degli anni. Ti trascini triste nella camera da ammalato. E parli a te stesso mentre muori” e poi “La vita è un breve, caldo momento. E la morte è un lungo e freddo riposo. Hai la possibilità di provarci in un batter d’occhio. Ottant’anni, con un po’ di fortuna, o anche meno”. Il ritmo secco, asciutto e cadenzato accompagna tutto il disco e “Breathe” si colora di un organo che si intreccia a delicate orchestrazioni, la voce di Roger è roca e stanca ma bella proprio per questo, in questo contesto, in queste parole. Parte l’elettronica rielaborata dai synth davvero sintetici e più bassi che menano il motivo di “On the run”, con Waters che racconta di un suo sogno astruso… è meno frenetica dell’originale, addirittura contiene un’apertura quasi cinematica di orchestrazioni. Direi bellissima. Sorprendente la rilettura di “Time”, asciutta, oscura, cadenzata…i pad emozionali si alzano per introdurre il cantato di Roger, pacato ed accompagnato dallo strimpellio di una chitarra acustica e poi cori e orchestrazioni. Il solo di Gilmour è rimpiazzato da un theremin sensazionale, da brividi. E poi quei profondi violoncelli… magica! Il bellissimo strazio vocale di “Great gig in the sky”  non c’è più, ma la morte viene lo stesso celebrata ed annunciata prima dalle campane e poi da un coro soffuso e filtrato che va ad intrecciarsi  con il nuovo racconto di Waters (una lettera di Kendall Currie, assistente del poeta Hall) accompagnato da uno stridente theremin. Il 4/4 di “Money” è ancora più lento e cadenzato, Roger non lo canta neppure, lo racconta accompagnato da lampi di archi profondi e davvero coinvolgenti. Insomma, super acustica e arrangiamenti sublimi. Non l’ho mai amata molto “Money” ma questa, così, ha il suo perché, la trovo meno banale, anzi, interessante. Cosa fare della perfettissima “Us and them”? Giustamente era già così lenta e bassa da non richiedere particolari interventi per questo redux, a parte l’accompagnamento vocale e le orchestrazioni a dargli una dimensione più regale. In “Any colour you like” un vibrante theremin dialoga con il violoncello, poi il basso, l’hammond insomma intervengono tutti gli strumenti come fossero colori dell’arcobaleno. Roger vi aggiunge che qualsiasi colore siamo, qualsiasi bandiera appoggiamo dovremmo però essere uniti nell’unica causa, l’unica bandiera in cui tutti dovremmo poi riconoscerci: la pace. La follia di registrare un nuovo “Dark Side” è il pretesto ironico con il quale metaforicamente introduce e descrive “Brain Damage”, la pazzia, il caos in cui sembra nel finale onirico assumere un senso, una logica come le stelle nell’universo, ognuna con una sua funzione all’interno di un unico progetto. E allora l’incedere di “Eclipse” può aprirsi, liberarsi e mostrare luce e buio, vita e morte insieme in un orchestra di meraviglia che non ha spiegazione ma solo contemplazione, un pò come gli occhi del cane in copertina. Voglio chiudere con le bellissime parole di Nino Gatti:Mai. Mai. Mai una volta che questa canzone riesca a lasciarmi gli occhi asciutti. Troppi i significati racchiusi, tantissimi i momenti da ricordare, innumerevoli i riflessi luminosi che la luna prova a nascondere offuscando il sole. E quel battito del cuore finale, che è vita ma anche tutto il contrario della stessa, ti indica ritmicamente che la puntina sta per finire il suo percorso tra i solchi delle emozioni. “There's no dark side of the moon really. In matter of fact, it's all dark”. Era la frase dell'irlandese Gerry O'Driscoll che chiudeva “Dark Side”. Gerry era il portiere degli studi Abbey Road; così come per altri personaggi (tra i quali i coniugi McCartney), era stato chiamato da Waters (ancora lui!) per rispondere a una serie di domande che sarebbero state spalmate all'interno del disco per rendere universali i temi delle canzoni. Waters decide di chiudere la “sua” Dark Side rispondendo direttamente al buon Gerry, volato nei cieli da qualche anno, con queste parole: “Ti dirò una cosa, Gerry, vecchio mio. Non è tutto buio, vero?”…”. Le battaglie e le ossessioni di Roger Waters ottantenne sono ancora sul palcoscenico, come anche sul palco della vita che ha vissuto costruendosi (forse per intercessione) come nessun altro l’immortalità.

Best tracks: “On the run”, “Time”, “Any colour you like”. 9/10

 

 

L’inarrestabile Luke dei Toto produce un nuovo capitolo solista nel mezzo di continui “live” con i Toto rimaneggiati nella formazione ma mai domi dopo tanti annunci di scioglimento. Lukather però chiama a sè i suoi amici/colleghi storici anche per i suoi progetti solisti: Simon Phillips, Lee Sklar, Shannon Forrest e naturalmente Dapid Paich con Joseph Williams. L’album è quella variopinta confezione di generi sempre molto vicini e che hanno caratterizzato la sua carriera solista e quella dei Toto. Troviamo due ballate (spicca “All forevers must end” e la blueseggiante “Take me love”), il blues portentoso di “Burning bridges”, il rock sostenuto di “Far from Over” e i classici Toto Style più o meno riusciti: “Someone”, “Not my kind of people” quelli bassi e quelli alti come “When I see you again” e soprattutto “I’ll never know”. Nulla di strabiliante o memorabile ma cosa chiedere di più a questo fenomenale chitarrista che suona per sè e per una folla di artisti da quasi 50 anni? Suona come sempre per il piacere di farlo.

Best tracks: “When I see you again”, “All forevers must end”, “I’ll never know”. 6/10

 

 

Dopo 10 anni tornano sulla scena recuperando il tastierista Sveinsson ed anche le sonorità ambient di “Valtari”. Abbandonati gli esperimenti quasi industrial di “Kveikur” il trio islandese dichiara di voler recuperare sonorità che emozionassero e commuovessero, nell’intento di proporre un ritorno all’Umanità ed alle proprie radici. Per questo la batteria si fa scarna ed essenziale e coadiuvati però da una vera orchestra (London Contemporary Orchestra). L’inizio è affidato a “Glod”, solenne intro orchestrale in una sospensione generale enfatizzata da intrecci vocali filtrati. La successiva “Blodberg” fa già rabbrividire la pelle: lento, lentissimo  canto sussurrato ed accompagnato dagli archi magnifici come magnifica la performance vocale di Jonsi. “Skel” prosegue nella stessa direzione, la musica è sempre più eterea, i vocalizzi vibrano lontani e poi si avvicinano sussurrati. Emozionante davvero. Le orchestrazioni di “Klettur” sono lievemente ritmate come un pulsare umano, una vita che si erge e si innalza maestosa come la voce che l’affiora carezzevole come l’organo che la consacra. L’incredibile “Mor” sembra l’inno di un organismo vivente indefinito, orchestrazioni sensazionali tessono un autentico capolavoro sonoro. Con “Andra” si sperimenta e si infiltrano elementi acustici sempre in una sfera sonora onirica. Jonsi costruisce in “Gold” un'altra preghiera emozionante con la sola voce e orchestrazione soffusa e lineare e che si immerge in una dimensione acquatica attraverso un sapiente utilizzo dei synth. “Ylur” ha un formato più classico anche nel cantato e sembra fungere da intermezzo per il gran finale. Le note riverberate di “Fall” incantano ed ipnotizzano in questo breve ma intenso gioiello sonoro che introduce la conclusiva e lunga “8”. Le scarne note del piano puntellano un motivo epico e supplichevole, ed il resoconto è nella sua seconda parte silenziosa, quasi inespressiva ma di pura contemplazione. I Sigur Ros firmano un autentico capolavoro sonoro che vuole elevare, purificare e riconciliare, cielo e terra, con profonde e suggestive radici.

Best tracks: “Blodberg”,“Skel”, “Klettur”, “Mor”. 9/10

 

BRUCE SOORD will release the new album "Luminescence" on 22th september 2023. 

STEVEN WILSON will release the new album "The harmony codex" on 29th september 2023. 

TREVOR RABIN will release the new album "Rio" on 06th october 2023. 

ROGER WATERS will release the new album "The dark side of the moon-redux" on 06th october 2023. 

BRUCE SOORD in tour:
Date in Italy:   Bologna, 05 ottobre 2023, Lokomotiv Clubo. Milano, 06 ottobre 2023, Arci Bellezza. Roma, 08 ottobre 2023, Auditorium Parco della Musica.

 

 

Incredibile nuovo lavoro degli YES, mai domi dopo le dipartite ultraterrene di Squire e White, quelle artistiche di Anderson e Wakeman, si riorganizzano intorno la storica figura del chitarrista Steve Howe, anche il tastierista Downes, il bassista Sherwood, il batterista Schellen e l’ormai fido alter ego di Anderson, tale Jon Davison. Howe sembra vivere una freschezza e brillantezza compositiva pari alla sua abilità strumentale e dopo l’ottimo “The quest” alza ulteriormente l’asticella. Le atmosfere pompose e sognanti sono il marchio di fabbrica della loro musica e che propongono già subito con il pezzo d’apertura “Cut from the stars”, il basso di Sherwood è agitato e pulsante ed è lo strumento che emerge e più mi impressiona, con il dialogo finale tra Howe e Downes. “All connected” rimanda al periodo d’oro dei Seventies, in cui la slide guitar tirava le redini del loro stile. Qui è Howe  nella sua totalità a dettare il pezzo tra un bell’arpeggio (leit-motiv), solistica e ritmica. Stellare e luminosissima è appunto “Luminosity”. Intrecci corali e strumentali che fanno rivolgere lo sguardo ad un cielo ricco di stelle, come canta un Davison capace di elaborare una melodia vocale davvero trascinante, come il motivo chitarristico di Howe. Tra i loro pezzi più belli di sempre. “Living out their dream” sembra più una jam session, nel senso il pezzo appare come una divagazione strumentale di ogni musicista senza un vero filo conduttore, probabilmente preparatorio (hanno riscaldato le dita) al capolavoro massimo che è “Mirror to the sky”. Suite di oltre 13 minuti che parte con un Howe sontuoso, una vera guida che a metà strada ci fa esplorare i sentieri intricati di archi e vocalizzi e poi ancora gli archi con la sua sei corde solista per un bel finale atmosferico e deciso dalle orchestrazioni. La conclusione è affidata ad una ballata acustica e discreta che racconta la circolarità del tempo. Ci sono anche 3 bonus tracks e sono belle anche quelle. Il Prog era la musica della sperimentazione e ad un certo punto si è fermato girando su se stesso. Gli Yes sono stati tra gli artefici  del genere ed hanno continuato a girare su se stessi ma quasi mai a vuoto (dopo oltre 20 dischi e tante vicissitudini!), fedeli al loro stile e fedeli al loro pubblico regalandoci grande musica, come in questo caso, ottimo tributo dedicato a White.

Best tracks: “All connected”, “ Luminosity”, “Mirror to the sky”. 8/10

 

ROGER WATERS will release the new album "The lockdown sessions" on 02th june 2023. 

PETER GABRIEL in tour:
Date in Italy:   Verona, 20 maggio 2023, Arena. Milano), 21 maggio 2023, Forum Mediolanum Assago.

 

 

 

Purtroppo mi duole constatare che i Virgin Steele, o forse meglio dire il mastermind David DeFeis, sono collassati nel limbo del più sterile dei deserti musicali. Dal 2000 qualche sporadico lavoro arido ed inutile a cui si aggiunge quest’ultima fatica, anzi strazio, perché di strazio si parla. L’epic metal di DeFeis è qui riproposto in 10 lunghe composizioni monotone e noiose tanto da indurmi ad evitare di descriverle singolarmente. Uno che come me ha amato il loro periodo di splendore (da “The marriage…” a “The house… ”) non può restare sconcertato e deluso da questo abisso che rappresenta questo nuovo disco, di cui salvo solo “Unio mystica”, giusto per dare un riferimento del loro stile e potenziale a chi non li conoscesse.

4/10

 

 

YES will release the new album "Mirror to the sky" on 19th may 2023.

SIGUR ROS will release the new album "Atta" on 16th june 2023. 

 

NICK MASON in tour:
Date in Italy:   Vicenza, 19 luglio 2023. Palmanova, 20 luglio 2023. Cattolica, 21 luglio 2023. Matera, 23 luglio 2023. Pompei, 24 luglio 2023. Gardone Riviera, 26 luglio 2023.

PORCUPINE TREE in tour:
Date in Italy:   Roma, 24 giugno 2023, Auditorium Parco della Musica. Piazzale sul Brenta (Padova), 25 giugno 2023, Anfiteatro Camerini.

MARILLION in tour:
Date in Italy:  Padova, 28-29 aprile 2023, Gran Teatro Geox.

RAMMSTEIN in tour:
Date in Italy:   Padova, 01 luglio 2023, Stadio Euganeo

 

 

 

Mick Moss ritorna con la sua band occasionale recuperando vecchi pezzi mai registrati ed inizialmente scartati. Dopo 5 anni dal buon “Black market…” quest’ultimo lavoro non nasce sotto i migliori auspici. Il leader sembra girare la minestra aggiungendo strumenti sorprendenti per il suo rock “dark” come il sassofono. Andiamo nel dettaglio: “No contact” è un classico Antimatter mid tempo ipnotico che esalta il cantato alla Eddie Vedder di Moss e coadiuvato di un bell’intervento di sax. “Paranoid carbon” contiene un lavoro di fondo ai synth, come nella successiva “Heathen” che aggiunge un sax incomprensibile in un contesto acido e distorto. “Templates” ha un inizio interessante alla Massive Attack ma poi si perde nei soliti territori. “Fold” è indubbiamente una bella ballata ma certo il cantato di Moss resta sempre lo stesso. Alza ancora l’asticella l’arpeggiata ed ipnotica “Redshift” che si avvale questa volta di un sax finale ed un flauto coinvolgente. Il flauto di “Fools gold” lascerebbe presagire un pezzo interessante che si rivela presto confuso. Neanche con l’elettronica di “Entheogen” si capisce la vera direzione, dopo l’anonima ed acustica “Breaking the machine” si chiude con l’elettrica “Kick the dog”. Purtroppo il problema della musica degli Antimatter, quindi di Moss, è Moss, il suo cantato monotono non rende onore alla sua bella timbrica e non basta mischiare gli ingredienti per fare un buon album, nonostante qualcosa di buono sia uscito dal pentolone.

Best Tracks: “No contact”, “Fold”, “Redshift”. 6/10

 

 

Questo nuovo lavoro che giunge dopo 5 anni dal precedente “Wasteland” può stabilire due aspetti: la band sta cercando un pubblico più ampio, un successo commerciale, e dal metal progressive da cui partirono sono giunti ad una formula più rock; e poi la grave perdita del chitarrista  Grudzinski nel 2016 è stata in realtà rimpiazzata dal tastierista Michal Lapaj, nel senso che le tastiere hanno ora il sopravvento ed il nuovo chitarrista Meller riveste un ruolo davvero marginale. L’apertura dell’album è un vero singolo che raccoglie perfettamente quanto finora ho espresso: “Friend or Foe?” sembra una hit anni ’80 con il cantato di Duda che usce come dall’ugola di Morten Harket degli A Ha. Il grande lavoro è tutto di Lapaji che costruisce ai sintetizzatori groove vincenti  e si lasciano ricordare. “Landmine blast” ha un bel giro di basso pulsante e la chitarra che avanza linee melodiche, sono i Riverside prima maniera. “Big Tech brother” è davvero travolgente, ritmica forsennata, riffoni e linee melodiche vengono agganciate perfettamente da un certosino lavoro ai synth di Lapaji. Gran pezzo, con spazio anche per Meller di lanciare echi di gilmouriana memoria ed un  finale incandescente che ricorda la bellissima “Echo” dei Leprous. “Post-Truth” e’ indefinibile nella sua composizione articolata e degna dei migliori Dream Theater. Arriva il pezzo più lungo e prog dell’album: “The place where I belong” è una giostra di atmosfere e funambolismi tecnici e stilistici. L’Hammond dei seventies si prende spesso lo scettro delle operazioni fino a quando Duda detta la melodia trascinante con un cantato in crescendo e molto evocativo. Dal sound dei 70  si torna ai Riverside più classici e granitici di “I’m done with you” che strizza l’occhio ai Porcupine Tree. “Self-Aware” è l’altro singolo che chiude l’album, un motivo ispirato che a tratti ha sentori reggae e poi finisce quasi galattica. Se “Id.Entity” voleva dare un identità definitiva alla musica dei Riverside non so quanto l’intento sia riuscito, a meno che aspirino ad  essere una band spaziale, nel senso libera di spaziare dove e quando vuole nello stile e genere. Perché l’album resta un saliscendi di diverse sonorità ed atmosfere. Io continuo a preferire i Riverside dei primissimi lavori.

Best tracks: “Big tech brother”, “Friend or Foe?”, “Self-Aware”. 7/10

 

 

Già con il precedente lavoro la band tedesca cercava soluzioni alternative, tentativi a non ripetersi, rinnovarsi sempre. Con questo nuovo album è abbandonata l’elettronica che aveva un pò troppo confuso e destabilizzato il loro sound e stile ma il risultato non cambia molto: apprezzabile il tentativo, ma bersaglio quasi fallito o, meglio, non proprio raggiunto. A parte qualche episodio, si resta su territori già battuti in lungo e largo e spesso senza “un filo d’Arianna”. Riff martellanti e arpeggi che tracciano la linea melodica, sezione ritmica travolgente e precisa al metronomo sono gli ingredienti base del loro Sound che qui cerca di connotarsi in una versione più Prog o, meglio, Metal-Prog. Si parte con le malinconiche note al pianoforte di “Enter: death box” che annuncia “Blades”, un vero marchio di fabbrica: chitarre ruggenti che dialogano e costruiscono continue soluzioni armoniche ed una ritmica serrata che non lascia respiro. Nella successiva “Kamilah” si annusa qualcosa di nuovo: prima una chitarra che stende una melodia e che apre a sua volta la porta ad una sequenza al fulmicotone, poi un delicato intreccio di arpeggi disegna invece un'atmosfera contemplativa e davvero coinvolgente che cresce di tono con un bellissimo fraseggio finale. I King Crimson affiorano con “500 years”, suoni distorti ed astrusi costruiscono un’atmosfera ipnotica in cui si staglia un lamento stridulo che esplode in una sequenza ritmica degna dei migliori Tool. “Sloth” è il pezzo più originale dell’intero album: geniale come un sax si inserisca in un contesto come quello già ampiamente descritto e lo fa in un modo splendido, sublime. Sax che inizialmente tesse la melodia e la stessa atmosfera incantata, e poi inizia a dialogare magicamente con una chitarra prima arpeggiata e che poi fionda in un sontuoso fraseggio solistico. Il duello chitarristico Jordan/Funtmann costruisce l’intera “Giants leaving” tra saliscendi continui. La dinamica e l'articolazione ritmica è costitutiva di “Blood  Honey”, che rimanda ai primissimi lavori ed a certi sentori Prog dei Gods is an Astronaut. Più ariosa è “Landless king” che sciorina una bella linea di basso e le celebri fughe chitarristiche. La finale “Eraser” è anche il testamento lirico dell’album: la lenta distruzione della natura e l’estinzione della specie a causa sempre dell’uomo. Un motivo arpeggiato ed ipnotico  traina il brano inizialmente tirato ma poi adagiato in una dimensione più struggente con l’utilizzo anche del violino. I pezzi sono belli, la cover art è bella, la produzione è notevole, eppure l’album non convince, non grida al capolavoro a cui invece potrebbero aspirare, perché suonano alla grande e cercano sempre l’esplorazione in un contesto musicale commercialmente difficilissimo. Al prossimo tentativo allora.   Best tracks: “Kamilah”, “500 years”, “Sloth”. 7/10

 

Ancora un mio "idolo" lascia questo mondo, il 4 dicembre 2022.

Nato a Berlino il 9 novembre 1952, è tra i miei chitarristi preferiti, autentico esploratore del suono, genio musicale, pioniere del Krautrock, ispirazione del movimento dance house e techno. Può bastare così.

Non ci saranno distanze quando mi sintonizzerò con la sua Musica. Grazie Man

 

 

 

 

 

https://youtu.be/spA2ixiF2wA

https://youtu.be/3ufTPzKooUo

https://youtu.be/vclDbbVQ4dU

https://youtu.be/iwkQtqQkq84

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Anche i Threshold arrivano alla soglia dei 30 anni d’attività, con diversi rimescolamenti nella formazione nel corso degli anni, in particolare al microfono, che segnala purtroppo la perdita prematura del buon Andrew McDermott. Dopo il capolavoro mastodontico di “Legends of the shires” si assesta alla vocals ancora Glynn Morgan e con ottimi risultati. Tra i tanti casi di band e musicisti che hanno ottenuto meno (successo) di quello che meriterebbero ci sono anche i Threshold: una discografia onestissima, un livello compositivo sempre alto ed un sound moderno e straordinariamente versatile. Il loro metal può ammiccare un’ampia platea perché spazia dal Prog, al Dark, all’Heavy con una compattezza ed equilibrio sbalorditivo. L’iniziale “Haunted” è subito tiratissima e travolgente con un ritornello mozzafiato e la caldissima ugola di Morgan a direzionare il pezzo anche su intermezzi più adagi ed intimistici. Non c’è tempo di appassionarsi per questa presentazione altisonante che la successiva “Hail of echoes” conferma quello che accennavo: straordinaria sinergia degli strumenti, tappeti tastieristici inappuntabili di West dialogano meravigliosamente con le chitarre di Karl Groom, sia ritmiche che soliste. Le pelli di James a tenere un dinamismo che è marchio di fabbrica e Morgan ancora più teatrale che mai. “Let it burn” parte  spaziale ma presto si assesta su un metal puro trascinato da un incredibile Morgan, decisamente dominante e coadiuvato da un gran lavoro tastieristico di Richard West. “Silenced” ha un sentore di Muse nel refrain con voce filtrata ed atmosfera futuristica seppur tirata e dinamica. I Dream Theater più melodici sembrano aver ispirato la bellissima “The domino effect”, che dire, brividi! Un refrain meraviglioso, una costruzione compositiva brillante e doppio guitar-solo per ogni gusto. No relax con “Complex”, suona massiccia come un classico senza stupire, nonostante West e Groom le provino tutte. “King of nothing” mantiene quanto detto per “Complex”, solo che qui è Morgan a dimenarsi su un pezzo compositivamente un pò scontato. “Lost  along the way” è un mid-tempo che fa il verso agli Asia prima maniera, come anche “Run”, del resto. La conclusiva “Defence condition” vuole essere una summa di quanto ascoltato finora: i toni si fanno epici con tastiere ariose e Groom che articola riff massivi ad emozionanti arpeggi che segnano il passo vocale di un Morgan sempre a suo agio. Non posso non segnalare il lavoro sempre ispiratissimo di West che dimostra sempre un certo gusto negli interventi e nelle scelte, tutte. Insomma, alla fine un altro bel disco che suona alla grande, magari non al livello compositivo del predecessore.  Best tracks: “Haunted”, “Silenced”, “The domino effect”. 7/10

 

 

Sono trascorsi ben 27 anni dall’esordio degli Arena in quel genere così variopinto qual’è il Progressive. La loro storia musicale cavalca un pò gli avvicendamenti alla voce: i primi lavori con Paul Wrighston erano Prog Marillion al 100%, poi Rob Sowden li dirottò verso un metal Progressive alla Savatage ed infine Paul Manzi ad un Prog più Aor, commerciale per così dire. Dopo 4 anni da “Double vision”, Nolan e compagni hanno deciso ad un'ulteriore virata chiamando alla nuova causa la più celebre ugola di Damian Wilson, uno che di band Prog ne ha girate in lungo e largo. Il timbro di Wilson è completamente differente da quello del buon Manzi, meno teatrale ma più duttile e acuto. Si parte subito con i vocalizzi di “Time capsule”, un pezzo travolgente che si fa cantare a squarciagola, un vero inno tra i saliscendi. La successiva “The equation” ha le magiche atmosfere dell’IQ sound, un Nolan in grande spolvero ai synth ed ai tasti d’avorio, un’interpretazione di Wilson magistrale con tanto di refrain vincente, peccato solo l’elettrica di Mitchell sia rimasta nell’ombra. Il livello resta altissimo con la ballata atmosferica di “Twenty-One grams”, anche qui un refrain sensazionale ed aperture tastieristiche, Wilson impeccabile e Mitchell in disparte. L’arpeggio malinconico della breve  “Confession” funge da intermezzo per la successiva “The Heiligenstadt legacy”, in cui Nolan tesse al pianoforte l’impianto che esplode nella drammaticità espressa dall’ugola di Wilson, ancora una volta superlativo. “Field of sinners” rievoca i vecchi Arena, quelli epici e prog tondi tondi, non a caso è la chitarra di Mitchell qui a tornare in auge. Con “Pure of heart” si resta su un sound familiare per gli Arena, saliscendi continui tra toni drammatici ed aperture più temperate. “Under the microscope” si dimena tra fughe tastieristiche e finalmente anche chitarristiche, e poi i soliti guizzi vocali di Wilson. “Integration” sembra essere l’apoteosi musicale di Nolan che traghetta il pezzo con lunghissimo fraseggio tastieristico dal sapore Yes. La marcia sincopata di “Part of you” è davvero bella, finalmente Mitchell inventa qualcosa e Wilson interpreta meravigliosamente. Brividi. La conclusiva “Life goes on” chiude nel modo migliore l’album: coesione perfetta tra i musicisti, un pezzo epico ed equilibrato nelle sue parti, in cui il solito genio di Nolan che puntella al piano per far esplodere un refrain trascinante come le corde elettriche ed ispirate di Mitchell. Ammetto che i picchi degli ultimi due pezzi elevano il mio gradimento di un album che fondamentalmente non si lasciava ricordare tra i migliori della loro discografia.  Best tracks: “The equation”, “21 grams”, “Part of you”, “Life goes on”. 8/10

 

 

C’erano già state avvisaglie con “Aero” e recentemente con “Amazonia”, tentativi forse incompiuti di ricercare qualcosa d’innovativo nella Musica Elettronica. Già questo sembra essere un ossimoro. Spingersi oltre, o forse meglio, insieme alla tecnologia sempre più veloce e velocemente: la Realtà Virtuale o Metaverso. I 74 anni del principesco Jarre sono a disposizione per ulteriori esplorazion,i non certo ad assestamenti o nostalgici riepiloghi, d’altronde non si è giganti per caso! “Come Vivaldi è stato grazie al violino, Fellini e Tarantino grazie ai fratelli Lumiere”, così Jean Michel si identifica nell’inseguimento della velocissima tecnologia più immersiva. “Oxymore” è dedicato al suo ispiratore Pierre Henry, “Oxymore” è neologismo sincratico di “Oxy” (dal suo Oxygene”) e “more” (di più), quindi ancora più ossigeno alla sua Musica! L’Optical Art di escheriana memoria è scelta a supportare l’esperienza visiva, già dalla copertina. Armarsi della migliore ed ultima attrezzatura diventa fondamentale per apprezzare i dettagli sonori (in multicanale!) di cui ha voluto immergerci questo straordinario artista, perché qui si tratta di una vera “esperienza uditiva”, insomma, quantomeno con delle buone cuffie! Si parte con i ticchettii ambient e la voce di Henry di “Agora” per introdurre la “title track” dell’album. Qui vi fa esplodere tutta la potenza comunicativa di questa vera esperienza musicale: un intreccio incredibile di pennellate alla Pollock magistralmente misurate tra sampler, sequencer e punteggiature percussive per firmare un quadro rappresentativo di un Universo sconosciuto e vorticoso. “Neon Lips” sembra una rielaborazione dei primissimi “studi” di Jarre quali “Erosmachine”, “La cage” o “Happiness is a sad song”. “Sonic land” è una vera apologia dello jarrismo: pad, violini, sampler ritmano all’interno di un ambiente industrial e crepuscolare. Nella bellissima  “Animal Genesis” compare in modo più massiccio il sequencer che danza in una marcia ipnotica e cupa, quasi siderale. Con “Synthy Sisters” si torna alle sonorità di “Neon lips”. “Sex in the machine” ha un motivo “mantrico” che sostiene innumerevoli “pennellate sonore”. “Zeitgeist” sembra cavalcare lo spirito dei tempi, i nostri: voci ed informazioni che si intrecciano e confondono con un ritmo quasi dance. Con “Crystal garden” si torna ad un ambient sempre più asciutto e robotico. “Suoni selvaggi” introducono la giungla di “Brutalism” in cui innumerevoli versi animaleschi sembrano dialogare magistralmente. La tecno-ambient “Epica” è degna conclusione di questa fantastica opera musicale, di una musica che verrà, forse con tante incertezze sulla stessa ma non certo sul genio creativo di Jarre che ancora una volta ha centrato il bersaglio al suo ennesimo “esordio”!  Best tracks: “Oxymore”, “Sonic land”, “Animal genesis”. 8/10

 

 

Anche questo nono album non rende giustizia al potenziale della band, e non si avvicina neppure a quelli che potevano essere i loro gioielli più compiuti: “Resistance” e “The 2nd law”. I pezzi di 3-4 minuti spaziano nel loro repertorio musicale cercando di accontentare tutti, ma, forse, non loro. Eppure le ambizioni le hanno sempre avute: i loro testi o temi sono sempre impegnati ed anche in quest’ultimo lavoro non sono da meno. Dall’abuso delle macchine distruttrici, la lotta all’autoritarismo dei governi, il mondo del metaverso fino appunto alle forme di paura che stanno governando le vite delle persone: pandemie e situazione globale del pianeta. Già con la title track “Will of the People”, Bellamy incita i popoli a ribellarsi, ad autodeterminare il proprio destino. Musicalmente il pezzo più tirato, un metal alla Queen. “Compliance” è un pezzo molto più interessante in una ritmica ’80, con tanto di DX7. Contiene dei passaggi ed arrangiamenti elettronici geniali mentre Bellamy canta “rappato”. La successiva “Liberation” è un inno ai Queen in toto, “Won’t stand down” ha i riff granitici di album come “Absolution”. Con “Ghost” si procede ad una stasi contemplativa: Bellamy in bella mostra al piano ed alla voce, da brividi. Interessante anche l’organo onirico nella moderna “You make me feel like it’s Halloween”, uscita come dal repertorio di Claudio Simonetti. Con “Kill or be killed” si torna alle sonorità tirate di “Absolution”, in cui si può apprezzare uno splendido lavoro chitarristico di Bellamy. L’arpeggiata ed ipnotica “Verona” regala momenti di alto lirismo e pathos. “Euphoria” vuole condensarsi di epicità  ma resta fondamentalmente scanzonata e facilotta, con un refrain parecchio banale. L’elettro-punk di “We are fucking fucked” chiude questo album di protesta, piacevole ma nulla di più.    Best tracks: “Compliance”, “Ghost”, “Verona”. 7/10

 

ROGER WATERS in tour:
Date in Italy:   Milano, 27-28-31 march 2023, Mediolanum Forum Assago, 01 april 2023, Mediolanum Forum Assago.  Bologna, 21 april 2023, Unipol Arena, 28-29 april 2023, Unipol Arena.

MUSE in tour:
Date in Italy:   Roma,18 luglio 2023, Stadio Olimpico. Milano, 22 luglio 2023, Stadio Meazza.

RIVERSIDE will release the new album "ID.Entity" on 20th january 2023.

 

 

 

I misteri della mente, l’anima che fluttua nello spazio, il corpo che insegue il tempo… è tutta l’immaginazione che costruisce la musica di Schulze o tutta la musica di Schulze che costruisce l’immaginazione nel suo angolo massimo? L’espressione musicale di Schulze  è certamente quella più spaziale che l’immaginazione possa produrre o farsi produrre, quindi la perdita dello spazio e del tempo è la condizione “sine qua non”. Klaus Schulze ha lasciato questo mondo poco prima la pubblicazione di questo suo ultimo viaggio cosmico e per questo ne diventa il Suo Testamento. Ascoltare questa Musica diventa un’esperienza extra-sensoriale, un culto emotivo più forte ancora di tutta la sua lunghissima discografia. Il Padre della Musica Elettronica, il pioniere del Krautrock, il guru intergalattico ha fatto diventare “stereotipo di consumo” il viaggio musicale di oltre 30 minuti in cui (parafrasando Piero Scaruffi) timbri di synth e ritmi sintetici  si intrecciano  e si dilatano fino ad imbastire una sospensione ineluttabile delle vicende terrene. Parlare di Schulze significa esporsi “all’esperienza Schulze” e così consapevoli ed entusiasti è possibile far partire quest’ultimo meraviglioso viaggio. “Osiris” ci immerge molto lentamente nell’universo sonoro dell’artista, tappeti sonori dilatatissimi cominciano a bollire con un sequencer appena accennato, uno che va ed uno che viene dentro un’atmosfera sospesa e ripetuta, volumi che si alzano e si diminuiscono senza però che accada nulla di diverso. La successiva “Seth” ci proietta immediatamente dentro scontri cosmici e già le prime sequenze di accordi costruiscono lentamente la tela sonora in cui si infrange d’incanto il primo sequencer. Questo è un momento toccante e straziante: le immagini si condensano e si moltiplicano in un ritmo accennato ma efficacissimo. Alcuni accordi cominciano a farsi insistenti, più alti in un piano sonoro in cui regna sì l’attesa ed un pò di inquietudine ma, nonostante tutto, un paesaggio confortante. Improvvisamente tutto si spezza, tutto è frenato, ed è un violoncello (di Wolfgang Tiepold) ad indicarne il bivio: siamo nel bel mezzo di eventi stellari in cui è possibile alla fine riprendersi ma solo sull’avanzare ipnotico di un nuovo sequencer che avanza sugli inserti timbrici di quel violoncello straziante quanto emozionante fino al suo esaurimento. Siamo di nuovo catapultati dove avevamo iniziato ma qui il violoncello esaspera i pad finali di questo pezzo dalla bellezza inaudita. “Der hauch des lebens” è davvero il battito della vita. Siamo dentro luoghi siderali, freddissimi, ai margini del sistema solare. Suoni di synth stratificati che si ravvivano da un altiscendi al sequencer di cui Schulze è maestro incontrastato e acutizzati dalla voce di Maria Kagermann. Non ci si rende conto come tutto sembra sia cambiato e cresciuto, nonostante tutto sia rimasto invariato nei sedici minuti trascorsi. Allo spegnersi del sequencer però sembra davvero tutto stia morendo, minuti flebili  e desolanti, indecisi da un nuovo sequencer che riparte ma con  synth incerti, stramazzanti fino alla solennità di un altissimo pad che si erge ad indicarne la fine, come un organo da chiesa. Se Klaus Schulze ha voluto descrivere o immaginare la sua morte, non c’è riuscito perché questa Musica resterà immortale. La ciclicità così ridondante nella sua Musica è la ciclicità rappresentata nella grafica di questo suo testamento. Se un’anima potrà fluttuare ancora vagante nello spazio certamente quella potrà essere dell’artista tedesco o di quelli che così l’hanno sempre immaginata. Grazie intanto di questo capolavoro, tua opera magna.   Best tracks: “Seth”, “Der hauch des lebens”.  9/10

 

JEAN MICHEL JARRE will release the new album "Oxymore" on 21th octobert 2022.

 

 

 

L’evento più insperato ma anche il più atteso è accaduto il 24 giugno,  gli inossidabili fan (io per primo) dei Porcupine Tree sono stati premiati. A 13 anni di distanza dal loro ultimo “The incident” possiamo gustarci un loro nuovo lavoro, indipendentemente dal livello qualitativo. Una band di culto si ama a prescindere e loro sono stati i migliori rimodulatori del sound floydiano, gli unici a ricrearne uno stile proprio su quelle radici così leggendarie e nobili. Il merito è inequivocabilmente del loro guru Steven Wilson che esattamente 30 anni fa faceva partire il viaggio che raccoglie il meglio della psichedelia, dello space-rock, del metal, del prog e dell’elettronica. E’ partito per gioco e da solo, poi si è unito un batterista molto dotato, Chris Maitland, un tastierista (atipico) già noto con i Japan, Richard Barbieri, ed il bassista Colin Edwin. Li ho conosciuti all’inizio del loro successo, era il 1996, subito dopo l’uscita di “The sky moves sideways” ed a ridosso del successivo “Signify”, li ho conosciuti nella città che li ha fatti esplodere: Roma. A Roma la radio locale Radio Rock  li ha accompagnati al successo, già con i primi concerti… sette anni di crescita esponenziale in tutta Europa fino al cambio di batterista che li ha portati per altri ulteriori sette anni alla consacrazione, fino a conquistare anche l’America. Il mito del nuovo batterista Gavin Harrison ha certamente creato un ulteriore livello, non solo musicale. La bellissima carriera solista di Wilson ha addolcito questi lunghi 13 anni di silenzio della band che ha approfittato del lockdown da pandemia per riorganizzarsi, senza il bassista Edwin, ritenuto disinteressato anche a livello compositivo. Wilson rimprovera proprio nel torpore compositivo degli altri componenti il motivo che ha segnato la lunga pausa produttiva della band. In realtà è stato evidente quanto Wilson cercasse nuovi stimoli e sperimentazioni con nuovi musicisti che gli estendessero il bagaglio musicale e gli innescassero una brillante carriera solista. Con i ruoli definiti di Harrison alla stesura delle ritmiche, Barbieri a pitturare le atmosfere e Wilson alle composizione (si occuperà anche di tutte le linee di basso), i tre musicisti hanno dato qui tutti il loro apporto creativo. Proprio l’iniziale “Harridan” (primo singolo) rappresenta al meglio il “core” dell’intero album. Basso e batteria funky dettano una ritmica che sarà la struttura portante non solo di questo pezzo, le melodie sono asciutte, scarne e tanti sono gli strumenti che si inseriscono ma sempre solo accennati.  Dalla seconda metà riffoni metal si incrociano con i suoni lisergici di Barbieri che rimandano ai primissimi fasti della band. E’ un pezzo astruso e sinistro che finisce con il cantato struggente di Wilson dopo un bellissimo lavoro al sequencer di Barbieri. La successiva “Of the new day” è la ballata che non deve mancare in un disco Porcupine Tree: la linea melodica  (molto bella) è imbastita subito alla partenza dal cantato di Wilson, atmosfera nostalgica sconquassata da qualche sterzata chitarristica incrementata dalle aperture sonore di Barbieri. Non è scontata e prevedibile forse, ma meno coinvolgente di una "Lazarus" o "Shesmovedone". “Rats return” è una traccia "politica" nella quale Wilson invita a non fidarsi mai troppo dei politici che ci governano, il risultato è ovviamente un pezzo  molto sostenuto che rimanda proprio a quel “The incident” e alle prime produzioni soliste di Wilson, in cui i riffoni vengono alternati a cori onirici. La successiva “Dignity” è un'altra ballata che rimanda da subito alle atmosfere di “Lightbulb sun” e “Stupid dream”: ha un bel refrain (riproposto alla fine anche al piano), slide guitar, potente mellotron e fantastico motivo al sintetizzatore di Barbieri, in un certo senso può richiamare anche a quella bellissima “Perfect life” di “Hand cannot erase”, ma qui c’è tanto di più  a livello compositivo  e sonoro. “Herd culling” potrebbe stare dentro un album come “In Absentia”, ma mi ricorda tanto le bellissime esplosioni di “Open car” in “Deadwing”, gran lavoro di tutti i musicisti che trovano le idee giuste per il pezzo che vede anche il primo (e breve) solo chitarristico di Wilson nell’album. “Walk the plank” invece sembra uscita dagli ultimi album synth-pop di Wilson, privo di chitarre ma ricco di soluzioni ai sintetizzatori, in un atmosfera sospesa che vede il magistrale lavoro di Barbieri, l’abilità di Harrison ed una bella performance vocale di Wilson. Si giunge al capolavoro finale che si chiama “Chimera’s wreck”: Wilson avanza un motivo struggente arpeggiato alla chitarra con tanto di falsetto sul cantato. L’atmosfera cresce e si fa sempre più frenetica, si fanno sentire i tamburi titatissimi di Harrison, improvvisa penetra una chitarra tagliente con tanto di wah wah, in levare è poi richiamato il motivo trascinante. Il basso pulsa forte come l’intera linea melodica riproposta negli accordi chitarristici finali, maledettamente belli. Un bonus disk regala l’intero album in versione solo strumentale ed altri tre pezzi degni di nota: “Population 3” è uno strumentale total guitar oriented che ricorda cose contenute nell’epoca “Signify”, ipnotica e malinconica. “Never have” sarà stato uno scarto di “The incident”, un pezzo articolatissimo, ricchissimo di sfumature e variazioni ritmiche ma non per questo meno coeso o meno bello, anzi. “Love the past tense” sembra un pezzo uscito dagli Yes di “90125”, il refrain è trascinante grazie anche ad un poderoso mellotron, il lavoro chitarristico è straordinario, le dilatazioni sonore finali da brividi. Com’è possibile relegare fuori dall’album tre pezzi così riusciti e brillanti? Perché profondamente diversi dalle caratteristiche di un album  costruito essenzialmente su una poderosa e articolatissima sezione ritmica (Harrison è quasi ingombrante) e priva di orpelli, le linee melodiche sono scarne e l’ascolto è difficile perché mai scontato, mai prevedibile. Come la grafica, così essenziale e  minimal, ma anche impegnativa perché ogni riquadro bianco vuole spronare l’immaginazione di ognuno a completare interamente le immagini inserite. I Porcupine Tree si sono fatti difficili, sospesi ed impegnativi, ma non sempre convincenti. Tante idee (anche buone), costrette ad essere cucite, in modo brillante certo si, ma in un periodo così lungo da indebolirne l'originalità e la freschezza compositiva.   Best tracks: “Harridan”, “Dignity”, “Chimera’s wreck”. 7/10

 

ALAN PARSONS will release the new album "From the new world" on 15th july 2022.

PORCUPINE TREE in tour:
Date in Italy:   Milano, 24 ottobre 2022, Forum Mediolanum Assago.

 

 

Il seguito del loro capolavoro del 2019 pone subito due quesiti: sarà davvero l’ultimo? I pezzi contenuti sono solo gli scarti del precedente? Premetto subito che dopo un paio di ascolti non ho riscontrato picchi entusiasmanti e neppure novità o freschezza compositiva. I testi ed il climax generale dell’album lascerebbero presagire effettivamente una fine del progetto Rammstein. Il metal pesante ingerito in un' accennata elettronica è il marchio di fabbrica della band tedesca guidata dal leader carismatico Till Lindemann e questo nuovo capitolo consolida pienamente questa formula. L’introduttiva “Armee der tristen” è un epica avanzata verso il nocciolo successivo ma centrale dell’intero album: il Tempo. Le liriche di “Zeit” raggiungono fulgide vette, emozionanti e profonde come tutta la prosa a cui Lindemann ci ha abituati. Ad accompagnarle ci sono ovviamente i cori e le note di un bel pianoforte che non si adombrano neppure dietro i soliti riff roboanti. La successiva e notturna “Schwarz” non decolla mai nonostante sia stato cercato un giusto equilibrio tra metal e motivo pianistico. “Giftig” mi richiama subito al sound dell’album precedente (“Auslander”, “Radio”…), pesantissimi riff che dialogano con un motivo tastieristico, in un'atmosfera spaziale. “Zick zack” è un ottimo single, ha tutto: dinamica, refrain vincente e addirittura accompagnato alle tastiere per farsi ricordare meglio, come avveniva negli eighties. L’incisiva ed esplosiva “OK” ha una ritmica quadrata e notevoli interventi al sintetizzatore. In “Meine trainen” Lindemann racconta di un metaforico “Vivo ancora con la mamma” per indicare le difficoltà nell’assunzione delle proprie responsabilità ed affrontare l’imprevedibile (“Un uomo piange soltanto quando sua mamma muore”) . “Angst” parla dell’angoscia ma musicalmente non ha nulla da sottolineare. “Dicke titten” sembra sia stata scritta per me: la ricerca di una donna senza talenti particolari ad eccezione di grandi seni. Anche in questo caso, musicalmente nulla da segnalare (a parte l’inserimento di un nostalgico motivo alla radio). Di musica si torna  a parlare con “Lugen”, il pezzo decisamente più interessante: cadenzate e delicate gocce sintetizzate vengono sovrastate magnificamente da una tempesta elettrica,  ma soprattutto da un sontuoso, evocativo, straziante Lindemann, che utilizza anche un vocoder per imprimere a perfezione il messaggio (di un bugiardo!). I Rammstein ci lasciano davvero con “Adieu”, il tono è ancora epico quanto scontato almeno,  speriamo solo, musicalmente.    Best tracks: “Zeit”, “Zick zack”, “Lugen”. 7/10

 

ZEIT

Dopo di noi ci sarà il prima
La giovinezza si trasforma in difficoltà
Continuiamo a morire, finché viviamo
Morire vivendo nella morte
Andiamo alla deriva verso la fine
Nessuna sosta, solo andare avanti
Sulla riva attende l’infinito
Prigionieri così nel flusso del tempo

Per favore fermati, fermati
Tempo
Dovrebbe sempre andare avanti così

Il corpo caldo diventa presto freddo
Il futuro non può essere evocato
Non sopporta la permanenza
Creato e immediatamente distrutto
Giaccio qui tra le tue braccia
Ah, potrebbe essere per sempre!
Ma il tempo non conosce nessuna pietà
Il momento è già passato

Tempo
Per favore fermati, fermati
Tempo
Dovrebbe sempre andare avanti così
Tempo
È così bello, così bello
Ognuno conosce
Il momento perfetto

Tempo
Per favore fermati, fermati

Quando la nostra ora è giunta, allora è tempo di andare
Smettere, quando è il momento migliore, gli orologi si fermano
Il momento è così perfetto, ma il tempo continua a correre
Aspetta un attimo, non sono ancora pronto

Tempo
Per favore fermati, fermati
Tempo
Dovrebbe sempre andare avanti così
Tempo
È così bello, così bello
Ognuno conosce
Il momento perfetto

 

ARENA in tour:
Date in Italy:   Milano, 08 october 2022, Phenomenon (Veruno).

MUSE in tour:
Date in Italy:   Firenze, 17 june 2022, Firenze Rocks, Milano, 26 october, Alcatraz.

RIVERSIDE in tour:
Date in Italy:   Milano, 09 september 2022, Live Club (Trezzo sull'Adda).

ARENA will release the new album "Theory of Molecular Inheritance" on 21th october 2022.

 

 

Ricordo gli appuntamenti della mia gioventù con "Ottava Nota" su TVA40 (una tv locale romana), erano sacri, imperdibili.

Un personaggio chiave per la mia crescita musicale è spirato il 9 maggio all'età di 67 anni.

Mi ha fatto divertire e non mi ha mai spaventato, come amava prendere e prendersi in giro, fino al suo delirio.

 

https://www.youtube.com/watch?v=n8_eb0HZMGI

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il chitarrista degli Airbag si è saputo creare una consolidata carriera solista senza che compromettesse la produzione della band madre (e lo abbiamo visto con il loro ultimo stupendo album). Ciò che sorprende è la qualità costante dei suoi lavori e questo quarto ne rende testimonianza. E’ vero anche che dal chitarrista più gilmouriano vivente non si possa pretendere anche una genialità compositiva, nulla del suo materiale esce dai canoni che hanno reso celebre i Pink Floyd. Su basi atmosferiche, lente e distinguibili si scaglia la chitarra sferzante  e tagliente di Bjorn. L’iniziale “Run” contiene appunto i saliscendi, le atmosfere e l’aggressività di “Animals”, in un perfetto equilibrio tra elettrica ed acustica. “Lay me down” poteva essere un pezzo da “Identity” (album capolavoro degli Airbag) a tutti gli effetti, il chitarrismo di Riise (suona anche le tastiere) traina e coordina sempre, cambia solo il vocalist che non è Tolstrup ma proprio Bjorn con l’apporto di Mimmi Tamba. Le note di piano introducono “The siren” ma non spostano di una virgola lo schema di una ballata malinconica. Un sentore di “Pigs on the wing” pervade a tratti “Every second every hour”, il cantato narrativo di Riise è accompagnato da un bel mellotron ed alcuni spunti strumentali notevoli, come un bel giro di basso a metà pezzo. L’anonima “Descending” apre la pista alla finale “Everything to everyone”. Altra ballata costruita nel modo prevedibile che abbiamo già descritto. E’ proprio la prevedibilità il tallone d’achille di questo album (e forse anche dei precedenti), la formula è vincente e godibile, ma prevedibile ed alla lunga annoia.     Best tracks: “Lay me down”, “Every second every hour”. 7/10

 

 

PLACEBO in tour:
Date in Italy:  Firenze, 17 June 2022, Firenze Rocks. Mantova, 29 june 2022, Piazza Sordello. Milano, 27 october 2022, Mediolanum Forum Assago.

RAMMSTEIN in tour:
Date in Italy:   Torino, 12 july 2022, Stadio Olimpico grande Torino.

MUSE will release the new album "Will of the people" on 26th august 2022.

THE CURE will release the new album "Songs of a lost world" on september 2022.

 

 

 

Forse uno dei pochi ad aver apprezzato quel “Loud like love”, da allora sono trascorsi ben nove anni e sono successe parecchie cose. La defezione dell’ultimo batterista Steve Forrest e la necessità di rinnovarsi anche attraverso un modo compositivo diverso prima di riproporre ancora una collezione di canzoni solo per soddisfare le case discografiche. Un processo lungo ma che ha premiato il capriccioso Brian Molko, rimasto ancorato alle sue turbe esistenziali e che vengono ribadite anche in quest’ultimo lavoro. I rampolli prediletti di Bowie hanno partorito nuova musica davvero ispirata e godibile, e ad affiancare il duo Molko/Olsdal compaiono due nuovi batteristi e due programmatori. L’inizio presenta un tris di pezzi in pieno stile Placebo da cui esce il single “Beautiful James” con il suo motivo al synth ripetuto e trainante. Da “Happy birthday in the sky” il livello cresce notevolmente. Una ballata straziante che esalta la voce di Molko, egregio lavoro dei synth ed una dinamica propulsiva. “The prodigal” non fa che alzare il tiro attraverso un gioco di archi barocco ed irresistibile per un pezzo arioso, quasi giocoso ma per nulla banale. Le atmosfere si fanno di nuovo claustrofobiche con “Surrounded by Spies”, candidata ad essere tra i loro pezzi migliori in assoluto. Ossessiva ed ipnotica attraverso un ritmo quasi sincopato e magistrale utilizzo dei synth, il resto lo fa un Molko evidentemente a proprio agio, anche tra le bellissime note di piano finali. “Try better next time” è l’altro potenziale single danzereccio quanto pleonastico. Ancora un bel motivo al synth mena le danze di “Sad white reggae”, breve, intensa e ben costruita. Ritmi serrati per “Twin demons”, elettrica ed effettata il giusto per essere vincente "live". La politica “Chemtrails” è una cavalcata monolitica in cui sono ancora i synth a dare il giusto colore. L’arpeggio ipnotico di “This is what you wanted” costruisce il pezzo più intimistico. “Went missing” è un'altra ballata convincente, e compositivamente geniale: Molko racconta con la voce in un atmosfera sospesa, poi alza il tiro e nel finale gli rispondono una bellissima linea melodica della chitarra ed un organo effettato ad incentivare il pathos melodrammatico.  La fine è affidata a “Fix yourself”, una polifonia di linee melodiche che si intrecciano in modo geniale, una fusione di “The Cure” e ”Pet Shop boys”. Un disco da avere perché può fare la storia del loro genere e che fa emozionare, grazie ad un magistrale utilizzo dei sintetizzatori, vera novità compositiva del pacchetto.     Best tracks: “Happy birthday in the sky”, “Surrounded by Spies”, Went missing", “Fix yourself”. 8/10

 

Un pezzo del mio cuore si sgretola alla notizia del trapasso del mio "idolo elettronico".

Il più seducente corriere cosmico torna alla sua origine il 26 aprile 2022 dopo oltre 74 anni di frequenze memorabili.

Nato a Berlino il 4 agosto del 1947 per regalarci veri viaggi intergalattici, ad ispezionare le più profonde radici umane senza limiti all'immaginazione.

 

"Ho diciotto sintetizzatori sul palco e non sono mai fuori tono perché li amo veramente. Parlo con loro, e se per caso qualcuno mi procura dei problemi gli dico: “Ok, non ti suonerò stasera… Se c’è qualcosa che non ti piace, non insisterò. Domani si vedrà"

"Quando posso concentrarmi su un progetto preciso, mi sento felice e mi diverto. Questo è un modo per restare vivo, in salute e in armonia con il mio spirito"

 

Music is a dream without the isolation of sleep. In fact whilst listening to music, your ego is living. But your universal ego - your principle watching of your self ego - is taking a new level of participation, the dream is reality because you are living the dream, and your dreams control your reality.

The supreme reality is creativity (all kinds of art), which takes you back to your mental origins.

So my concept (if there is one) includes your mental superior reality a well as daily life.

The musical theory is perfection, sometimes never obtained. The concept is a mental reaction, the process of movement and change, the basics of mankind.

Music to me is the background to a mental picture, but the exact interpretation must be made by the listener, hence the music is only half composed and the listener hmself should attack the composition to gain a mental repercusion.

The listener has to addthe meaning.
Of course my composition is in a basic direction which is my own creativity, but I think it leaves space for interpretation, which must also be done by the listener.

This is why perhaps people love or hate my music!

Sime people don't invest effort into things if no material profit is to be had, unaware of the mental joys.

This is a very short explenation of political and marketing manipulation, I could go on, but it is for the people to find their own brain oscillition, if they don't it becomes a boring joke.

The principles of my music are to make the listener powerful and happy to endure our dying planet life by using their own creativity, and being aware of emotion.

It should be a way of living by people who compose their lives and as is usual the composition of politicians and manipulators.

I wish everybody a pleasant exploration of themselves, I cannot say it properly in words.

I'm not a poet but a musician.

In love
K. Schulze

 

 

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Il guitar-hero statunitense è al suo diciottesimo e puntualissimo lavoro. Il fido Bryan Beller al basso e Kenny Aronoff alla batteria compongono la sezione ritmica ed Eric Caudieux impreziosce alle tastiere ed alla produzione. Assortito di tutto il suo già vasto repertorio: il medio-oriente di “Sahara” e l’oriente rockeggiante di “The elephants of mars”, la melodiosa ed avvincente “Faceless”, il blues di “Blue foot groovy”, il rock-fusion di “Tension and release”, le esplorazioni e diavolerie chitarristiche in “Sailing the seas of Ganymede”, l’acustica dal sapor mediorientale di “Doors of perception”, la jazzata “E 104th St NYC 1973”, “Pumpin’” regala virtuosismi al bassista e segnala il ruolo delle tastiere che si fa ancor più marcato ed efficace nel prog di “Dance of the spores” e nella più elettroniche e sperimentali “Night scene” e “Through a mother’s day darkly”, la ballata di “22 memory lane” ed il finale atmosferico ma retorico di “Desolation”. Ed è proprio la retorica che indebolisce il giudizio di questo lavoro che nulla aggiunge di sensazionale alla sua discografia.   Best tracks: “Faceless”, “ Night scene”, “Through a mother’s day darkly”.  7/10

 

 

KLAUS SCHULZE will release the new album "Deus arrakis" on 10th june 2022.

THE SMILE (Tom Yorke's) will release the new album "A light for attracting attention" on 13th may 2022.

 

ARCHIVE in tour:
Date in Italy:  Roma, 08 november 2022, Auditorium Parco della Musica. Milano, 09 november 2022, Santeria Toscana 31.

DEAD CAN DANCE in tour:
Date in Italy:   Padova, 27 and 28 may 2022, Gran Teatro Geox.

NICK MASON'S SAUCERFUL OF SECRETS in tour:
Date tour in Italy: Lucca, Piazza Napoleone, 25 june 2022, Torino, Sonic Park Stupinigi, 26 june 2022.

 

 

 

L’astronave ultracinquantenne è diretta ormai  dal solo Thorsten Quaeschning sotto la supervisione della vedova del celebre timoniere Edgar Froese, Bianca Acquaye. A coadiuvare Quaeschning c’è Paul Frick e ancora Hoshiko Yamane, ad occuparsi degli archi. Scompare da qualsiasi credito Jerome Froese, il figlio da subito restio a far proseguire il viaggio musicale fondato dal padre, scomparso nel 2015. A precedere questo nuovo lavoro c’era stato l’EP “Probe 6-8” da cui vengono inclusi alcuni pezzi. “Continuum” apre l’album con un bel motivo al sequencer trainante ed a cui si aggiungono altre “voci di risposta”, il compito di lievitare subito l’ascoltatore è riuscito. Con “Portico” il tema si fa più complesso ed articolato pur restando ben sospesi dal suolo terrestre, il pezzo è a firma anche di Edgar Froese e non credo sia un caso che risulti così bello. I 19 minuti della successiva “In 256 Zeichen” sono occupati da lunghi tappeti sonori, intermezzi di violino, percussioni, note da DX7 che rimandano al periodo 80 e 90 ed un timido sequencer di base. Queste ariosità si perdono con “You are always on time”, l’atmosfera si fa più tenebrosa ed inquietante ma mai decisiva per un ripetuto giro armonico che non convince perché paradossalmente troppo dissonante. “Along the canal” invece sembra da subito un pezzo più compiuto, sapientemente costruito per un immersione forestale, ricca di canali, di acqua che sgorga e scintilla. Dopo l’ibrida, minimale e forse inutile “What you should know about endings” si arriva alla conclusiva “Raum”, che ha il contributo ancora di Edgar Froese. Parte come “In 256 Zeichen” ma nonostante l’incedere si faccia poi più frenetico non decolla mai, consiglio invece la versione “Gran River remix” su “Probe 6-8”, dove i sequencer sono molto più prominenti ed efficaci. Nonostante qualche bella “intuizione” non è un disco che si farà particolarmente ricordare.       Best tracks: “Continuum”, “Portico”, “Along the canal”. 7/10

 

 

 

 

La grande attesa è durata sei anni dai “velocissimi” e poco convincenti ultimi lavori. Darius Keeler e Danny Griffiths fanno ordine sulla loro già indefinibile musica e consolidano gli ultimi membri della band per piazzare il loro capolavoro articolato in due CD e/o  triplo LP. Nessuno può rimanere deluso da un lavoro che abbraccia comunque l’originario trip-hop, e poi il rock progressive, l’ambient e l’elettronica. Questa volta però tutto è chiaro ed ispirato e tutti sanno cosa fare. Già l’opener “Sorrounded by ghost” innesca aspettative importanti. Un motivo sospeso al pianoforte e la voce sussurrata di Lisa Mottram (novità della band) annunciano la più industrial, effettata ed astrusa “Mr Daisy”. Molto interessante. I toni si placano con la più introspettiva e ritmata, quasi rappata, “Fear there & everywhere”. Impeccabile costruzione compositiva. “Numbers” è rappresentativa del sound-Archive tanto vicino alla scena Bristol dei Massive Attack. Holly Martin gioca con un motivo parlato e mai cantato. Convincente. Cantata e bene da Holly è invece “Shouting within” su un motivo minimalista al pianoforte. “Daytime Coma” è il lungo viaggio ipnotico che caratterizza l’intero lavoro della band. Una magistrale immersione galattica all’inizio intrecciata da un pianoforte mantrico per poi snodarsi tra sequencer alla Tangerine Dream d’annata (migliore), il pezzo cresce ritmicamente e divinamente, e direi irresistibilmente fino ad esplodere! Se “Head heavy” doveva fungere da anonimo detonatore, così non è: in un contesto cinematografico Maria Q sa coinvolgere le sue proprietà vocali e si fa ricordare. “Enemy” vuol riprendere quello che “Daytime Coma” poteva aver trascurato, allora uno straziante Pollard Berrier conduce l'atmosfera enigmatica e darkeggiante fino  a colorarla di un' avvincente e claustrofobica rincorsa tra sound industrial ed ambient alla Eno degli eighties. A Dave Pen è affidato l’inno a chiusura del primo CD, “Every single day”, astruso e per niente banale. L’elettronico rap di “Freedom” con cui parte la seconda parte è davvero originale e riuscito nella sua moderna chiave beatlesiana. Che dire dell’intima e straziante “All that I have”? Bella come la sua vocalist Holly Martin. Se avete voglia di canticchiare un refrain liberatorio in un ambient più delicatamente industrial c’è “Frying paint” e allora avanti tutta: “set this city alight, set this city alight”… E’ giunto il momento del single da brividi: “We are the same” convincerà dal primo ascolto, la voce di Holly affiancata da un bel motivo elettronico nel buio delle domande più esistenziali. Bellissima! Più ariosa e vitale nel suo gioco ed intreccio corale è “Alive”. L’arpeggio tastieristico di “Everything’s alright” è un altro magistrale motivo per apprezzare l’intero album, ancora un brano struggente e vincente di un convincente Berrier. Gli Archive non finiscono di stupire e scrivono un altro pezzo capolavoro per idee compositive e post produzione. Pensate ad una modernizzata “On the run” dei Pink Floyd e inseriteci la voce di Lisa Mottram, ne esce “The crown”. Non è finita qui, bisogna chiudere in “Gold”! Non vi sveglierete certo dall’ipnosi indotta con questo finale di raccapricciante bellezza: la puntellatura del pianoforte come un requiem che si trascina in un ambient claustrofobico per poi danzare più liberi ma sempre controllati da questi Archive che hanno imbrigliato trame irresistibili per cullarci in un vero viaggio sonoro, di rara bellezza, compostezza e completezza. Un disco che abbandona quasi completamente le fumosità chitarristiche per firmarsi di un’elettronica ispirata e decisiva. E se di questo non ne siete sazi, i nostri allegano anche la colonna sonora del documentario “Super 8”. Beh, superano ancora il già altissimo livello: ascotatevi “Super 8” e “Zeitgeist” se non ci credete. Abbandonatevi e restateci.  Best tracks: “Daytime Coma”, “Enemy”, “We are the same”, “Everything’s alright”, “The crown”, “Gold”.  9/10

 

 

 

Quasi 40 anni di vita artistica assieme, fedelissimi. Anche i Rush lo erano, ma erano in tre. I Marillion mantengono la stessa line-up da quattro decadi: dalla breve “Era Fish” è il tredicesimo album da studio con Hogarth alla voce, e gli altri quattro inossidabili al loro posto sempre vivi, sempre ispirati, sempre appassionati, sempre fantastici. La storia dei Marillion è davvero fantastica: dal vivo lasciano sempre prove memorabili, suonano divinamente, come un orchestra; in studio si riuniscono ogni 3-4 anni e sfornano un nuovo album che quando non è un capolavoro è comunque bello ed emozionante. Sempre composti, sempre imperturbabili, una band che ha ormai il suo pubblico fedelissimo e non scende certo ora a compromessi.  Dopo il mastodontico e meraviglioso “FEAR” era  difficile ripresentarsi all’altezza. Ebbene, ci sono riusciti, ancora una volta! Più conciso ma sempre ricco. Nel corso degli anni il loro Prog abbandona sempre più la formula canzone e/o i tecnicismi fine a se stessi per orientare la loro musica in una formula più cinematografica, capace di insonorizzare immagini, di accompagnare una scena. Ogni pezzo è atomizzato al midollo e si articola minuziosamente, sfaldandosi e poi ricomponendosi. E’ difficile ricordarne uno proprio per la sua struttura complessa ed articolatissima. L’inizio è una bomba atomica (si fa per dire di un brano che canta proprio i problemi del nostro Pianeta): “Be hard on yourself” è tra le loro migliori produzioni di sempre. Parte con solenni cori femminili per lasciare lo scettro ad un arpeggio tastieristico a dir poco trascinante. L’inconfondibile timbro vocale di Hogarth mena le danze inseguito da un Mosley più scalpitante che mai. La chitarra di Rothery fraseggia poesia nei paraggi, come sempre. Kelly non si lascia pregare per un intermezzo intimistico ed ipnotico, solo preparatorio per un finale a dir poco sfuriato. Applausi scroscianti  a tutti! “Reprogram the gene” passa inosservata dopo un inizio simile, ma dopo ripetuti ascolti ha il suo perché, nel suo piccolo. Rimanda al periodo “Afraid of sunlight”, quella leggerezza pop quasi strumentale dopo un inizio così emozionalmente impegnativo. Quaranta secondi di cinematografici “Only a kiss” introducono l’hit single “Murder Machines”, sbarazzina nel suo motivo ripetuto per farsi cantare live, non manca il Rothery d’annata. La seconda metà dona il meglio e “The crow and the nightingale” ne è il miglior preludio. Kelly sale in cattedra, tesse trame stupefacenti per un Hogarth strepitoso e quanto mai emozionante. Incredibile la fusione di ogni componente della band, ognuno estrae qualcosa di stupefacente e sempre attinente senza mai invadere. Mancavano solo i cori finali per i brividi da Marillion! E poi anche l’elettrica di Steve Rothery per tenere la scossa. Fortuna c’è “Sierra Leone” che lascia un pò il fiato per riflettere su cosa ci sta succedendo. Piano e voce, lenta e zuccherosa ballata che poi si trasforma ipnotica fino ad esplodere in un orchestra di brividi che ognuno di questi musicisti ha sontuosamente creato con un’inarrivabile varietà timbrica dei singoli strumenti. Il pezzo è un altiscendi complesso di atmosfere e ritmiche, magistralmente coese e di raro incanto. Si era sentito poco il basso di Trewavas, a lui si deve l’intro abissale  ed enigmatico dell’ultima suite: “Care”. Il brano canta la sofferenza, di chi ci lascia per sempre e di chi ha dedicato la vita agli altri. Difficile descrivere un pezzo così articolato e bello da accecare la ragione. Le note di pianoforte in “Every cell-part” valgono da sole l’acquisto, poi mettiamoci anche l’assolo tagliente di un Rothery che squarcia l’anima e ci possiamo congedare e congelare in uno stato di grazia che solo certa Musica ha il potere di elargire. Grazie Marillion, non mi aspettavo ancora un simile capolavoro. Steve Hogarth, Steve Rothery, Mark Kelly, Pete Trewavas, Ian Mosley: angels on Earth.     Best tracks: “Be hard on your self”, “The crow and the nightingale”, “Sierra leone”, “Care”.  8/10

 

NICK MASON'S SAUCERFUL OF SECRETS in tour:
Date tour in Italy: Lucca, Piazza Napoleone, 25 june 2022, Torino, Stupinigi Sonic Park, 26 june 2022.

 

 

Dopo gli incredibili eventi del 2020 che hanno stroncato prima il talentuoso batterista Sean Reinert e poi lo straordinario bassista Sean Malone (suicida), non sembrava esserci futuro per i Cynic che hanno visto demolita l’intera sezione ritmica. Paul Masvidal invece non si è dato per vinto ed ha voluto omaggiare i suoi amici e colleghi con questo nuovo capitolo. Musica della complessità e della difficoltà, fusione sonora di incredibili generi musicali. Quest’ultimo lavoro respira aria cosmica, proprio come un “multiverso dove gli atomi cantano”. Dave Mackay sostituisce Malone con un bass/synth e sono proprie le sue tastiere  a spumeggiare sull’iniziale “The winged ones”, un vero gioiello tecnico. Gioiello compositivo è “Mythical serpents”, Matt Lynch mena sulle pelli come un forsennato, la voce di Masvidal echeggia epica come suo marchio di fabbrica. Dopo la spaziale e astrusa “DNA activation template” arriva l’altro capolavoro: “Architects of consciousness”. Devastante Masvidal sulla ritmica in un vero viaggio galattico. A queste vette il resto è una farcitura. Senza Reinert e Malone, Masvidal non credo potesse fare di più.    Best tracks: “The winged ones”, “Mythical serpents”, “Architects of consciousness”. 7/10

 

 

Segnalo il decimo album di questa band britannica che fa il verso ai “God is an Astronaut”. Post-rock anche più sperimentale dei “GIAA”, direi grazie alla roboante presenza delle tastiere di Barry Burns. Il Sound è molto ricco e fascinoso, le idee quasi mai banali. Tanti pezzi godibili come “Here we, Here we…” che vede un interessante interscambio di timbri sullo stesso motivo, le atmosfere orientali e new age di “Dry fantasy”, l’unico pezzo cantato “Ritchie Sacramento” può essere un bell’hit, la marcia ipnotica di “Drive the nail”. “Pat stains” sembra uscita dai paesaggi dei “Sigur Ros”, come del resto l’iniziale “ To the bin my friend…”. Le migliori idee sono però su “Fuck off money”, lento e progressivo canto tutto in vocoder per un esperienza siderale, su “Midnight flit” in cui è dipinta un’ atmosfera misteriosa  grazie all’ottimo lavoro di batteria e basso che struttura un esplosione variopinta di solenni impeti tastieristici, e sulla conclusiva “It’s what I want to do, Mum”, quasi un inno ai primi Porcupine Tree!    Best tracks: “Fuck off money”, “Midnight flit”, “It’s what I want to do, Mum”. 8/10

 

 

Della loro lunga discografia e vita artistica possiamo affermare tutti che gli ultimi 20 anni hanno visto solo “Magnification” loro degno testimone artistico. Dopo 7 anni dal deludentissimo “Heaven & Earth” i nostri eroi (e sono tanti perché tanti i cambi di formazione) ci regalano l’ennesimo capitolo, con il consolidato Jon Davison, alter ego del mitico Jon Anderson. La partenza di “The ice bridge” è sensazionale, un pezzo magistralmente legato tra epicità, modernità e storia. Downes è ispiratissimo tra i synth  e non da meno Howe nel suo fraseggio chitarristico. La linea melodica e portante della prima chitarra dialoga meravigliosamente con la seconda (ma è sempre Howe, l’ispiratissimo) e con i virtuosismi tastieristici di Downes, un incedere sostenuto dal basso portentoso di Sherwood. Davvero un pezzo già memorabile. “Dare to know” allevia i ritmi e ci conduce nei viaggi pindarici che hanno reso celebre la band. Forti sono i richiami seventies con orchestrazioni che si intrecciano nell’articolatissimo tessuto chitarristico dal sapore cinematografico. Complimenti! Le stesse atmosfere  proseguono in “Minus the man” ma con idee decisamente più spente. Dal lontano Oriente sembra partire “Leave well alone” per poi subire innumerevoli trasformazioni: catchy  anni 80, linee vocali che rimandano a “Starship trooper” ed incredibile lavoro di Howe sempre a collegare tutto. Interessante. Downes prova ad imbastire qualcosa per far decollare la successiva “The western edge”, ci prova anche la slide di Howe ma resta lo stesso abbastanza impantanata. Un delicatissimo brano acustico, arrangiato magistralmente, è “Future memories”, che gioca tra cori che si avvicendano in falsetto a Davison. “Music to my ears” la vedo più come demo delle prove vocali di Davison, capace di costruire da solo atmosfere come faceva Anderson, ma non posso negare il lavoro, soprattutto finale, degli arrangiamenti, tra archi, piano  e cuciture tastieristiche varie. Il finale è affidato a “A living island” dove Davison alza ulteriormente il tiro creando un pathos meraviglioso. Il pezzo si avvale di un bel contributo di White nel drumming ed il solito Howe che spazia magistralmente tra i timbri diversi che lo hanno reso celebre. I tre brani del bonus CD sono anonimi. Un bel disco, con molti spunti interessanti e suonato alla grande. Best tracks: “The ice bridge”, “Dare to know”, “Leave well alone”.  7/10

 

MARILLION will release the new album "An hour before it's dark" on 04h march 2022. 

ARCHIVE will release the new album "Call to arms & angels" on 08th april 2022.

PLACEBO will release the new album "Never let me go" on 25th march 2022.

RAMMSTEIN will release the new album "Zeit" on 29th april 2022.

JOE SATRIANI will release the new album "The elephants of mars" on 08th april 2022.

TANGERINE DREAM will release the new album "Raum" on 25th february 2022.

G R E A T  N E W S:  It's real THE REUNION OF ANATHEMA AND PORCUPINE TREE too!!!

PORCUPINE TREE will release the new album "Closure/continuation" on 24th june 2022.

 

PORCUPINE TREE in tour:
Date in Italy:  Milano, 24 october 2022, Mediolanum Forum Assago.

DREAM THEATER in tour:
Date in Italy:  Roma, 06 may 2022, Palazzo Sport. Milano, 07 may 2022, Mediolanum Forum. Padova, 08 may 2022, Kione Arena.

YES in tour:
Date in Italy:  Milano, 16 may 2022, Teatro del Verme. Roma, 17 may 2022, Teatro della Conciliazione. Padova, 18 may 2022, Gran Teatro Geox.

LEPROUS in tour:
Date in Italy:  Cremona, 17 july 2022, Luppolo in Rock.

MUSE in tour:
Date in Italy:  Firenze, 17 june 2022, Firenze in rock.

 

 

 

Quindicesimo album per questa band ormai leggenda degli amanti del Metal Progressive. I primi probabilmente  a portare il Rock ad un livello tecnico talmente estremo da averlo spesso ucciso concettualmente. E questo è avvenuto, a mio parere, nella primo decennio dei 2000 (da “Train of thought” a “Black clouds…”). Gli ultimi lavori li ho trovati davvero avvincenti, ben equilibrati tra tecnicismo e idee compositive, ritmi ipersostenuti e linee melodiche. Con quest’ultimo sembra ricominci una nuova trasformazione probabilmente dettata dai loro stessi fan che reclamavano i fasti metal di “Awake” o “Six degrees..”. E allora si attacca a mille subito con il singolo “The alien”, Petrucci si prende subito la scena e la porta avanti tra assoli (alcuni anche belli) e riff, devo dire ben seguito da un Mangini centrato; il pezzo in se resta comunque piatto. Con “Answering the call” si resta sulle stesse ritmiche ma con un Labrie che tira linee melodiche più convincenti e un  Rudess con maggiore spazio. Poi Petrucci reclama la sua parte che svolge velocissima per diversi minuti. In fondo il pezzo mi è piaciuto. “Invisible monster” vorrebbe dare un pò d’ossigeno (si fa per dire) con un mid-tempo sulla falsa riga degli album appena precedenti ma il pezzo manca di un’ idea centrale ed è troppo prevedibile, alla fine sfiancante. Stessa musica per la successiva “Sleeping giant”, 10 minuti inutili, sono cattivo, lo so. Mai abbastanza se ascoltate la successiva “Transcending time”. Finalmente si cambia registro con “Awaken the master”, il pezzo è sempre tirato ma giusti e belli gli interventi di Rudess al piano e con le pad, e soprattutto LaBrie non sembra più “cantare  a vuoto” e Mangini indaffarato come non mai! Si giunge alla tanto attesa suite finale in stile DT: “A view from the top of the world”. L’intro è davvero molto bello nel lento incedere degli archi da film kolossal, un bel lavoro tastieristico che poi presenta il riffone di Petrucci che fa partire le danze, da qui il pezzo evolve tra saliscendi in cui possono dimenarsi anche il basso di Myung (uno dei momenti migliori) ed il lavoro ritmico di Petrucci, che si fa preferire in questo caso alla solistica. Il finale è un pò stanco e quasi scomposto tra assoli e ripetizioni del tema.  Dai temi trattati (alieni ormai terrestri che viaggiano nell’universo, alienazioni umane e disagi sociali) non emerge una musica coerente ad accompagnarne la narrativa. Non ho sentito un ambient cosmico e lisergico  e questo a dimostrazione che le idee (ove ci fossero state) non erano chiare e convergenti in composizione.  Sono comunque generoso.  Best tracks: ”Answering the call”, “A view from the top…”.  7/10

 

 

L’inossidabile artista californiano è reduce da un attacco di cuore ed è stato letteralmente tirato su per i capelli, o per la sua celebre chioma. Altre vicende personali (divorzio) non sembrano aver scalfito la sua ispirazione, anzi sembrano averlo spronato ad una nuova vita artistica (uscita definitiva dai Fleetwood Mac) e voglia di generare ancora grande musica. Già da “Scream” si percepisce l’aria sbarazzina di un disco pop. Refrain affidati ai cori ed elettrica per i solos di questo chitarrista unico nel suo genere sono ben spiegati in “On the wrong side”, nel mezzo c’era stato il bel singolo “I don’t mind”. La ritmica di “Swan song” è interessante quanti i controcanti e gli interventi dell’elettrica, decisamente un gran pezzo per la sua interpretazione del tango. “Blind love” ha il refrain disincantato e coinvolgente dei settanta, strutturata come per un brano della sua band originaria. Voglia nostalgica di una notte vista oceano con la cover “Time”, scarna ed acustica. Con “Blue light” non si fa segreto la sua voglia sbarazzina che raggiunge quasi lo stucchevole ed un altro richiamo forte ai Mac più percussivi con “Power down”. If you go, if you go  at “Santa Rosa” è il ritornello vincente di un lineare country-pop. Il buon Lindsey si congeda con la sussurrata “Dancing”, la sua voce ed il suo timbro unico che culla. Insomma un gran bel ritorno di un artista straordinario nella sua veste più matura e saggia. Best tracks: “On the wrong side”, “Swan song”, “Dancing”. 8/10

 

 

La bellissima voce prodigio che sostituì per un album Phil Collins nei Genesis si è costruita una dignitosissima carriera solista con una serie di album raffinati  e spesso ispirati. Il suo rock melodico è sempre godibilissimo, con composizioni ben costruite, arrangiate e performate. L’album si apre subito alla grande con “You could have been someone”. Trascina subito, si fa cantare dal primo ascolto… un mid tempo pieno di pathos, impreziosito da un azzeccatissimo clarinetto. In “Mother earth” sono percepibili “reminiscenze world” alla Peter Gabriel, anche qui un azzeccatissimo refrain che trascina e si fa ricordare. Bravo il chitarrista Ali Ferguson, dal timbro gilmouriano. La più acustica “We knew the truth once” è il marchio di fabbrica di Wilson, ballata malinconica e coinvolgente. “I, like you” non è da meno, altro pezzo ispirato e godibilissimo. Ferguson fa un gran lavoro di modellazione attorno il cantato di Ray. La successiva “Amelia” poteva essere uscita dal repertorio più afro di Sting. E’ incredibile il talento di Wilson nel costruire melodie e refrain vincenti fuse all’interno di arrangiamenti impeccabili, ne è altra prova “The weight of man” nella sua semplicità. Ancora pregevole lavoro di Ferguson, soprattutto nel finale. Con “The last laugh” si cambia atmosfera, è una ballata ariosa e percussiva in cui emerge il gusto del fido drummer Nir Z. Le ballate proseguono ma si ritorna a quelle più nostalgiche con la breve “Almost famous “, anche questa si fa cantare subito. Il livello, se mai ce ne fosse bisogno, cresce ancora con “Symptomatic”. Un gioiello di poesia musicale che mi impongo di non commentare ulteriormente perché non merita parole ma solo ascolto e ascolto.  La sussurrata “Cold like stone” si canta assieme intorno un falò, accompagnata con un bel arpeggio all’acustica. Il piano ed il violino della beatlesiana “Golden slumbers” era quello che mancava per chiudere questo piccolo capolavoro di rock melodico che accompagna perfettamente un bel viaggio in auto o moto tra i migliori paesaggi della nostra terra.  Best tracks: “You could have been someone”, “I, like you”, “Symptomatic”. 8/10

 

 

Inaspettato seguito di “Pitfalls”, quello che doveva essere un EP che ne raccogliesse i pezzi esclusi diventa un vero album che vede sempre più forte la presenza degli archi ed ora anche gli ottoni  dei Blasemafiaen. Il solito e vero protagonista resta comunque Einar Solberg, dominatore assoluto del marchio artistico e commerciale. Le composizioni si fanno sempre più articolate, complesse non tanto per le idee innovative ma per una voglia spasmodica di inserire nuovi timbri sonori, qualcosa di nuovo. Sin dalla partenza però si ha sentore sostanzialemnte di “aria fritta” perché il cantato di Solberg per quanto sontuoso ed impeccabile comincia a diventare prevedibile, almeno per chi conosce i loro ultimissimi album. Non è lui a seguire la musica ma quest’ultima ad adeguarsi alla sua volontà e credo sia questo aspetto ad indebolire le composizioni, per quanto contengano diversi spunti interessanti ed accattivanti. “Running low” parte come una inquietante sequenza cinematografica per poi esplodere con un refrain per farla  diventare una hit con il suo “It’s a miracle, miracle, miracle…”. Beh, ci riescono perché i saliscendi strumentali sono notevoli, anche. “Out of here” spiega quello che introducevo: un pezzo dai ritmi blandi, suoni e melodie belle e sussurrate da una chitarra ispirata… poteva concludersi così, invece non resistono nel farla esplodere ancora con il vocalizzo di rito di Solberg. Bellissimo l’intro elettronico di “Silhouette” che si fonde perfettamente alla ritmica imbastita da Kalstad. “All the moments” ripete le caratteristiche di “Out of here” al piano  e più malinconica me meno interessante. L’architettura sincopata e la chitarra stoppata sono le caratteristiche del sound dei Leprous, ed in “Have you ever?” sembrano raggiungere i picchi, un pezzo davvero sperimentale nella ritmica che attrae falsetti di archi e vocalizzi di Solberg in spolvero. Sulla chitarra ritmica è concentrata “The silent revelation”, raffinata nel suo gioco di archi ma prevedibile. Il rock più lineare di “The shadow side” potrebbe renderla un vero hit, contenente addirittura un guitar solo. L’arpeggio che introduce “On hold” promette tanto e bene, e mantiene le attese. Finalmente un pezzo tondo, compiuto… Solberg sontuoso, irresistibile, struggente, dai vocalizzi altissimi quando necessario. Meravigliose le chitarre sottotraccia ed i violini che enfatizzano la malinconia e l’inquietudine del pezzo. L’atmosfera resta pacata con “Castaway angels” che ha un incedere molto bello grazie al solito Solberg ispiratissimo ed emozionantissimo ed  all’intreccio  stellare della chitarra ritmica. Il finale del disco i Leprous lo dedicano d’abitudine con un pezzo Prog. “Nighttime disguise” vuole esaltare i singoli musicisti. Un saliscendi tra atmosfere tese ed inquiete e puntellature al piano che sviluppa poi un motivo accattivante con il cantato più basso di Solberg fino a chiudere con reminiscenze doom. Tanta “carne al fuoco” in questo disco fondamentalmente complesso, raffinato e con alcuni passaggi anche molto ispirati. Mi ripeto: è difficile anche fondere tanta strumentazione e lo hanno fatto bene, eppure non riesco a parlare di quel capolavoro che aspetto e che potenzialmente possono raggiungere. Forse è troppa la voglia di mettere tanto dentro a discapito delle idee, che spesso non hanno una direzione precisa ed esaustiva.   Best tracks: “Silhouette”, “Have you ever”, “On hold”. 7/10

 

Finisce il viaggio dell'immenso artista il 18 maggio 2021 all'età di 76 anni.

"Niente è come sembra, niente è come appare, perché niente è reale"

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

"E il mio maestro mi insegnò com’è difficile trovare l’alba dentro l’imbrunire"

"Organizza la tua mente in nuove dimensioni. Libera il tuo corpo da ataviche oppressioni"

"Emanciparmi dall’incubo delle passioni. Cercare l’Uno al di sopra del Bene e del Male"

"Era magnifico quel tempo com’era bello quando eravamo collegati perfettamente al luogo e alle persone che avevamo scelto prima di nascere"

"Tornerà la moda dei vichinghi. Torneremo a vivere come dei barbari"

"Supererò le correnti gravitazionali lo spazio e la luce per non farti invecchiare"

"Di cosa vivrebbero ciarlatani e truffatori se non avessero moneta sonante da gettare come ami fra la gente"

"Questo secolo oramai alla fine. Saturo di parassiti senza dignità. Mi spinge solo ad essere migliore. Con più volontà"

"Non mi interessa sentirmi intelligente guardando in tv dei cretini, preferirei sentirmi un cretino di fronte a persone eccellenti"

"Peccato che io non sappia volare, ma le oscure cadute nel buio. Mi hanno insegnato a risalire"

"Questo sentimento popolare. Nasce da meccaniche divine. Un rapimento mistico e sensuale. Mi imprigiona a te"

 

 

 

 

 

 

 

 

La Colonna Sonora di una mostra a Parigi del fotografo Salgado nella foresta pluviale è  la nuova scommessa musicale dell’istrionico guru dell’elettronica. Un viaggio nell’habitat primordiale intriso di fenomeni naturali che diventano un orchestra frammentaria di voci, cigolii, canti, ronzii in una vegetazione rigogliosa al punto da accogliere di tanto in tanto bip, pad, accenni di moog, suoni sintetici che non sembrano poi  neanche aggiungersi ma diventarne parte. La parte 5 e 7 lo dimostrano. C’è Oxygene! La grande abilità di Jarre è stata proprio in questa intuizione: immergersi sinteticamente per diluizione nella vegetazione. Vi è entrato adagio per penetrarvi alla fine completamente e perfettamente.  Best tracks: “part 5”, “part 7”, “part 9”. 7/10

 

 

 

 

LEPROUS will release the new album "Aphelion" on 27th august 2021.

DREAM THEATER will release the new album "A view from the top of the world" on 22th october 2021.

YES will release the new album "The quest" on 01th october 2021.

IN STUDIO FOR NEW ALBUM: MARILLION, DAVID KILMINSTER, MUSE, ARENA; ARCHIVE, STAR ONE, RAY WILSON, TANGERINE DREAM, THE SMILE (new TOM YORKE's project)
 

 

 

 

L’innesto di Jordan Rudess nei Dream Theater frenò l’ascesa della superband strumentale di Portnoy e Levin che vedeva riprodurre gli stessi elementi.  Così, dopo 22 anni, decidono di tornare in studio e misurare la loro ispirazione per regalare ai propri fans un terzo album. “Hypersonic” dà inizio alle danze nel modo più prevedibile: virtuosismi tecnici e rincorse tra gli strumenti al fulmicotone, verso un dove sconosciuto però… un brano senza una direzione compositiva. “Beating the odds” invece la direzione c’è l’ha: un ritorno a sonorità anni 80 e 90, soprattutto con un tastierismo molto catchy. Levin si fa sentire bene nella successiva “Liquid evolution”, all’interno di un ambientazione world è la sei corde di Petrucci a dirigere un brano breve ma bello. “The passage of time” rimanda direttamente al loro Deus ex Machina: Dream Theater al 100%, quelli meno melodici. “Chris & Kevin’s amazing odyssey” aspira ad essere forse una sperimentazione strumentale crimsoniana ma non decolla mai. Allora “Rhapsody in blue” di Gershwin diventa il miglior modo per sperimentare su quello che è già stato leggenda, ognuno dei musicisti ne dà una chiave interpretativa diversa ed originale, forti delle loro possibilità tecniche. “Shades of hope”  vuole essere un intimo inno chitarristico… ma sia Petrucci che Rudess sono scontati e stucchevoli. Intricatissima è la finale “Keys to the imagination”, ancora tanto tanto Dream Theater dal tono arabeggiante, in un trupudio di scale minori. Un bonus disk di oltre 50 minuti rinfranca fan e addetti anche sul lato jam session e jazz fusion. I nostri eroi si sono certamente riscaldati bene le dita, ma a me non hanno riscaldato molto il cuore e davvero poco anche il cervello.  Best tracks: “Liquid evolution”, “Rhapsody in blue”. 6/10

 

 

Decimo album per la band irlandese e vicini al ventesimo anniversario del loro post-rock e per qualcuno krautrock. Il disco è più tirato e metal del precedente ed è stato richiamato in scuderia Jamie Dean a dar maggior vigore alle chitarre dei fratelli Kinsella. L’intro è affidata ad “Adfrit” ed è il pezzo più convincente dell’intero set. Riffing incalzante e chitarre distorte hanno respiro in un lungo intermezzo più disteso, arpeggiato e melodico. Anche “Burial” prosegue sulla scia di un bell’arpeggiato, puntellato dal pianoforte per sfogare poi nel loro marchio di fabbrica di riffate che si chiamano e si rincorrono. Da questo momento, in un atmosfera cupa e claustrofobica, è un continuo ripetersi, anche in quella che è la loro intera discografia. “In flux” e l’ancor più tirata “Spectres” avanzano noiosamente. “Fade” ha invece, e quantomeno, delle  interessanti soluzioni con un bell’incedere ritmico, sospinto da un gioco di synth e basso cavalcante a variare un pò il sound trainante e complessivo. “Barren trees” riporta ai vecchi God is an astronaut, ipnotici ed eterei. A chiudere la più intima ed acustica “Luminous waves”. Insomma, un disco che non ha picchi per farsi ricordare. Best tracks: “Adrift”, “Burial”, “Fade”. 6/10

 

THE PINNEAPPLE THIEF in tour (DATE REVISITED FOR PANDEMIA):
Date in Italy: MILANO, 23 february 2022, Live Club of Trezzo sull'Adda, RONCADE (TV), 24 february 2022, New Age Club, ROMA, 25 february 2022, Auditorium Parco della Musica. FIRENZE, 26 february 2022, Viper Theatre.

 

 

L’inarrestabile, e direi anche infaticabile, guru del Prog lancia sul mercato un disco che era già pronto per l’inizio del 2020 (con relativo e pianificato tour), ma l’avvento del “progetto Covid“ ha fatto posticipare l’uscita per ragioni ovviamente di marketing. E visto che il disco era stato annunciato con chiari intenti commerciali e aperture verso un pubblico sempre più ampio, la decisione era obbligata. Questo straordinario artista è rimasto sempre coerente come pochi: ha dedicato la sua vita alla Musica (ora si è anche sorprendentemente sposato!) e ha sempre voluto esplorarla in tutte le sue forme, attraverso tanti progetti, band, collaborazioni ed artisti di ogni estrazione musicale. Non elenco qui ed ora il suo lungo ed articolato percorso, dai Porcupine Tree ad oggi. Già con il capolavoro “Hand, cannot erase” aveva iniziato ad esplorare sonorità più moderne e danzerecce, non facendo mai mistero della sua passione per l’elettronica. Con il penultimo “To the bone” aveva mantenuto la sua band di base, musicisti consolidati nell’ambiente Prog, ora, qui,  li abbandona senza indugi per fare un vero disco pop. I suoni si fanno asciutti, sintetici ed acidi… in linea con il progetto grafico  ed il tema generale trattato nell’album: la società degli algoritmi e della dipendenza dai social manipolatori, della shopping terapia fuori controllo e dell’individuo senza un identità. L’intro è affidata al breve beat di “Unself” che apre le porte invece a “Self”, un inno alla dance dei novanta intrisa della sensualità ritmica di quel Prince già molto “citato” in “To the bone”. “King ghost” si veste di una serie di vocalizzi davvero inediti per uno Steven che vuol calarsi nel seducente ruolo di pop-star, la musica lo accompagna nell’incedere di un sussurrato drum and beat, molto coinvolgente. La successiva “12 things I forgot” è un single a tutti gli effetti, è suonata in un modo più classico e con un refrain avvincente. Se “Permanating” aveva tanto fatto discutere su “To the bone”, questa “Eminent sleaze” non sarà da meno: è un funk groove con coretti parecchio discutibili. Finalmente arriva il pezzo più bello, direi meraviglioso: la floydiana “Man of the people”. Una base dettata da un rullante effettato in cui si tesse la voce del nostro Steven, sempre più bella all’interno di una melodia sequenziata, e come su “Perfect life” diventa un crescendo incantevole in cui trova spazio anche un azzeccatissimo vocoder. La più lunga e centrale “Personal shopper” rappresenta l’inno dell’intero disco, sintesi di un elettronica moderna  e danzereccia alla Giorgio Moroder, canti e controcanti si intrecciano e conducono ad un finale acido ed effettistico, un viaggio che mi ha ricordato la lontanissima, primordiale “Voyage 34” con i Porcupine Tree. La successiva “Follower” può apparire pop song dal ritornello ruffiano e banalotto, in realtà è costruita in un modo geniale con un utilizzo dell’elettronica impeccabile ad ogni estremo, così ben fusa con gli strumenti classici che menano le danze, piano e batteria su tutti. Il finale, come spesso accade nella sua produzione, è affidato ad un pezzo intimista  e pacato. “Count of unease” scompare tra suoni ambient e pad. Sicuramente è un disco che può destare perplessità e malcontento, per la sua ipersemplicità e scontatezza compositiva… ma può essere anche contagiato dai temi trattati, allora si, ancora una volta geniale e provocatorio. In ogni caso preferisco un artista che si espone in tutte le sue esplosive sfumature che quello che si ripete furbescamente nel prodotto che gli ha dato successo.                     Best tracks: “Man of the people”, “Personal shopper”, “Follower”. 7/10

 

 

 

Con impeccabile periodicità Arjen Lucassen ci propone una sua nuova opera, sempre qualcosa di magnificiente e complesso. Questa volta nulla di fantasy o fantascientifico, una storia di epoca vittoriana con il coinvolgimento di innumerevoli interpreti, più teatrali che musicali. Il genere ormai non ha molta attinenza con quello che tratto in questa sezione musicale del mio sito, siamo sempre più verso il folk, le atmosfere celtiche e pompose, continui intrecci di cantati un pò ridondanti e stancanti (oltre 80 minuti!). A parte qualche pezzo più propriamente rock con le dovute sperimentazioni (Fatum Horrificum, Message from beyond, Hopelessly slipping away, She is innocent) non mi sento di giudicare il resto.

 

 

 

 

 

 

Già con l’ultimo “V” del 2017 Aviv Geffen aveva preso le redini del comando o Steven Wilson si era defilato per i suoi innumerevoli impegni solistici e non. Con un sound ed un pubblico ormai collaudato esce l’ennesima raccolta di pop songs che non sembrano suscitare grandi entusiasmi. L’opener “For the music” è però una gran partenza dai toni epici ed intrisa di reminiscenze elettroniche, con refrain irresistibile. Le sonorità di “After all” riportano direttamente ai quei primi album di grande successo: melodie puntellate al piano e cantato struggente e malinconico. “Garden of sin” è una ballata acustica nella quale emerge la voce lamentosa e profonda di Geffen. Ritmi più sostenuti, voce vocoderizzata ed ancora un refrain vincente che si fa cantare e ricordare in “Under my skin”. Atmosfere sussurrate e malinconiche avvolgono il primo pezzo cantato da Steven Wilson che corrisponde a “Over & over”. “Falling” è un pezzo che poteva far parte delle ultime produzioni soliste di Wilson ma il refrain richiama fortemente a quella bellissima  e lontana “Hello”. Ancora Wilson presta la voce in “White nights”, un pezzo pop alla Blackfield 100%, ma senza picchi emozionali. L’atmosfera leggera, giocosa e disincantata di “Summer’s gone” è talmente esasperata da far apparire il pezzo decisamente melenso. “It’s so hard” è una bella ballata intimistica al piano e voce che chiude il disco, un disco piacevole, che aggiunge altre buone pop song nella loro produzione ma senza nuovi picchi da ricordare.                     Best tracks: “For the music”, “Under my sky”, “It’s so hard”. 7/10

 

 

Grande ritorno carico di aspettative per la progressive metal norvegese che dopo ben 23 anni si ritrova ancora insieme per registrare nuovi pezzi. L’istrionico e talentuoso vocalist Roy Khan aveva trovato nei più facili Kamelot la prosecuzione dell’attività dopo la dipartita avvenuta con il controverso ma interessantissimo “Flow”. Il disco esce senza una label di riferimento che potesse celebrarli degnamente, quindi in versione autoprodotta ed indipendente. La breve intro dai toni epici di “In: Deception” apre le danze per la carichissima “Of raven and pigs” nella quale la voce di Khan trascina sempre nell’incedere granitico del pezzo. La successiva “Waywardly broken” è il singolo e chiama all’appello il mitico chitarrista Tore Ostby, acido nella ritmica e limpido nella solista. “No rewind” passa in sordina nel suo “già sentito”. Il mid tempo melodico di “The mansion” ha un refrain coinvolgente con la partecipazione di un controcanto femminile, peccato per il solo di Ostby un pò sconclusionato. “By the blues” è il pezzo più astruso dell’album, ben costruito e performato. Anche “Anybody out there” poggia su un refrain vincente ma il pezzo povero e meno interessante di “The mansion”. Molto più articolata ed acida è “She dragoon”, pezzo dalla ritmica davvero coinvolgente e ben accompagnata da un Khan in gran spolvero. La chiusura è affidata ad un pezzo recuperato del 2018, “Feather moves”. L’ugola di Khan firma il pezzo più compiuto, un refrain da brividi. Il disco non fa gridare al miracolo, nulla di sconvolgente ma contiene diversi pezzi che valorizzano il talento di Khan, ed è un gran piacere riascoltarlo, a differenza della prestazione anonima di Ostby alla chitarra solista.             Best tracks: “The mansion”, “She dragoon”, “ Feather moves”. 7/10

                                                                                                         


Dopo “Night” e “Tik Tok” sono passati altri 5 album ma nessuno di questi ha raggiunto quei vertici emozionali che la loro musica vuole trasmettere. Chi li conosce  e li ascolta sa cosa aspettarsi: rock atmosferico, lentissimo e fortemente evocativo e malinconico; e soprattutto nessun orpello solistico. L’opener “Space cowboy” è l’epica e lunghissima composizione in pieno stile Gazpacho, priva di struttura portante ed una melodia solidificante, il pezzo si costruisce e avanza sorprendente sempre: l’inizio ha un cantato coinvolgente accompagnato dal piano e pad atmosferici per poi esplodere tra riff e canti gregoriani, l’impeto scema e ci prepara un finale astruso tra fughe tastieristiche e controcanti gregoriani. “Hourglass” sembra voglia sintetizzare in pochi minuti quanto precedentemente ascoltato, tra mellotron, organi, violini e canti gregoriani… ovviamente senza alcun filo conduttore. Le sonorità orientaleggianti di “Fireworker” sembrano renderlo un pezzo interessante ma poi cambia improvvisamente in numerose ed indescrivibili direzioni sonore ed è stato bravo il nuovo batterista Robert Johansen a tener testa! La successiva “Antique” procede anonima nel cantato monocolore di Jan H. Ohme. A “Sapien” è affidato il finale, ed è un altro lungo ed articolato pezzo. Inizia in un atmosfera sospesa tra pattern elettronici e pad di rara bellezza e solennità, il cantato accompagna  a dovere e tra varie e brevi esplosioni e divagazioni chitarristiche si chiude sommessa e delicata come nella loro tradizione stilistica. Insomma, a parte questi 2 lunghi pezzi ricchi di spunti interessanti e coinvolgenti, l’album mi resta sconclusionato, o troppo articolato, senza mordente e senza quasi più nemmeno gli arpeggi gustosi di Vilbo o il violino di Kromer.
Best tracks: “Space cowboy”, “Sapien”. 6/10

 


Abbandonato definitivamente il progetto/sfida “ASIA featuring John Payne” nel rispetto del defunto John Wetton, l’indomito polistrumentista John Payne dà seguito al primo ed omonimo “Dukes of the orient” con un secondo capitolo. Se il guitar-hero Guthrie Govan lo aveva portato su sentieri metal-prog con i GPS, qui è il tastierista Erik Norlander a trascinarlo verso un Aor dal gusto vintage e tratti di Prog americano, sonorità che lo distinguono anche dal loro primo album e che farà felici i più attempati rockers dei seventies o eighties, deliziati di un quasi onnipresente sax. L’apertura è affidata alla genesisiana “The Dukes return” con un Norlander che fa chiaramente il verso a Banks ed un finale che rispolvera i Supertramp anche solo per l’intervento del bel sax di Eric Tewalt. La successiva “The ice is thin” è costruita sul pianoforte e voce inconfondibile di Payne, un midtempo che rimanda a quel bellissimo “Arena” degli “ASIA feat J.P.” ed ancora ai Supertramp con Tewalt che sembra la controfigura di John Hellywell. “Freakshow” addirittura ci sembra riportare agli "Emerson/Lake/Palmer“ nella sua complessità e teatralità, gran lavoro di Norlander che si dimena sapientemente anche sull’hammond. “The monitors” è più moderna negli arrangiamenti e nelle sonorità, refrain trascinante come Payne sa bene imbastire e divagazioni tastieristiche. Il Prog avanza nella bellissima “Man of machine”, che distribuisce virtuosismi per tutti, ed anche Alex Garcia si è così presentato alla chitarra elettrica. Finalmente arriva la ballad di Payne e sono brividi, “The last time traveller” è un inno per la sua magnifica voce e contiene un lungo intermezzo di soli strumentali per ogni gusto: hammond, wurlitzer, sax e chitarra elettrica. “A quest for knowledge” riporta indietro a Yes, Kansas, e Styx e quindi chorus che si amalgamano in modo stupefacente ai più arditi soli e timbriche dei musicisti (Payne si espone anche in un bel guitar-solo). Emerson è chiaramente il mentore di Norlander ed il lavoro che fa sulla bella strumentale “The great brass steam Engine” è sensazionale, tutto quello che è possibile utilizzare dal suo vasto apparato tastieristico vi è qui condensato. Gli “ASIA” di “Arena” riaffiorano in una “When ravens cry” che sciorina il versatile e sempre più sorprendente repertorio espressivo di Payne. Il finale è affidato al carezzevole Aor di “Until then”, forse datato ma sempre affascinante perché quando lo forniscono musicisti di questo calibro nulla è mai scontato, basta godersi gli ultimi due minuti del pezzo. Non nascondo che l’intero album l’ho apprezzato sempre più dopo ripetuti ascolti e questo per sottolineare come i grandi musicisti sanno farsi scoprire poco per volta!
Best tracks: “Man of machine”, “The last time traveler”, “Until then”. 8/10

 

 

Non era facile trovare un nuovo eroe del Prog pari a Steven Wilson dei Porcupine Tree ed invece possiamo ufficialmente annunciare che c’è, esiste, e si chiama Bruce Soord. Forse non si può più parlare di Prog nel suo senso storico ma di eroe musicale a tutto tondo. Già con “Dissolution” la band aveva sterzato su lidi più commerciali e sintetici, un disco modellato per esaltare il nuovo batterista: sua maestà Gavin Harrison. Con quest’ultimo “Versions of the truth” è confermata la svolta. L’artwork di  copertina ben descrive i contenuti: epoca di confusione, le informazioni sono enigmatiche per la ricerca di una verità. Questa sospensione o precarietà è percepibile anche musicalmente. Mi spiego con ordine: si inizia con la splendida “Versions of the truth”, parte sussurrata per esplodere in magistrali arrangiamenti vocali supportati da una ritmica impetuosa, il puntellamento del piano e del cantato malinconico di Soord  richiamano ai Genesis di gloriosa memoria…un peccato finisca così, sul più bello. “Break it all”  è godibile quanto sentita e la successiva “Demons” poteva essere un bel pezzo per il Bruce Soord solistico,  refrain che si fa ricordare in un atmosfera acustica ed intimistica. La ballata di “Driving like maniacs” è davvero bella e  suggestiva, atmosfera sussurrata che si fa cantare, in macchina o in riva al mare alla vista di un tramonto…ma bisogna fare alla svelta perché dura poco! Si resta sulle stesse frequenze con “Leave me be”, tre accordi portanti per il ritornello e piccole divagazioni per un altro pezzo piacevole e nulla più. Il wurlitzer dei Supertramp affiora nella sussurata “Too many voices” che anticipa il pezzo più elaborato e interessante del nuovo lavoro: “Our mire”. Tutto il repertorio emerge in modo bilanciato ed efficace, ritmica superlativa, refrain vincente e note chitarristiche che rimandano a Steve Rothery dei Marillion. Ancora ultimi Marillion emergono nella bella “Out of line”, cadenzata e tanto cantabile. “Stop making sense” è un altro pezzo accennato, delicato, ben costruito e arrangiato. La chiusura appartiene alle misteriose atmosfere di “The game”, pezzo straordinario costruito sul saliscendi di un organo da brividi, accompagnato maestosamente dalla ritmica di Harrison e dalla voce sussurrata di Soord…ma non è possibile  lasciarlo finire così, almeno un assolo chitarristico era dovuto, era perfetto. Insomma, se i nostri volevano lasciare musicalmente il segno di sospensione di questi cupi tempi ci sono riusciti in modo geniale ma per me resta solo un bel disco, dal vero potenziale inespresso.
Best tracks: “Versions of the truth”, “Driving like maniacs”, “Our mire”, “The game”. 7/10

 


 

 


La dimostrazione tecnica della band teutonica è stata ampiamente comprovata con il “Live from Hamburg” e le loro interessanti soluzioni musicali già con ottimi album come “Avoid the light” e l’ultimo “Boundless”. Ora il quartetto tedesco ha voglia di raccogliere anche consensi commerciali che superino l’etichetta di “nuovi Tool”. Il viaggio si preannuncia interstellare già con l’opener “Curiosity part 1” che poi esplode, nella part 2,  in una ritmica equiparabile a “Voyage 32” dei Porcupine Tree! La successiva “Hazard” è il marchio di fabbrica della band: arpeggi chitarristici che dialogano perfettamente in un contesto ipnotico, cosmico e sempre dinamico ad esaltare i due chitarristi Jordan/Funtmann. L’elettronica si fa sempre più fitta in “Voices”, i Kraftwerk che  incontrano le vecchie produzioni di Alan Parsons Project potrebbe entusiasmare ma il pezzo poi dirotta su sentieri troppo sentiti e scontati del loro sound. La breve “Fail/Opportunity” invece è più originale se non altro per il coraggioso dialogo di basi elettro-percussive con un violino che dirige l’intero motivo. Entriamo ora nel cuore cosmico con i rimandi ai Tangerine Dream di “Immunity”, un moog ossessivo spazzato via dal fin troppo conosciuto lavoro del duo chitarristico. “Sharing thoughts” suona molto per il precedente album “Boundless”, ma è bellissima nel suo crescendo ritmico. “Beyond your limits” è l’unico pezzo cantato ma lo menzionerei solo per l’ottimo basso di Hoffmann. “True/negative” vuole solo introdurre, nella sua base elettro-industrial, il finale introspettivo e floydiano di “Ashes”. Il tentativo di introdurre elementi nuovi e ariosi nel loro sound per limare la pesantezza ossessiva delle loro composizioni è apprezzabile ma non convincente, mi sembra abbiano voluto mettere al fuoco troppa carne facendo un pò confusione. Io preferisco allora la versione genuina, cruda e diretta del precedente “Boundless” nell’attesa rimodulino la loro versione più originale o commerciale, di cui capisco c’è necessità.
Best tracks: “Curiosity”, “Hazard”, “Immunity”. 7/10



AYREON will release new album "Transitus" on 25th september 2020.
 

 

 

Inarrestabile la sua produzione musicale, ora sempre più impegnata nel sociale. Con “All visible objects” si torna alla formula che lo ha portato al successo: tecno-dance-ambient molto avvicinabile a quel sottovalutato “Destroyed” di quasi un decennio fa. Subito l’inno tecnopercussivo di “Morningside” per una dance tribale ed anche suggestiva, perché Moby sa come essere originale e fare un disco che “acchiappi”, per questo trovo interessante l’utilizzo di un inspiegabile organo. Una frase, stile “Porcelain”,  ai tasti d’avorio è la struttura portante della bellissima “My only love”, che alla sublime voce di Mindy Jones annovera tappeti tastieristici davvero coinvolgenti. Ancora tecno-dance tribale con “Refuge”. “One last time” è lo standard classico del disco: atmosfera ambient e voci sintetizzate e sussurrate. Con la successiva “Power is taken” si torna ad una tecno molto cibernetica, e chi avesse bisogno di un momento più riflessivo è accontentato dall'interpretazione vocale di Apollo Jane in “Rise up in love “.  Da questo momento i pezzi diventano sempre più ambient ed eterei: bellissima “Forever”, in cui vi confluisce tutto il repertorio del  Moby ipnotico, ed interessante anche la più intima e fin troppo lunga “Too much change”. C’è spazio anche per l’ambient più minimal di “Separation”, un piano puntellato nello stile di Brian Eno. “Tecie” è un ulteriore viaggio ipnotico tra sommessi ritmi tribali e stilosi tappeti tastieristici. Il finale è sviluppato da un lungo  e lento fraseggio al pianoforte potenziato da un synth che evochi anche quel tono drammatico alla malinconia generale di questa “All invisible objects”. Bel disco ma senza picchi che si lasciano ricordare a lungo.
Best tracks: “My only love”, “Forever”, “Tecie”. 7/10
 



 

 

Il loro esordio “Identity” li lanciò tra le migliori prospettive del panorama progressive di stampo floydiano. Dopo undici anni giungono al quinto tentativo di conferma tra diversi lavori un pò spenti, stanchi, troppo scontati, forse a causa della creatività in parte mozzata di Bjorn Riis. Il chitarrista più gilmouriano del circuito mondiale ha dedicato infatti alla carriera solista molte idee buone, utilizzabili nella sua band. Questo “A day at the beach” invece sembra partire col piede giusto: “Machines and men” preannuncia un certo grado di elettronica di fondo, interessantissimo. In un cyber-atmosfera  il brano cresce nelle ritmica ed il cantato di Tostrup si sposa perfettamente. Bello il refrain, bello il solo di Riis, un magnifico inizio! La prima parte di “A day at the beach” è un breve e pacatissimo accenno della successiva seconda. Prima però ci sono “Into the unknown”, che sembra uscita dai Radiohead più minimal nella prima parte e dai Pink Floyd di “Division bell” nella seconda, e “Sunsets” una vera summa del loro stile musicale e delle loro capacità tecniche (Riis ancora in grande evidenza). Si giunge al cuore dell’album dopo le belle premesse descritte: la seconda parte di “A day at the beach” è tra i vertici assoluti della loro produzione. In un ambiente cosmico e very dark si staglia un arpeggio vincente e ripetuto come un mantra che ci proietta in un salto quantico, onirico ed emozionale. Il fraseggio finale di Riis è la classica ciliegina di un capolavoro. Non paghi del loro incredibile lascito, i ragazzi norvegesi ci catapultano direttamente nelle atmosfere del loro monumentale “Identity”: “ Megalomaniac” è un vero tributo alle atmosfere di quell’album. Lenta,  trascinata da un arpeggio magnifico e dalla voce straziata di Tostrup culmina ancora nella feroce performance di Riis, impagabile questa volta nel suo apporto all’album. Forse non è al livello di quel best seller d’esordio, ma “A day at the beach” è da avere assolutamente nella propria collezione soprattutto con le premesse di quest’ elettronica che potrà fare la differenza non solo creativa per il futuro della band.                                                           
Best tracks: “Machines and men”, “A day at the beach p.2”, “Megalomaniac”. 8/10


BLACKFIELD will release the new album "For the Music" on 02th october 2020.

FISH will release the new album "Weltschmerz"" on 25th september 2020.

GAZPACHO will release the new album "Fireworker" on 18th september 2020.

THE PINNEAPPLE THIEF will release the new album "Versions of truth" on 04th september 2020.

DUKES OF THE ORIENT  will release the new album "Freakshow" on 07th august 2020.

LONELY ROBOT will release the new album "Feelings are good" on 17th july 2020.



 


 


Dal suo “surf” capolavoro del 1987 la marcia produttiva del guitar-hero è stata inarrestabile e costante, e con questo “Shapeshifting” siamo al diciassettesimo sigillo. Satriani presenta la line-up (Chris Chaney al basso e Kenny Aronoff alla batteria) con la sua stilistica “Shapeshifting” giocata su una sua frase melodica ripetuta  e lavorata come lui sa magistralmente fare. “Big distorsion” ha un sentore “Aor” alla Toto o Journey.  Arriva la prima ballad e con essa le prime vere emozioni, “All for love” ha fraseggi meravigliosi. Più articolata e complessa da un punto di vista compositivo è l’orientaleggiante “Ali farka, dick dale…”. Ritmica secca e bluesy accompagnano come una jam la performance di Joe in “Teardrops”. “Perfect dust” è un rock-blues esemplare e coinvolgente, dal mood cangiante. La successiva “Nineteen eighty” è un bel demo (anche primo “single”) del suo vasto repertorio. Anonima “All my friends are here” e più interessante la più veloce e trascinante “Spirits, ghosts and outlaws”. Atmosfere soft  ed arrangiamenti ben congeniati e costruiti per “Falling stars”, ancora fraseggio chitarristico in bell’evidenza. Sul pianoforte ruota la breve e splendida “Waiting” magistralmente puntellata dall’elettrica. Se il disco voleva essere più sperimentale, non poteva mancare anche un reggae personalizzato (“Here the blue river”) e un country finale (“Yesterday’s yesterday”). Ancora una volta un bel disco di Satriani, non sempre riuscito ed ispirato… ma ammirevoli anche solo le buone intenzioni di cercare qualcosa di diverso, nuove soluzioni in un genere ormai saturo.
Best tracks: "All for love", "Falling stars", "Waiting". 7/10


 

 

Nick Barrett non ha mai fallito e non poteva farlo dopo 6 anni dall’ultimo “Men who climb mountains”. Ritorno a sonorità più leggere, ariose e prog dei primi lavori, quelli degli anni 90’, quelli che li hanno cristallizzati tra le migliori band prog britanniche e non solo (e lo si capisce anche dall’artwork tornato ad uno “stile artigianale” dopo le “avvisaglie digitali”) . Solita line-up a parte il ciclico saliscendi “sulle pelli”, ora figura l’ottimo Jan Vincent Velasco alla batteria. Già dall’iniziale “Everything” si percepisce il cambio di direzione stilistica dagli ultimi lavori più metal e sperimentali, una specie di inno del loro sound degli esordi, con proprio tutti gli elementi compositivi che li hanno caratterizzati. La successiva “Starfish and the moon” è un altro pezzo alla Pendragon, questa volta meno ritmo e tanto sogno: la voce di Barrett accompagnata dal piano in un atmosfera eterea e carezzevole. Con questo riscaldamento si impenna l’asticella forse al picco massimo: “Truth and lies”. Contagioso arpeggio di chitarra barrettiana, sostenuto da tappeti tastieristici degni del miglior Nolan aprono il pezzo fino ad esplosione sonora da brividi. Assolo struggente, stiloso, gustoso, straordinario all’elettrica di Barrett degna del miglior Gilmour. Ancora un inchino a questo straordinario chitarrista che trascina come pochissimi sul manico della sua tastiera. Ogni sua nota è una gemma nel cuore...e si riacquieta ancora nel bellissimo arpeggio iniziale. “360 degrees” rappresenta la voglia più spudorata di recuperare certe radici folk con tanto di violini e mandolini (ukulele) che firmano il pezzo più barocco dell’album. Solo una parentesi perché “Soul and the sea” ci ricatapulta nelle atmosfere di “Truth and lies”: ancora arpeggi e violini di fondo e da preludio, 4 note sospese (ma ben impresse) al piano ed il brano esplode in un refrain irresistibile. Nolan detta i tempi e Barrett lo segue in un tripudio vorticoso, carico di elettricità e pathos maestoso. Bellissima! Non c’è tempo di rifiatare perché la successiva “Eternal light” parte subito carica e con grande ritmica di Velasco. Questa volta gli arpeggi si alternano tra quelli di Nolan e di Barrett e comunicano con un falsetto di cori tastieristici fino all’ennesima esplosione chitarristica di Barrett che prima rimarca il motivo con la sei corde e poi finisce in un altro assolo favoloso, tenendo le note come in pochi sanno fare. Tutto verrà giustamente ripetuto ed intervallato da notevole intermission tastieristica. Entusiasmante! Serviva un brano decompressore e giunge la pacata “Water”, che permette prima a Velasco di dimostrare velatamente tutto il suo gusto e poi a Barrett di tirare fuori l’ennesimo guitar-solo da applausi scroscianti. Le note di pianoforte su “Whirland” richiamano prima il romanticismo dei Genesis e poi la pomposità degli Yes (Wakeman) fino all’inserimento di un sassofono che segna il pezzo in un’inconsueta e rarefatta atmosfera. C’è ancora spazio per articolare un brano più tirato ed epico, da collegamento con l’album precedente, prog puro alla Pendragon che riconsegna lo scettro a Barrett, si dimena tra cantato (molto riuscito), acustica in accordi e arpeggi e poi solo sulla sua fida elettrica  ben accompagnato dai tamburi di  Velasco. A chiudere questo bellissimo album servirebbe una specie di “Am I really losing you?” e quindi ci è servita una degna gemella, costruita più sul lavoro di Nolan, egregio ed ispirato chiude con una sequenza tastieristica che lascia il segno, al cuore. Non ha invenzioni o genialate ma è tra gli album più belli della band assieme a “Not of this world” e “Passion”, dopotutto i Pendragon hanno sempre mantenuto un altissimo livello di Musica (incompresa ai più).
Best tracks: "Truth and lies", "Soul and the sea", "Eternal light". 8/10


CONCEPTION will release the new album "State of deception" on 10th april 2020.

AIRBAG will release the new album "A day at the beach" on 19th june 2020.

STEVEN WILSON will release the new album "The future bites" on 12th june 2020

STEVEN WILSON in tour:
Date in Italy:  Milano, 23 september 2020, Mediolanum Forum Assago.

MOBY will release the new album "All visible objects" on 15th may 2020.

LONG DISTANCE CALLING will release the new album "How do we want to live?" on 26th june 2020.






 

The legendary and pyrotechnical drummer and high-concept lyricist for the Canadian progressive-rock trio Rush died on tuesday, january 7th 2020 in California for a brain cancer. He was 67 years old.
He was for me not only an icon of the instrument but a rare introspective man at the service of Music.
Leave an unbridgeable void in the extraordinary Music of Rush that he gave us.

"Learning that we're only immortal for a limited time", thanks Neil Peart, for ever.























 

Peter Baumann e Paul Haslinger formano questo progetto nel forte intento di ripercorrere il loro periodo storico nei Tangerine Dream in una chiave moderna, contemporanea. Un lavoro ambizioso e con un parto lungo e complesso che ci regala, in doppio CD, un evocativo e bellissimo viaggio cinematico; curatissimi sono parallelamente artwork e videoclip di supporto. L’apripista è affidata a “Cascade 39” un iperbole galattica degna della miglior Kosmic Music. Cito anche la misteriosa “A world apart”, l’ipnotica “Counting on time” in cui si intrecciano passaggi solenni, la percussiva e drammatica  “Dream 9”, “The lost cord” in cui la profondità di un basso profondamente “pizzicato” scava sequenze astruse e darkeggianti. Nel secondo CD l’apertura è affidata a “Measure 3”, sembra di rivivere le sequenze ’70 di Klaus Schulze e Company. Atmosfera sospesa da frasi che si chiamano e  si rispondono in “ The long now”, menziono infine il titolo di chiusura “Longing in Motion” che contiene interessanti soluzioni compositive.
Best tracks: “ Cascade 39”, “Counting on time”, “The lost cord”. 7/10

 

 

 

JOE SATRIANI will release the new album "Shapeshifting" on 10th april 2020.

JOE SATRIANI in tour:
Date in Italy: from 10 may 2020 in Bologna, Firenze (12), Napoli (14), Lecce (15), Roma (16 at Auditorium Conciliazione), Milano (18).

THE PINNEAPPLE THIEF in tour:
Date in Italy: Roma, 4 and 5 november 2020, Auditorium Parco della Musica, Milano, 6 novembre 2020, Live Club - Trezzo sull'Adda", Treviso, 7 november 2020, New Age Club.




 


Non sono più una band promettente, ma tra le migliori realtà della scena musicale contemporanea. Il gruppo norvegese si sta imponendo con un menù originale ed efficace. I Muse più tenebrosi arrivano al loro sesto album dopo il già convincente “Malina” e chiaramente aspirano al salto di qualità decisivo anche  a livello commerciale. La formula sembra essere il maggiore focus sulle qualità del vocalist e frontman Einar Solberg e già il pezzo d’apertura “Below” conduce in questa direzione. Armonie vocali maestose, archi che ne enfatizzano la magniloquenza del brano e le chitarre di puro abbellimento e ricamo. Un singolo bellissimo ed efficacissimo. Nella successiva “I lose hope” Solberg dimostra le sue diverse capacità interpretative  e vocali cimentandosi in un pezzo più danzereccio, dal sound 80’. Anche la delicata e sussurata “Observe the train” è una testimonianza della versatilità vocale del frontman, i primi Queen qui hanno ispirato parecchio questa ballad. “By my throne” invece ci riporta alle loro vecchie produzioni, vecchie per dire “Malina”! Qui voglio menzionare la prova dell’altro grande fenomeno della band, il batterista Baard Kolstad che inizia solo a scaldare le pelli. Invece con “Alleviate” si torna alla magniloquenza vocale del brano d’apertura, la costruzione e l’uso degli strumenti del brano è geniale. La seconda metà dell’album si fa più complessa, diciamo più prog ed i toni più drammatici. “At the bottom”  è un saliscendi emozionale in cui si intrecciano refrain irresistibili, e poi il fraseggio di un meraviglioso violino verso un finale ritmico che dimostra tutto il gusto e l’abilità di Kolstad. L’asticella si mantiene elevatissima anche con “Distant bells”: l’atmosfera melodrammatica è inizialmente condotta da piano, violino e Solberg che destreggia vocalizzi spaziali, poi succede che le chitarre iniziano a  carburare l’esplosione finale in un crescendo che lascia senza fiato e tanti tanti brividi, tra orchestrazioni e falsetti eccezionali. Un pezzo meraviglioso. “Foreigner” non poteva che fungeere da decompressore e quasi passare in sordina per il grande finale. Infatti sarà “The sky is red” il vero ultimo capolavoro. 11 minuti di arte in cui ogni singolo musicista alza il tiro al massimo e si condensano in un esperienza musicale straordinaria, c’è tutta l’epicità e la sospensione affascinante di “Echo” ma quello che accade nei 4 minuti finali è sconvolgente, una costruzione dei suoni a dir poco spaziale, indescrivibile. Beh, con un finale così ai Leprous manca pochissimo, ma proprio pochissimo per firmare il capolavoro, sento che manca qualcosina ancora, non saprei cosa, forse non tutti hanno espresso al massimo le loro enormi potenzialità e Solberg è troppo protagonista?!
Best tracks: “At the bottom”, “Distant bells”, “The sky is red”.  8/10

HANS ZIMMER in tour:
Date in Italy: Bologna, 17 mars 2021, Unipol Arena,  Milano, 18 mars 2021, Mediolanum Forum Assago.

DREAM THEATER in tour:
Date in Italy: Roma, 11 february 2020, Palaeur, Milano, 12 february 2020, Mediolanum Forum Assago.

New album for 2020: DUKES OF THE ORIENT, AIRBAG, CONCEPTION, PLACEBO, THE PINNEAPPLE THIEF, MARILLION, FISH.

PENDRAGON will release the new album "Love over fear" on 14th february 2020.





 


Tredicesimo album per la prolifica ed originale band svedese che prosegue ormai sui territori prog-sperimentali che ci hanno regalato quel bellissimo “Pale Communion” di 5 anni fa. Ad introdurre la nuova musica, registrata e disponibile anche con cantato in lingua svedese, è la strumentale e spaziale “Garden of earthly delights”, mentre l’istrionico leader Akerfeldt sale in cattedra con “Dignity”, il single su cui è stata allestita una bellissima videoclip. Con “Heart in hand” sembra di ascoltare i leggendari primissimi Deep Purple nelle parti ritmiche ed insieme gli Uriah Heep nelle parti vocali, un pezzo arricchito da tanta maestria sulle sei corde, elettrice ed acustiche. Il sound dei 70’ domina anche la successiva “Next of kin”, composizione fin troppo pomposa ed articolata in cui si alternano momenti acustici ad altri epici. ”Lovelorn crime” ci riporta a certe ballate alla Kansas, un mid-tempo costruito al piano ed inserti di mellotron che innescano un bel guitar solo più moderno, ma resta una composizione senza clamori. “Charlatan” invece è un pezzo decisamente più dinamico e astruso, cambi di ritmo, tempi dispari sono il pane per denti progressivi ma difficilmente digeribile. Toni epici in “Universal truth” costruita su ricercate armonie vocali, saliscendi folkeggianti. Davvero più interessante ed originale la successiva “The garroter” che apre il folk al jazz con maestria disarmante, qualcosa di veramente riuscito e avvincente. L’iniziale ritmica di “Continuum” faceva presagire a qualcosa di molto originale e sperimentale ma il pezzo prosegue con tanti strappi elettrici e vocali, prevedibili. Il finale spetta a “All things will pass” ed è un grido al pericolo della tecnologia tradotto da un riffone epico, o che comunque vuol farsi ricordare. L’album non lo ricorderò però tra i loro migliori, perché esageratamente articolato ed ambizioso, forse.
Best tracks: “Dignity”, “Heart in hand”, The garroter”. 7/10

 


Tra le Prog-band più longeve del post Genesis, il marchio inglese IQ giunge (dal 1983) all’undicesimo capitolo, e con la puntuale scadenza periodica dei 5 anni promuovono il successore del loro ultimo e bellissimo “The road of bones”. Un doppio CD di musica che non sembra aggiungere altro alla loro discografia, a volte fin troppo scontata ed anche scollegata. L’intro “A missile” ne è la migliore testimonianza: pezzo sostenuto ed aperture tastieristiche come da copione. Anche la successiva “Rise” si evolve in modo prevedibile ma è un bel pezzo atmosferico che valorizza la voce (ed il cantato) di NIcholls. La malinconia delle note introduttive di Durant in “Stay down” firmano il loro pezzo più riuscito, costruito egregiamente e rimandandoci alle sonorità di quel capolavoro di “Subterranea”. “Alampandria” richiama inizialmente al Medio Oriente ma poi esplode in luoghi fin troppo conosciuti. Sconclusionata. La successiva ed atmosferica “Shallow bay” si lascia ricordare per l’intervento chitarristico finale di Mike Holmes, dopo oltre 20 minuti dall’inizio dell’album. L’interessante lavoro “alle pelli” di Cook impreziosiscono la sussurrata ed acustica “If anything”, che trova lo spazio anche per l’organo finale di Durant. La lunga “For another lifetime” conclude il primo CD con atmosfere rarefatte ed astruse, il pezzo più prog ma anche il più sconclusionato. Il secondo disco propone la prima delle 2 lunghe suite, “The great spirit way” non ha un motivo conduttore, un pomposo e confuso prog senza trame avvincenti. Più coesa ed affascinante “Fire and security”. “Perfect space” si fa apprezzare per le doti tecniche dei singoli musicisti e niente più. “Fallout” è l’ultima suite di “Resistance”, una cavalcata sonora senza idee vincenti. Purtroppo un passo indietro rispetto i precedenti lavori, anzi anche due. Non si poteva pretendere un altro capolavoro, ma dopo 5 anni qualche idea interessante decisamente si.
Best tracks: “Rise”, “Stay down”.  6/10

 

 

L’attesa è finita. Il nuovo album dei Tool è servito dopo ben 13 anni! Il loro quinto dall’esordio datato 1993 si arricchisce di cyber-atmosfere, maggiore utilizzo dei sintetizzatori ed il cantato di Keenan di pura modulazione. I fan sono stati premiati anche da un packaging della confezione (limited edition!) sensazionale: grafiche e contenuti deluxe con incluso schermo e video per un immersione totale all’ascolto. I Tool hanno sempre curato il loro visual ed anche i loro spettacoli live si manifestano come eventi multimediali. La title-track apre il disco senza clamori particolari, una perfetta sintesi del loro sound tenebroso, tribale, astruso; Keenan accompagna, sussurra, quasi imbastendo in alcune sezioni un motivo rap, poi è la ritmica a farla da padrone sul motivo di Adams ripetuto per tutto il pezzo. Decisamente più interessante e coinvolgente la successiva “Pneuma”, un riff cadenzato, lento ed oscuro inseguito perfettamente dal cantato… per poi divagare tra atmosferici inserti synth che sfociano invitabilmente in un finale “arriffato” e arrabbiato. “Invincible” apre con un atmosfera sospesa, percussioni e basso di Chancellor in evidenza poi succede improvvisamente qualcosa di geniale: Jones attracca note chitarristiche e poi un motivo sintetizzato ci catapulta in un universo lisergico, prima con il vocoder di Keenan, poi le bacchette magistrali di Carey disegnano percorsi in levare davvero travolgenti. La successiva “Descending” sembra essere il pezzo più “armonicamente corretto”, alla “Perfect Circle” per capirci, ma dopo i primi 5 minuti sale in cattedra Adams che tesse trame chitarristiche avvincenti, direi meglio spaziali, perché nel finale sembra di essere entrati in universi oscuri tra solos e wah-wah di un Adams compositivamente in grande spolvero. L’iniziale atmosfera pacata di “Culling voices”, costruita su lungo arpeggiato di Adams, si spezza quando Carey si dimostra stanco di aspettare! La strumentale “Chocolate chip tap” è una gemma lisergica e percussiva di Carey, che sfodera tutta la sua creatività. La chiusura è affidata a  “7empest” e sembra voglia “sintetizzare” (!) da sola l’intero lavoro. Un pezzo aggressivo, a dire il vero un po’ confuso, in cui emergono lunghi intermezzi strumentali, quasi da jam session…anche molto belli. Era il settimo pezzo, ed il 7 sembra riproporsi costantemente sia a livello musicale (ritmica) che concettuale. Per dire che i Tool non lasciano nulla al caso, i Tool vogliono essere oltre la Rock-band: la simbologia ed i testi impegnati, a dispetto "dell 'autodistruzione dell’uomo” e dell' impossibilità "di galleggiare all’infinito”, loro vanno avanti, lentamente ci portano un altro piccolo capolavoro.
Best tracks: “Pneuma”, “Invincible”, “Descending”.  8/10



 

 

La sua carriera solista procede spedita e parallela a quella dei Radiohead, ed a 5 anni dal suo “Tomorrow’s  modern boxes” propone sul mercato (classico) il suo disco più claustrofobico, algido ed inquieto, anzi inquietante! Musicalmente affidato ormai ai suoi beat elettronici sempre meno prestati all’armonia ed alla melodia (rispetto a “The eraser”, per eesmpio) e più ad una costruzione raffinata e vorticosa di paesaggi sonori che accompagnassero le sue visioni, quelle interpretate magistralmente in tour dall’artista visivo Tarik Barri. L’elettronica di Yorke qui si avvicina più ad un Brian Eno d’annata che alla trance cosmica di Schulze o melodica di Jarre. E’ sempre il fido Nigel Godrich a dirigere le operazioni in questo vero labirinto sonoro, ma così facilmente riconoscibile da diventare quasi schedato, noioso. I temi trattati sono quelli attualissimi e trafficatissimi: “Traffic” apre bene con l’ossessivo beat che inizia a scavare nel disco, “Last I heard” invece accenna ad una melodia con un puntellato uso dell’organo ma sempre dentro un atmosfera avvolgente  ed onirica, davvero un gran pezzo. “Twist” è un loop cadenzato da 2 note di pianoforte, la successiva “Dawn Chorus” è tra i suoi pezzi più belli in assoluto, voce sussurrata in un atmosfera slow motion, davvero da brividi. Sorvolo l’inutile ed arida “I am a very rude person” e passo ad un altro pezzo interessante: “Not the news”, altro ossessivo beat immerso tra orchestrazioni e cori in un’ astrusa atmosfera onirica. “The axe” è spaziale, avvolta in una raffica di colpi sonori circolari, rimanda a tratti a quella meravigliosa melanconia di “Exit music”. “Impossible knots” passa senza emozione alcuna, mentre “Runwayaway” è l’epilogo degno: intrecci afro-psichedelici legati da un refrain elettronico che a sua volta innesca un’algida melodia. Yorke firma certamente il suo lavoro migliore, un disco che richiede ripetuti e completi ascolti perché si apprezzino le numerose ed articolate sfaccettature musicali… com’è giusto che sia quando si esplorano i misteriosi territori dell’Anima.
Best tracks: “Dawn chorus”, “The axe”, “Runwayaway”. 8/10


 

 

 

Finalmente è nata la nuova fiammante creatura della band tedesca. Dieci anni di parto, no, di concepimento, tra “live” clamorosi e spettacolari e progetti satellitari, il marchio Rammstein timbra il disco più atteso di quest’epoca (insieme a quello dei Tool). Come sorprendere ancora dopo aver trovato una formula musicale così vincente? Cosa può esserci oltre quel muro granitico delle chitarre che protegge e libera il cantato tedesco, teatrale e cadenzato di Lindemann armato delle invenzioni elettroniche di Lorenz? Sostanzialmente null’altro, solo un arricchimento negli arrangiamenti di una formula vincente ed ormai matura. L’open track è quel primo singolo/videoclip che ha da solo vinto ogni record (30 milioni di  visualizzazioni in pochi giorni su Youtube), difficile stabilire se sia più bello il pezzo musicale o il cortometraggio d’autore: “Deutschland” è ormai un inno, costruito su una base elettronica arpeggiata a gran velocità, liberando poi quel sontuoso refrain che rimarrà memorizzato già al primo ascolto. Travolgente ed ipnotica, raccoglie la storia controversa della terra germanica, una storia che finisce tra le meravigliose e seducenti note di pianoforte, apprezzabili solo nel video! L’ironia dei dissacranti Rammstein non è da sottovalutare mai, per questo sfoggiano un hit-single eighties: “Radio” sfodera un mix mostruoso di coesione tra riff devastanti, refrain avvincente e base tastieristica da disco. Non c’è un attimo di tregua, parte subito la gotica “Zeigh dich”, nel martellante  muro di riff maestosi  ed in quel buio scenario sabbathiano si scaglia quella lingua tedesca  così perfetta nella sua apparente antimusicalità. Lindemann non sembra soddisfatto abbastanza delle sue provocazioni, così si dimena stavolta in un contesto “techno”: frasi ad effetto in multilingue colorano “Auslander”, falsetti e vocalizzi commoventi (si fa per dire!) di Lindemann regalano ancora un pezzo travolgente e vincente anche per le discoteche!  La successiva “Sex” scorre relativamente tranquilla nello standard Rammstein, che il tema ha trattato già tanto spesso nel passato. Le atmosfere si fanno tenebrose, Lindemann parla, racconta e accenna addirittura una melodia nel malinconico arpeggio di base ma, fermi tutti! Il frontman tedesco si scatena e mena a pieni polmoni come mai prima, in un pezzo cadenzato e strutturato dalla batteria massiva. Era “Puppe”! L’astrusa e per questo seducente “Was ich liebe” ha un refrain epico, quasi solenne…tutti gli strumentisti compiono un lavoro egregio, dalle soluzioni raffinate. Non sembra vero ma c’è un attimo di quiete, è “Diamant”, gioiellino acustico per le peculiarità vocali  e teatrali di Lindemann. Quando parte “Weit weg” sembra di sentire i Deep Purple di “Perfect strangers”, ottimo lavoro di Lorenz ai synth e sorprendente (ma breve) intervento della chitarra solista. I riffoni e conseguenti ritornelli di “Tattoo” e la più malinconica, articolata e ben costruita e suonata “Hallomann” chiudono questa nuova opera dei Rammstein. Forse ci aspettavamo qualcosa di clamoroso, di destabilizzante, perché i Rammstein sono fondamentalmente questo… no, non ho trovato genialate ma il disco è bellissimo, progettato, suonato e prodotto ai massimi livelli, come il packaging, un fiammifero nella bianca purezza può accendere, distruggere e ricreare tutto, perché il fuoco ha creato i Rammstein!
Best tracks: “Deutschland”, “Zeigh dich”, “Auslander”, “Puppe, "Weit weg”. 8/10


RAMMSTEIN in tour:
Date in Italy: Torino, Stadio Olimpico, 13 july 2020.

ROGER HODGSON in tour:
Date in Italy: Alassio, Piazza Paccini, 27 august 2019.

IQ in tour:
Date in Italy: Roma, Crossroads, 11 october 2019, Novara (Fontaneto d'Agogna), 12 october 2019.

PENDRAGON in tour:
Date in Italy: Verona, Il giardino, 15 march 2020.

THOM YORKE in tour:
Date in Italy: Barolo (CN), 16 july 2019, Codroipo (UD), 17 july 2019, Ferrara, 18 july 2019, Perugia, 20 july 2019, Auditorium Cavea Roma, 21 july 2019.

TOOL will release the new album "Fear inoculum" on 30th august 2019.

IQ will release the new album "Resistance" on 27th september 2019.

THOM YORKE will releas the new album "Anima" on 19th july 2019.

The new electronic project NEULAND will release the new album "Neuland" on 25th october 2019.

LEPROUS will release the new album "Pitfalls" on 25th october 2019.

The film of "Us+Them tour" by ROGER WATERS will screen in theaters on start october ( 7, 8, 9 october in Italy).




 

 

Il progetto LR dovrebbe chiudersi con quest’ultimo capitolo della trilogia, ed il leader nonché polistrumentista John Mitchell è riuscito a farlo con una velocità ed una qualità disarmante se pensiamo ai suoi impegni con gli Arena e le innumerevoli collaborazioni in ambito Prog. Un breve intro strumentale introduce “Ancient ascendant”, rock catchy 100%. Interessantissima la successiva “Icarus”, dai supersynths anni ‘80… che si fa tanto cantare! “Under stars” invece richiama subito alla “Lea” dei Toto quando canta “We are..” con quel groovy sussurrato ed il guitar-solo alla Lukather. Ancora pop anni ’80 in “Authorship of our lives” ma neanche il buon solo chitarristico ne allenta la noia. L’effettata e lieve “The signal” funge da intermezzo per il rock stucchevole di “The only time…”. Molto più avvincente il prog di “When gravity fails” che evidenzia il basso di Steve Vantsis, il batterista Craig Blundell ed il bel lavoro tastieristico di Mitchell che però scade in un cantato ripetitivo e forzato. Nella successiva e melodica “How bright is the sun?” invece le vocals funzionano meglio, forse il pezzo più riuscito con ottimi interventi tastieristici e chitarristici. Mitchell è un chitarrista “coi fiocchi” e lo dimostra nella strumentale “Inside the machine”. “An ending” ci saluta sommessamente. A parte qualche buon pezzo, l’album non mi ha entusiasmato…forse davvero troppo frettoloso.
Best tracks: “Icarus”, “How bright is the sun?”, “Inside the machine”. 7/10


 

 

Il guru degli OZRIC TENTACLES debutta solista e si fa apprezzare per il suo talento chitarristico, probabilmente sottovalutato all’interno della band più concentrata all’impianto Space-Rock costruito principalmente dagli intrecci dei Synth. L’open track “Glass staircase” richiama inizialmente i Tangerine Dream ma pian piano Ed sciorina note e riff sulla chitarra elettrica senza però far decollare un pezzo compositivamente arido.  “Travel dust” invece ha un sapore fusion interessante, più sapiente ed originale l’uso delle tastiere ed anche l’apparato percussivo risulta più brillante.  “Oddplonk” è la più Ozric del disco con superlativi ricami chitarristici. L’intro subacqueo di “Shim” inganna quando Wynne impenna le sonorità in ambienti quasi jazzistici, sicuramente il pezzo più ispirato e coeso. Il finale è affidato a “Wherble”, la chitarra scompare quasi completamente per dar sfoggio alle sonorità tipiche dei Tentacles, intrecci tastieristici che però poco entusiasmano o sorprendono. Apprezzabile il tentativo di ED nel non ripetere un nuovo OZRIC TENTACLES, emerge il suo patrimonio chitarristico ma poco convincente nel risultato finale.
Best tracks: “Travel dust”, “Shim”. 7/10


 


Squallida uscita per aridità compositiva e stucchevolezza.
4/10













ANTIMATTER in tour:
Date tour in Italy:  Roma, Wishlist Club, 27 march 2019.

NICK MASON'S SAUCERFUL OF SECRETS in tour:
Date tour in Italy: Chieti, Arena La Civitella, 08 july 2019, Taormina, teatro Antico, 12 july 2019, Ravenna, Pala De Andrè, 14 july 2019, Roma, Auditorium Parco della Musica 16 july 2019, Perugia, Arena Santa Giuliana, 17 july 2019, Brescia, piazza della Loggia, 18 july 2019

ANATHEMA in tour:
Date tour in Italy: Roma, Ippodrome Capannelle, 23 june 2019, Trezzo sull'Adda (MI), Live Music Club, 24 june 2019


MARILLION in tour:
Date tour in Italy: Roma, Auditorium della Conciliazione, 12 december 2019, Padova, Gran Teatro Geox, 13 december 2019

RAMMSTEIN will release the new album "Rammstein" on 17th may 2019.

LEPROUS are in studio recording for the new album.

LEPROUS in tour:
Date tour in Italy: Parma, Campus Music, 18 november 2019.



 

Un po’ di tempo è trascorso da “Elements”, tanti concerti e tanto marketing…Einaudi è oggi un affermato, premiato e riconosciuto pianista nel mondo. Esce questo nuovo lavoro facente parte come primo di una collana articolata in 7 capitoli, 7 come i giorni della settimana. Ai svariati innesti strumentali nel sound degli ultimi suoi album Einaudi torna asciutto, asciuttissimo, minimal…si accompagna solo di violino, viola e cello. Il senso di solitudine e forte introspezione pervade ogni pezzo, a suo dire composto e ispirato da lunghe passeggiate tra le montagne innevate. Nulla di sorprendente, Einaudi è questo: ossessivo, ipnotico scrittore sonoro di malinconia ed inquietudine. Tutto questo avvinghia ogni pezzo di questo lavoro che sembra avvicinarsi alle Colonne Sonore, all’accompagnamento di immagini che crescono nell’immaginazione dell’ascoltatore, solo, tremendamente solo con un tempo a disposizione necessario per ascoltarlo tutto, per intero, perché così va ascoltato e apprezzato. “Gravity” sembra uscita dal Philip Glass di “Metamorphosis”, le tre parti di “Low mist” fanno il verso a “Time” di Hans Zimmer e la Var. 2 è un meraviglioso gioiello sonoro che rimanda all’intensità di “In un'altra vita”. “Matches” riporta al periodo sussurrato di “Ascolta”, “Golden butterflies” a quello “delle nuvole”, “Cold wind var.1” e “Fox tracks” alle contaminazioni degli ultimi lavori, “Ascent” insegue timidamente gli arpeggi e le fughe di “Divenire”. E’ un gran disco, probabilmente il più bello della sua lunga discografia, ispirato, ben costruito e così silenzioso da farsene avvolgere come fiocchi di neve che ci si adagiano nella nostra mente e soprattutto nel nostro cuore.
Best tracks: "Low mist var. 1 e 2", "Matches", "Cold wind". 8/10

 

La caparbietà e la passione di Mick Moss riesce a tenere ancora in vita il suo difficile progetto musicale e sembra crescere con un consistente e fedelissimo pubblico, seguace principalmente degli Anathema, perché Antimatter ne è la loro costola! Dall’iniziale elettronica dark dei primi album, il suono si è trasformato più acustico e asciutto ma resta sempre su territori gotici e melodici. La bellissima voce di Moss (dall’incredibile somiglianza timbrica a quella di Eddie Vedder) è qui al servizio di pezzi che si arricchiscono di strumenti sorprendenti: sassofoni, flauti e kamancha. La prima parte è più convenzionalmente dark: l’incedere di “The third arm”, la cadenzata “Wish I was here” e la cupa e cosmica ritmica di “This is not utopia” si avvale di tastiere floydiane alla “Welcome to the machine”. “Partners in crime” sembra partorita dalle reminiscenze dei Fields of Nephilim o dei Theatre of Tragedy ma anche dalle idee dark di John Carpenter. Con “Sanctification” si intraprendono nuove strade. E’ apprezzabile il ritmo sincopato a cui è ben avvolto il vocalizzo di Moss che esplode poi con l’intervento sassofonista. Le atmosfere si fanno mediorientaleggianti con l’inclusione del kamancha in “Existential”. C’è spazio per un bell’intervento acustico  ed intimistico in “What do you want me to do?”. Se il rock di “Beetween the atoms” può passare inosservato, diversamente vale per l’incedere di “Liquid light” che chiude l’album in un atmosfera spaziale. Certamente tra i lavori meglio riusciti ed ispirati di Moss che ha cercato di variegare e articolare la sua musica, ancora limitata dal suo cantato troppo monotono e da spunti strumentali piatti.
Best tracks: “This is not utopia”, “Sanctification”, “What do you want me to do?”. 7/10


ALAN PARSONS will release the new album "The secret" on 26th april 2019.

LUDOVICO EINAUDI will release the new album "Seven days walking - day one" on 15th march 2019.

LONELY ROBOT will release the new album "Under stars" on 26th april 2019.

ARCHIVE in tour:
Date tour in Italy: Bologna, Estragon, 2 december 2019, Roma, Auditorium, 3 december 2019, Milano, Alcatraz, 4 december 2019.

 

Il seguito di “The astonishing” arriva dopo 3 anni e si cambia registro: l’epicità del concept precedente è sostituita da sonorità più metal, le tastiere che predominavano nel precedente lasciano lo scettro alle sei corde di Petrucci. E’ un disco che richiama il periodo più diretto di “Octavarium” fino a “Black clouds...” ma  forgiato delle bellissime linee melodiche e armonie vocali degli ultimi lavori. L’open track “Untethered angel” ben riassume quanto detto, un pezzo tiratissimo e ben arrangiato in cui La Brie cuce e trascina un ottimo refrain. La successiva “Paralyzed”  passa inosservata per la sua scontatezza, non altrettanto per la splendida “Fall into the light” che poteva essere tra i pezzi di “The astonishing”. Bellissime linee melodiche con un Petrucci in cattedra: solo e rifiniture davvero emozionanti. “Barstool warrior” trasuda un tecnicismo iniziale che rimanda agli ELP fino a sbocciare su territori più melodici condotti prima dal piano di Rudess e poi ancora da un Petrucci superlativo. Ci pensa LaBrie a calare l'asso definitivo con un refrain sensazionale, a dir poco irresistibile. “Room 137” è più astrusa e drammatica, dalla ritmica forbita e sonorità effettate in cui ci sembra di ascoltare anche un chitarrismo “alla Satriani”. Un bellissimo giro di basso di Myung introduce “S2N”, un brano dalla ritmica avvincente, e qui i virtuosismi di Petrucci si sprecano! Si giunge a “At wit’s end”, per caratteristiche una falsariga dell’open track: un inizio tiratissimo prende binari più contemplativi, note lente, cadenzate e straordinariamente emozionali, arrangiamenti esemplari con un Petrucci ancora trascinante. Dopo un finale così non mi sarei certo aspettato un altro pezzo emozionale, invece la ballata “Out of reach” è da brividi. L’album si conclude con la prog “Pale blue dot” carica di virtuosismi e arrangiata alla “DT sound” 100% senza nulla aggiungere a quello che già si conosce. Insomma il disco poteva apparire ripetitivo e arido di soluzioni dopo una discografia ampia ed inarrestabile, no! Non è stato così, nessuna band così ipertecnica sa spingersi così efficacemente nel cuore.
Best tracks: “Fall into the light”, “Barstool warrior”, “At wit’s end”, “Out of reach”. 8/10

 

 

Lui è il Genio cosmico, l’Argonauta del suono, il Mozart dell’elettronica, il Magritte della musica, insomma un visionario per metà uomo e per metà extraterrestre che ci traghetta verso Universi astrali ed ancestrali con un Arte di cui sembra detenerne autorevolmente il trono di pioniere precursore massimo, se non altro per la sua indiscutibile capacità di aver saputo comunicare un genere così astruso ad un pubblico fin troppo numeroso (a differenza dell'altro guru Klaus Schulze). Jarre puntella ulteriormente la sua lunga discografia con il sequel della sua seconda opera di successo: “Equinoxe”. La prima, “Oxygene”, fu rielaborata solo due anni fa e fu un autentico capolavoro. Il settantenne musicista francese non è solo straordinariamente attivo ma anche ispiratissimo: i suoi 4 album negli ultimi medesimi anni rappresentano il meglio della sua intera opera. La sua maturità sembra incedere al totale beneficio e perfezionamento della sua Arte e  con “Equinoxe infinity” è possibile evidenziare anche la cura del packaging. La grafica propone due possibilità: i celebri “watchers”  sono replicati moai  dentro paesaggi solari ed eterei o dentro paesaggi alienanti, alienati da cyber-avvenimenti distruttivi. Due scelte trasversali dell’equinozio! La partenza di questo viaggio rivoluzionario è solenne, Jarre ci apre le porte, anzi pesanti e regali portoni, e possiamo iniziare a scorgere ed ammirare il paesaggio surreale di totem volanti in un tempo infinito. “Flying totems” è un po’ l’inno musicale del musicista francese che ci rimanda inquivocabilmente ai tempi di “Industrial Revolution”, un’accennata melodia trainante dentro una danza vorticosa di contrappunti metallici e sinusoidali. Con “Robots don’t cry” ci fa scorgere i particolari, il tempo si diluisce e rallenta sensibilmente, un mellotron avvolge l’atmosfera e violini sintetizzati e piangenti conducono questo passaggio di pura poesia nella quale improvvisamente piomba in un silenzio celebrato da gocce pianistiche immensamente calibrate. Ormai siamo dentro universi floydiani ed è il momento di staccare tutto e perdersi nel pezzo più seducente: “All that you leave behind”. Un ritmo blando ma preciso ci slega da tutto e fluttuiamo liberi da quello che è stato, nella sequenza strepitosa di 3 note cullanti. “If the wind could speak” è un breve e balbettante intermezzo che rimanda piacevolmente ai tempi di “Chronologie” ma è anche il corridoio ai rimandi danzerecci della produzione ’80, con tanto di rispolvero del Fairlight. “Infinity” è una giocosa parentesi funzionale. Il ritmo si fa palpitante ed i  vagiti robotici di “Machines are learning” ci catapultano ancora nel cuore di questo viaggio. “The opening” è un revival di suoni e melodia avvincente, un architettura perfetta di sequenze, che ci tiene ostaggi incantati. Si giunge al termine: prima “don’t look back” funge da reset mantrico e poi “Equinoxe infinity”, un ambient in cui riecheggiano suoni sinusoidali, liturgia di un andare e venire, apparire e scomparire nella magia infinita di un grande Jean Michel Jarre.
Best tracks: “Robots don’t cry”, “ All that you leave behind”, “The opening”. 8/10


DREAM THEATER in tour:
Date tour in Italy:  Villafranca di Verona, at Rock the Castle, 5 july 2019.

DREAM THEATER will release the new album "Distance over time" on 22th february 2019.

MUSE in tour:
Date tour in Italy:  Milano, at Stadio San Siro, 12/13 july 2019, Roma, Stadio Olimpico, 20 july 2019.




 


Il duo austrialiano ha dipinto in musica “paesaggi sonori di incommensurabile grandezza e solenne bellezza, tra percussioni africane, folk celtico, canti gregoriani, mantra mediorientali e art rock”. Veri innovatori di un genere da loro stessi creato, veri sperimentatori nella Musica contemporanea. Con queste premesse l’attesa di un nuovo lavoro diventa un Evento: l’attesa è durata 6 anni dal bellissimo “Anastasis”. Il talento di Brendan Perry e la voce straordinaria di Lisa Gerrard sono al servizio di un disco molto più arioso e solare del precedente, non c’è traccia di Gotico o Darkwave ma vera World Music. Un viaggio in due atti che abbraccia l’intero continente: dal Messico, a cui si riferisce la cover, agli indiani d’America, dal Medio Oriente alla tribalità dell’Africa Nera attraverso l’utilizzo anche dei più disparati strumenti (flauti corsi, fujara, gadulka, cornamuse, tamburi ancestrali…). L’assenza quasi totale delle chitarre di Perry (che si sbizzarrisce però con tante inclusioni di “nature recording”) non permette di accostare questo viaggio a molti dei lavori firmati dall’ultimo Mike Oldfield ma i luoghi e le vicende descritte sono le stesse. Ecco, forse manca di un effetto sorpresa, dell’idea compositiva geniale applicata al genere ormai conosciuto, risentito. Una loro esibizione "live" è però imperdibile, un Evento nell' Evento! A Milano, dunque.
Best tracks: “Act I” e “Act II”. 7/10
 

Al terzo anno scocca puntuale il nuovo album dei Muse. Anche questo potrebbe far pensare ad una robotica produzione dettata da esigenze discografiche (business) e non creative… ma rimane un dubbio per molte band, oramai.  Quel che è inoppugnabile è il potenziale ancora inespresso della band che gira intorno, album dopo album, per lasciare un sigillo musicale talvolta vicino (“Resistance”) ma mai davvero raggiunto. Io sono convinto che il limite resti circoscritto proprio dal suo pubblico (giovanissimo e aggiungerei troppo “popolare”) che “impone” il business a cui prima accennavo. E’ certamente apprezzabile il tentativo di Bellamy e Co. nel  dare sempre un tema musicale diverso ad ogni album partorito, ma ancora risultano esperimenti poco riusciti, inconclusi. Soprattutto con quest’ultimo “Simulation theory”, il suo sound, quasi new wave, mi risulta confuso tra pezzi che non sembrano avere coesione e direzione. L’apertura ben sintetizza la mia analisi. “Algorithm”  rappresenta al meglio le intenzioni del geniale Bellamy, che poi vanno disperdendosi nei “passaggi” successivi: ritmica cadenzata in un incedere ipnotico che alterna magistralmente i vocalizzi del leader inglese, la mescola di un “sound artefatto”(elettronico) e di un altro suonato potrebbe lasciar presagire ad interessanti sviluppi, potrebbe.  Invece con “The dark side” si è ricatapultati nell loro marchio di fabbrica,  di album basilari come “Absolution” e soprattutto “Black holes…”. Anche “Pressure” poteva essere in qualunque album precedente, ma senza farsi ricordare. “Propaganda”, invece,  sarà stata pescata nella discografia di Prince! Musicalmente contiene passaggi interessanti ma sostanzialmente preferisco ascoltarmi l’autore originale, se proprio devo! Anche “Break it to me” ha un idea di base stimolante, con ricerca sonora quasi industrial, ma non sembra poi coinvolgere troppo emotivamente. “Something human” mi annoia, e annoia. “Thought contagion” è sconcertante nel suo bieco proposito commerciale, da stadio. Di “Get up and fight” è davvero apprezzabile una ritmica inedita e bislacca ma subito cancellata da un refrain insostenibile, nella sua banalità!  La struttura di “Blockades” ha una bella base campionata, il pezzo tentenna a prendere una direzione che poi si trascina con un bel work di chitarra elettrica. “Dig down” è imbarazzante nella sua totale inutilità. Finalmente si chiude con l’ultimo dei 3 soli pezzi a superare appena i 4 minuti! “The void” è un bel finale, coinvolgente e affascinante nella sua costruzione. Il Sound qui è centrato e conduce mirato, forse era proprio questa la direzione giusta da rovistare. Spaziale elettronica al servizio di una voce a tratti poetica, sublime. Peccato, ancora una volta.
Best tracks: “Algorithm”, “Break it to me”, “The void”. 7/10


RiVERSIDE in tour:
Date tour in Italy: Roma, largo Venue, 16 march 2019.

TOTO in tour:
Date tour in Italy: Marostica, Piazza degli Scacchi, 03 july 2019, Roma, Auditorium Cavea, 04 july 2019, Lucca, Summer Festival, 05 july 2019.

TEAR FOR FEARS in tour:
Date tour in Italy: Milano, Forum Mediolanum, 23 february 2019, Padova, Kioene Arena, 24 february 2019, Roma, Auditorium Parco della Musica, 09 july 2019, Lucca, Summer Festival, 10 july 2019.

SMASHING PUMPKINS in tour:
Date tour in Italy: Firenze, Firenze Rocks, 13 june 2019.





 


L’inconfondibile voce e lo stile del frontman Billy Corgan hanno esploso e forse sopravvalutato il progetto musicale dei Smashing. All’interessante ritmica non si è mai troppo affiancato altro per sostenere musicalmente nel tempo il marchio della band. Dal deludente “Monuments to an Elegy” del 2014 i 4 tornano senza apportare migliorie o novità compositive e non sembra che la ricomposizione della band originale (con James Isha e D’arcy Wretzky) abbia apportato un contributo sostanziale in tal senso. Anzi, il recupero di vecchi elementi ha solo richiamato al Sound del passato: siamo lontani dunque dal capolavoro di “Mellon Collie..”, le divagazioni modernistiche ed elettroniche di “Machina I” o la “progressione” di “Oceania”. “Shiny” contiene bei pezzi puzzle della loro carriera ma senza sbalordire mai. Bell’inizio orchestrato e ritmico con “Knights of Malta”, e ancora con la “classic smashing” di “Silvery sometimes”. Dopo le inutili “Travels” e “Solara” ecco il pezzo più interessante, strutturato al piano e arricchito negli arrangiamenti da interventi orchestrali, “Alienation” è davvero bella. Il pezzo più sostenuto è “Marchin’ out” dopodichè ci si inabissa in un finale noioso e riscaldato…
Best tracks: “Alienation”, “Silvery sometimes”. 6/10

 

 

Un mio caro amico mi fece conoscere i Riverside nel  2006, quando la band aveva prodotto i primi 2 album, tutt’oggi i migliori della loro discografia. Oggi il mio amico non c’è più e neppure il chitarrista della formazione polacca spirato ad inizio 2016… è dunque il primo disco nel quale posso sentire una  mancanza estrema, feroce e desolante. La desolazione è l’atmosfera del concept di “Wasteland”: come sopravvivere al dolore? Con il dolore.  Piotr Grudzinski non è stato rimpiazzato ufficialmente come pure il mio amico Massimiliano, non è possibile. Dall’ultimo bucolico “Love, fear and the time machine” sono trascorsi solo 3 anni e poi c’è stata una bellissima raccolta di strumentali quasi ambient (“Eye of the soundscape”), ora però arriva la “prova del 9”…dimostrare se la band può andare avanti senza. L’inizio è dalla fine: “The day after”, una voce di Duda narrante e straziante che introduce “Acid rain”, tra i pezzi migliori. Musica Riverside 100%, riffoni, refrain/chorus avvincenti, inserti strumentali in cui sale in cattedra nel finale la chitarra di Maciej Meller, colui che si occuperà dei guitar solos dell’intero disco. Il single “Veil of tears” ricorda la zeppelliniana “Immigrant song” ed una struttura ritmica cara a Steve Wilson ma anche ai Dream Theater. La sommessa “Guardian Angel” è un dialogo tra piano e chitarra che accompagna la voce narrata di Duda. “Lament” sembra voglia alzare i toni e lo fa con una struttura compositiva interessante,  bellissimo violino nel finale come l'intera prova vocale di Duda. La successiva “The struggle for survival” è lo strumentale su cui fondono le migliori aspettative: parte bene con un super basso di Duda ma poi la chitarra non convince, facendo apparire il pezzo più una “jam session”. La ballata di “River down below” è davvero molto bella e rimanda al periodo d’oro dei primi 2 album: refrain avvincente e struggente con un super mellotron nel back e bel guitar-solo. “Wasteland” conduce ad un prog quasi vintage che si intreccia a riffoni alla Opeth. Il finale  è dedicato questa volta all’inizio : “The night before”. Un bellissimo lavoro pianistico di Lapaj che accompagna il lodevole e sorprendente cantato del leader della band Mariusz Duda. L’album non mi ha impressionato, non tanto per la qualità compositiva (ci sono parecchi spunti interessanti) ma proprio per una chitarra orfana e spezzata dal contesto, dal Riverside Sound. E’ troppo forte l’evidenza intrusiva di una chitarra (elettrica) ospite e comunque meno brillante per uno strumento portante nell’architettura (tecnica e compositiva) della loro musica. E poi la dinamica, poca dinamica, la batteria stessa sembra relegata ad un saltuario accompagno.
Best tracks: “Acid rain”, “River down below”, “The night before”. 7/10


DEAD CAN DANCE in tour:
Date tour in Italy:  Milano, at Teatro degli Arcimboldi, 26/27 may 2019.

DEAD CAN DANCE will release the new album "Dyonysus" on 02th november 2018.

ANTIMATTER  will release the new album "Black Market Enlightenment" on 09th november 2018.


 

L’intellettuale dell’elettronica, uno dei personaggi più enigmatici, astrusi e controversi del panorama musicale e non, il “musicista cosmico” ritorna con nuovo materiale dopo 5 anni dall’ottimo “Shadowlands”. “Ritorno” è un eufemismo perché la sua produzione è faraonica ed incessante, tra live, antologie e rarities…A festeggiare il suo 70esimo compleanno il guru dell’elettronica lavora su “Silhouettes” mirando all’austerità sonora ed effettistica, come lui stesso ci presenta: “una riduzione alle cose essenziali, nessuna grande distrazione, niente per forzare l’attenzione in una certa direzione, nessun effetto principale o espedienti, niente fronzoli o ritmi dominanti. Era importante per me dipingere le immagini nella profondità dello spazio, i campi sonori della tensione e dell’atmosfera “. L’iniziale titletrack ben sintetizza il concept nell’avvicendamento di lunghi pad e terminali aperture al moog ed ai loop che lo hanno reso celebre. Dipinge spazi cosmici come nessun’altro ed in questo è possibile contemplarne la bellezza nella successiva “Der lange blick zuruck”, in cui ermetiche melodie, come fossero dilatatissimi cambi di note, ne fanno avvertire la bellezza di quanto inizialmente rappresentato. Le atmosfere hanno un accenno drammatico nella generale sensazione di meraviglia e stupore. Anche qui con il passare dei minuti il pezzo incrementa e si rinvigorisce di accenni più ritmici e percussivi per poi ricongiungersi agli amati chorus. “Quae simplex” veste di texture familiari i mondi in cui siamo ormai immersi ed ipnotizzati. L’ultimo capitolo dell’album sembra volerci condurre nel soggiorno, aprire l’ultima porta di uno spazio da abbracciare, quello definitivo… ma si resta ancora sospesi e precari. Finisce così l’ennesimo viaggio cosmico proposto da Klaus, che  a differenza di Jarre non lascia alcuno spazio al respiro mondano e godereccio delle melodie e delle contaminazioni pop. Viaggiare con Klaus Schulze vuol dire immergersi totalmente nella dilatazione delle frequenze che ipnotizzano e contemplano la vastità della tavolozza di manopole che armeggia con ormai celebre maestria e  gusto. Non ho trovato nuovi spunti compositivi e sonori ma il disco bene sintetizza la raffinatezza della sua Opera intera.
Best tracks: “Silhouettes”, “Der lange blick zuruck”. 8/10

Dopo il capolavoro “Your wilderness” cosa partorirà ancora il genio di Bruce Soord? La risposta è abbastanza semplice: un superbatterista come Gavin Harrison in pianta stabile nella band. E lo spazio sembra prenderselo tutto lui, in effetti; anzi gli viene allestito dal geniale leader. A discapito delle melodie avvincenti e delle composizioni libere ed articolate degli album precedenti, si intuisce dai primi ascolti che qualcosa sia cambiato: le strutture vocali sono ora più cadenzate e le linee melodiche dettate da continui riff e parti ritmiche a sposare ed esaltare il drumming work.
Non a caso si parte con un pianoforte puntellato… e la sillabata (nonché sussurrata) “Not naming any names” apre bene il sipario. “Try as I might” cadenza perfettamente il drumming di Harrison sforzandosi di richiamare più possibile il Pineapple Sound tipico (ne è infatti un “single”!). A parte il bel guitar-solo finale non entusiasma particolarmente. Invece è la successiva “Threatening war” a far salire parecchio l’asticella: meraviglioso saliscendi ritmico in un ‘atmosfera trainata da un cantato superlativo di Soord e tutto il gusto del grande Gavin Harrison. “Uncovering your tracks” spiega bene come un pezzo poco originale nel repertorio TPT sembri volersi aiutare dal drumming anziché esserne impreziosito. La dinamica di “All that you’ve got” è davvero avvincente ed il pezzo è in pieno stile TPT, con interventi preziosi all’elettrica ed alle tastiere. Un bel pezzo melodioso e articolato come “Far below” non sfigurerebbe dentro “Into Wilderness”, ma per dire che nulla aggiunge se non un certo giro di accordi Wurlitzer dei Supertramp! L’intermezzo acustico di “Pillar of salt” introduce i due pezzi migliori dell’album, ed anche gli ultimi. “White mist” regala 11 minuti di atmosfere rarefatte, melodiche e malinconiche con innesti elettronici e percussivi di rara bellezza, qui Harrison dimostra davvero appieno il suo calibro. Se mancava lo special guest tanto amato da Soord, eccolo nel finale: è David Torn, il fantasioso ed attempato chitarrista calibra e colora ulteriormente la composizione di un sound graffiante. A chiudere c’è “Shed a light”, con una bellissima, memorabile e sussurata strofa che trascina il pezzo addirittura verso sentieri o sentori Porcupine Tree. E poi, che bello il lavoro chitarristico di Soord! L’album non regge il capolavoro precedente  nonostante l’apprezzabile tentativo di fare qualcosa di diverso, le idee sono rimaste confuse sul da farsi… nonostante qualche picco davvero riuscito. Sia bene inteso però: c’è bella Musica ma Soord ci stava abituando troppo, troppo bene.
Best tracks: “White mist”, “Shed a light”, “Threatening war”. 7/10


JEAN MICHEL JARRE will release the new album "Equinoxe infinity" on 16th november 2018.

PENDRAGON, IQ and RAMMSTEIN are in recording studio!


THE SMASHING PUMPKINS will release the new album "Shing and oh so bright, Vol.1" on 16th november 2018.

MUSE will release the new album "Simulation theory" on 9th november 2018.

NICK MASON'S A SAUCERFUL OF SECRET project in tour:
Date tour in Italy: Milano, at Teatro Arcimboldi, 20 september 2018.

THE PINEAPPLE THIEF in tour:
Date tour in Italy: Roma, at Largo Venue, 22 february 2019, Milano, at Santeria Social Club, 23 february 2019.

RIVERSIDE will release the new album "Wasteland" on 28th september 2018.


 


Ad un solo anno di distanza da “Fractured” esce il nuovo album del progetto solista di Mariusz Duda. Si tratta di “avanzi” del precedente e le sonorità ne sono una vera continuazione. Tra ballate ed intermezzi acustici, divagazioni floydiane, segnalo l’elettronica  più melodica di “Trials” e quella più percussiva di “Shadows”. “Rinsing the night” sembra spuntare da un film western o un documentario di avvincenti safari. Molto interessante “The art of repairing”, in un crescendo ritmico sembra di rivivere le atmosfere oniriche (e di parsoniana memoria) di “Tales of Mystery…”. Il motivo ipnotico ed onirico di “He av en” è l’inizio ed anche il cuore dell’album, ripreso poi in “Under the fragmented sky”. Piacevole sentire, certamente, ma le composizioni non hanno nuovi nessi e non vi trovo neppure pezzi memorabili.
Best tracks: ”Trials”, “The art of repairing”, “He av en”. 7/10


 


Della mia adolescenza ricordo poche cose: si dice che il primo amore non si dimentica mai, il mio è stato per un uomo molto alto, magro, con i capelli di media lunghezza portati indietro, lunghi dietro la nuca , fino alla base del collo, gli arti lunghissimi si diramano da un busto normale, quasi piccolo ed aggobbito, le mani grandi ed un vistoso anello nell’anulare destro, e con i Ray-Ban sempre indossati, quasi che nelle rare occasioni in cui potevo scorgere i suoi enigmatici occhi celesti pietrificavo incantato. Poteva essere il suo aspetto così al limite del falotico ad impressionarmi, ma non fu un semplice colpo di fulmine, era amore (!), distante dalle futili e caduche attrazioni convenzionali. Nel 1987 il marchio Pink Floyd era la polpa di una diatriba convogliata nei Tribunali, li conobbi più approfonditamente in quel periodo e presi subito le difese per quell’uomo, descritto dispotico, megalomane, conflittuale, scorbutico, ossessivo, singolare e prodigioso, un perfezionista maniacale. Non poteva essere diversamente, era quello che cercavo per crescere come oggi sono! Iniziai dunque a drogarmi, di dischi, bootleg, notizie e rarità di ogni genere, riviste ed articoli ritagliati, viaggi con le sue musicassette…mi vestivo come lui ed anche le scarpe sportive bianche e slacciate erano una prerogativa per un ‘emulazione funzionale. Anche il 1992 lo ricordo bene: finalmente usciva il nuovo album “Amused to death”, era il 7 settembre, il giorno dopo il suo 49esimo compleanno. Ero il primo in fila alla Discoteca Laziale di Roma ed il CD (il mio primo CD) rimase adagiato e coccolato sul sedile passeggeri della mia piccola auto per tutto il tragitto di ritorno a casa, perchè allora i  lettori CD in auto erano rarissimi… Dopo quasi 10 anni finalmente Roger tornava sulle scene concertistiche, e solo nel 2002 lo vidi la prima volta dal vivo, a Milano, era il 10 maggio; in abito nero e Converse bianche, imponente, stupendo! Nel novembre del 2005 potei stringergli la mano e regalargli il testo di una mia canzone, eravamo fuori l’Auditorium di Roma.  Ogni possibile data italiana la presenziavo ma volevo regalarmi un viaggio/concerto all’estero per respirare un aria diversa, un atmosfera inglese! Quindi dopo un viaggio a Cambridge nel 2008 per “sentire” il profumo della sua casa, la sua infanzia ed i suoi esordi (tra le residenze, i luoghi ed i locali più disparati) volai alla Q2 Arena di Londra per il mio primo spettacolo di “The wall live”, era il 15 maggio del 2011. Tra queste date citate, tanti altri suoi concerti e tante siringhe di RW ad  alimentare al meglio la mia esistenza! Risparmio aneddoti curiosi (tipo l'inseguimento alla "commemorazione del padre" ad Aprilia il 18 febbraio 2014…) perché il discorso si fa ora serio:
Roger  ha oggi quasi 75 anni ma non è certo il tipo che si gode una pensione nella panchina di Central Park ad osservare scoiattoli o piccioni, la sua perseveranza e coerenza è inconfutabilmente dimostrata fino alla fine: ancora un lunghissimo tour di oltre 200 date, “US + THEM” tour, perché la sua linfa è ancora vivissima ed il suo messaggio perfettamente sincronizzato con la sua consapevole "mission"! Non è ufficiale, ma sarà probabilmente il suo ultimo tour e conseguentemente forse la mia ultima possibilità di vederlo “live”. Partecipo alla prima data indoor a Milano il 17 aprile 2018, salto quelle bolognesi, per “sferrare l’inverosimile” nelle 2 delle 3 uniche date outdoor del tour: Lucca l’11 luglio 2018  e Roma il 14 luglio 2018. Mi volge premura fare qualche (?!) considerazione sull’ultima tappa, quella romana.
Giungo nella maestosa ed incantevole location del Circo Massimo intorno le 16:30 e mi infilo nella folla per raggiungere le primissime file centrali (come a Lucca) ed inebriarmi di pazienza per RESIST all’attesa, nel caldo e nella folla che generalmente evito a priori. Alle puntualissime 21.30 lo SHOW can go on! Quando Lui calca il palco una vita che ci riguarda m’investe d’assalto ed ipnotizzato lo ascolto e lo intercetto con la mia Nikon sulla mano destra ed uno smartphone sulla mano sx, scatto, riprendo ed ascolto, ascolto l’immensità di una Musica senza tempo e guardo un uomo troppo umano per essere “solo” tale! Lo schermo del palco introduce una donna, da sola e di spalle, che per una ventina di minuti guarda il mare, nella sensazione di un attesa. “Speak to me” e “Breathe”, presentano il primo colpo: “One of these days”. Il basso di Roger in evidenza come le sue posture ed i suoi sguardi superimmortalati dai fotografi, arrangiamento del pezzo favoloso con Kilminster in grande spolvero. Con “Time” si entra nel clima “Dark side” ed il tempo sembra trapassare se stesso, fino alle urla bipolari delle Lucius che interpretano dolcemente il terrore e la paura in “Great gig…”, lo spettacolo visivo ha inizio davvero con la successiva “Welcome to the machine”. Uno dei pezzi più riusciti in questa versione live, immagini rielaborate e arrangiamenti  modernizzati con Roger impegnato sorprendentemente alla chitarra elettrica! Inizia la trilogia dei nuovi pezzi: la bella “Deja Vu” non mi ha particolarmente incantato live, meglio “The last refugee” e soprattutto “Picture that” che vede il mio beniamino scaldarsi politicamente e fisicamente, da un angolo all’altro del palco, con le sue gestualità, uniche. Si torna in clima “amarcord” con una bellissima e centratissima “Wish you were here”. La band è perfetta ed allenata. Con la minisuite di “Another brick…” si chiude alla grande la prima parte. Gli arrangiamenti presentano delle novità: è potentissima! Anche scenograficamente i ragazzini sul palco sono reinterpretatii diversamente dal “The wall tour”: incappucciati e sacrificati in tute arancioni, come prigionieri lasciano un messaggio chiaro: RESIST! Come suo solito, Roger non rende vano il tempo (mai!) di recupero tra la prima e la seconda parte ed intrattiene il pubblico con una serie lunghissima di messaggi politici attraverso il solo lungo schermo di oltre 60 metri. Gli avvertimenti ed i suggerimenti sono quelli che un vero fan di Roger ben conosce, e non risparmiano nessuno. Il cuore della scaletta sta per battere ora più che mai: clima sonoro allarmistico cala al Circo Massimo, 4 ciminiere fumanti della Battersea Power Station spuntano  e si elevano imponenti sopra il superschermo del palco. Gli accordi acustici di “Dogs” hanno inizio, il pezzo è maestoso e la band la esegue in modo magistrale e teatrale! Indosseranno maschere da porci e se la godranno, mentre Roger espone cartelloni che ci ravvedono sui “Porci che controllano e dominano il mondo” e che “devono essere mandati affanculo”! Neanche il tempo per ricomporsi gli occhi lucidi e parte “Pigs”, beh solo il lavoro finale di Kilminster alla chitarra elettrica vale il biglietto, mentre un enorme maiale gonfiabile sorvola i 40.000 presenti. Tocca al giro di basso di  “Money” scuotere le lacrime ed al fido sassofonista Ian Ritchie rubare la scena poi anche con “Us and them”, giocata sulle sussurrate note che Jon Carin impartisce al piano. “Smell the roses” è l’ultimo pezzo del nuovo album presentato live e raggiunge il picco massimo quando Roger si incatena  con le braccia sollevate sulla testa, la sua teatralità è sempre emozionante! La spettacolarità scenografica raggiunge altre vette con la chiusura, dedicata a “Brain damage” ed “Eclipse”: da 4 vertici posizionati davanti il palco partono raggi laser che disegnano un enorme prisma che si colora nelle ultime note, nonostante “tutto alla fine sia eclissato dalla luna”! Roger prende parola con il pubblico e presenta la band, ma è solo una scusa perché avrà molto altro da dire e lo farà con commozione vera: “Restate umani!” e “Partecipate alla vita politica perché qualcun altro non lo faccia al posto vostro per distruggere  o limitare la vostra vita e quelle delle generazioni future”, “Resistete!”… solo ora può partire il bonus per Roma che è “Mother”, e poi  la classica ed inesauribile “Comfortably numb” che vede nello schermo 2 mani avvicinarsi lentamente e stringersi sulle note strazianti ed avvincenti del solo di chitarra elettrica più bello e conosciuto al mondo, affidato sempre ad un David Kilminster superlativo. La passerella finale dei musicisti ed i ringraziamenti vedono un Roger visibilmente emozionato che batte il pugno sul cuore, rimandando l’uscita più volte come forse quella dalle scene, è questa la speranza mia e forse anche la sua. E se la donna sullo schermo ora la si vede abbracciare il suo bambino che attendeva dal mare, vuol dire che la speranza non può essere sempre un illusione.
Grazie immensamente Roger Waters.

Road to Lucca...
 



 

Da una costola  del vecchio sound di Marillion e Pendragon, la band inglese di Clive Nolan continua a mietere godibilissima Musica. Partiti oltre 20 anni fa con un Prog classico, hanno saputo rinnovarsi e trovare un punto d’incontro anche tra gli estimatori di un Rock più contemporaneo come gli attuali Asia e Threshold. Notevole è stato l’innesto alle vocals di Paul Manzi, che ha saputo imprimere maggiore empatia (soprattutto in studio) al freddo cantato di Rob Sowden, firmando i 3 ultimi album come tra i più riusciti della loro discografia. Il carattere più commerciale degli ultimissimi lavori viene ora ulteriormente rielaborato per convogliarlo come trade-union con il lavoro capolavoro datato 1998: “The visitor”. L’album fondamentalmente evidenzia la presenza di una lunga suite di oltre 20 minuti e l’assenza di importanti solos chitarristici di John Mitchell.
Si parte forte con “Zhivago wolf”: arpeggi fatati di Nolan, armonie vocali irresistibili e le corde elettriche che  tessono e ricamano ad arte le trame di un ‘epica apertura. La successiva “The mirror lies” è affidata invece ad un arpeggio chitarristico vincente, capace di trainare il pezzo (con il bellissimo cantato di Manzi) in una ballata vincente, e sono i tasti d’avorio di Nolan  qui a ricamare sortite epiche. La debole “Scars” si fa notare per l’unico solo di Mitchell, in grande evidenza. Il dialogo tra la frase di un organo e quella di un riff chitarristico fondono e fondano la successiva “Paradise of thieves”, arricchita anche di un refrain vincente. “Red eyes” è Arena 100%: composizione variegata e complessa (alla Yes)  tra organi solenni, drumming vivace, vocoder, arpeggio gilmouriano di sottofondo…La più pacata ed acustica “Poisoned” funziona da detonatore ed apripista alla lunga suite di “The legend of Elijad shade”divisa in 7 parti: i fasti dell’epiche “Sirens” o “Jericho” sembrano rivivere nella parte iniziale (“Veritas”), la parte seconda (I am here”) è una ballata eccezionale che vede ancora Manzi in grande spolvero come nella successiva (“Saevi manes”) potenziata da un gran lavoro dei tasti magici di Nolan, atmosferica è invece la quarta parte (“It lies”) con sopraffino lavoro di Mitchell alle corde elettrificate e puntuali risposte tastieristiche, i ritmi accelerano con “Tenebrae” che contene un bel motivo di Mitchell, “Omens” introduce con favolosi motivi beethoveniani la progressiva e finale “Redemption” che ci ricorda anche di un Mitchell apparso un po’ troppo illustre ospite. Ed è forse questo l’unico rammarico di uno splendido lavoro che poteva essere firmato solo Nolan e Manzi, considerando che anche il bassista storico Jowitt ha lasciato il posto a Kylan Amos.
Best tracks: “Zhivago wolf”, “The mirror lies”, “The legend of Elijad shade”. 8/10

La band norvegese giunge al suo quindicesimo anno di splendida attività proponendo un originale Rock progressive di chiara cultura nordica: attenzione alle melodie (melanconiche), arrangiamenti articolati e privi di solos, gusto classico per pianoforte e violino a trascinare il cantato del leader Jan Henrik Ohme.
Ancora un disco sussurrato e con continui saliscendi ritmici; ne è la prova l’iniziale “Soyuz one”: l’arpeggio ipnotico si intreccia alla voce sussurrata di Ohme e alla breve melodia pianistica fino ad esplodere con il chiaro e portentoso sostentamento della sezione ritmica…è un pezzo che acquista i giusti apprezzamenti dopo ripetuti ascolti. “Hypomania” sembra uscita dal cilindro di Thom Yorke dei Radiohead in studio con i Muse. I ritmi si placano e le note di piano e violino riprendono il tema (musicale) centrale con la splendida, breve  “Exit suite”, un affresco alla Monet musicista! La successiva “Emperor Bespoke” propone ritmiche più folkeggianti con la presenza timbrica di banjo, violino e piano che galoppano vicendevolmente rispettosi in un atmosfera dal sapore tipicamente scandinavo. “Sky burial” accenna uno spostamento ad Oriente ma gli archi dichiarano il pezzo più strettamente cinematografico, e le note ipnotiche del piano ne accentuano la drammaticità. “Fleeting things” è padroneggiata dai vocalizzi di Ohme ma resta comunque abbastanza anonima, nonostante i temi trattati siano nobili e complessi. I saliscendi ritmici e l’epicità melodica, come marchio di fabbrica della band, sono tutti compresi nella successiva e bellissima “Soyuz out”. Il gioco (sapientemente) intrecciato di archi, cori, batteria elettronica, ritmica potente e basso pulsante, samples e chitarre elettriche distorte rimandano a pezzi epici come “Dream of stone” o “Upside down”, ma se serviva l’effetto sorpresa, il finale, prima jazz e poi floydiano con tanto di mellotron d'annata, è servito! “Rappaccini” chiude brillantemente e melanconicamente un disco piacevole. Sicuramente il migliore dai tempi di Tik Tok (il mio preferito), l’unica pecca resta nella sostanziale incapacità della band di sperimentare ancora nel loro ben tracciato stile che hanno saputo conquistare.
Best tracks: “Soyuz one”, “Soyuz out”, “Rappaccini”. 7/10

Dopo 15 anni Billy Howerdel e Maynard Keenan alimentano il progetto APC con il terzo album. La magnifica voce dei Tool è espressa alla sua migliore performance. Sin dall’opener e omonima “Eat the elephant” è Maynard ad impressionare, intreccia vocalizzi sussurati e cangianti all’interno di un pezzo coinvolgente ed emozionale, dagli arrangiamenti sublimi, sempre puntellati dal pianoforte e dalla ritmica raffinatissima.  “Disillusioned” ha tutto di un grandioso hit-single, refrain vincente e cantato superlativo. Dopo l’anonima “The contrarian”, è la ritmica ed enigmatica “The doomed” ad ammaliare con i suoi saliscendi. Con “So long, and thanks…” si torna su una composizione più classica, in cui emerge un bel tema melodico arricchito da brillante apporto chitarristico.  “Talk talk” parla senza apici, cadenzata e scarna. “By and down the river” contiene l’unico vero guitar-solo. “Delicious” sembra qualcosa di rubato al grunge. Dopo il breve ed inutile intermezzo tastieristico di “DLB” si giunge ad uno dei pezzi più interessanti: “Hourglass”. Voce vocoderizzata in una ritmica rappata costruita sulla puntellatura ipnotica del piano. Un pezzo molto “Faith no more” e davvero riuscito! “Feathers” scorre senza clamori e lascia  lo scettro all’altro capolavoro dell’album: “Get the lead out”. Sembra di ascoltare i King Crimson che incontrano i Depeche Mode! “Eat the elephant” è un bellissimo lavoro, originale ed ispirato, come pochi ne escono nel mondo discografico commerciale e attuale.
Best tracks: “Eat the elephant”, “The doomed”, “Hourglass”. 8/10



ARENA will release the new album "Double vision" on 25th may 2018.

KLAUS SCHULZE will release the new album "Silhouettes" on 25th may 2018.


New album during 2018 by DREAM THEATER, THE SMASHING PUMPKINS, RICK WAKEMAN.


THE PINEAPPLE THIEF will release the new album "Dissolution" on 31th august 2018.

GODSPEED YOU! BLACK EMPEROR in tour:
Date tour in Italy: Roma, at Villa Ada, 04 july 2018, Milano, at Circolo Magnolia, 05 july 2018.



Puntuale e irrefrenabile la nuova uscita che si aggiunge alla portentosa discografia del guitar-hero statunitense. Cambio di formazione che annucia il ritorno ad un Satriani più “classico”: Chad Smith alla batteria e Glenn Hughes al basso. L’introduttiva “Energy” ed “Headrush” sono up-tempi in cui emergono grandi “legati” nella prima e bella cavalcata al basso di Hughes e grande solo di Satch nella seconda. I pezzi più sperimentali e interstellari del precedente e bellissimo “Supernova” li troviamo in “Thunder high on the mountain” e “Righteous”. “Cherry blossoms” è tra i pezzi più convincenti e forte è il rimando al periodo “Surfing with…” con un’avvincente arpeggio in minore a trainare una composizione articolata e intimista. Il classico Satriani alla “The extremist” lo troviamo in “Smooth soul”, le “zone deboli” e scontate le troviamo in “Catbot” e “Looper” mentre meritevole è la title track “What happens next”, pezzo magistralmente pensato, costruito e suonato. Altro bel pezzo è “Super funky badass”, un funk psichedelico dall’esemplare groove in cui Satriani mantiene una costante sospensione fino a librarsi, saltuariamente, in passaggi quando melodiosi e quando misteriosi! A proposito di sperimentazioni e stranezze abbiamo una “Invisible” che è una magia di virtuosismi prima della chiusura dedicata all’ Hendrix Sound di “Forever and ever” in cui ci viene proposto anche un pulitissimo solo di rara bellezza. In questo vero collage del “Satriani Sound” è possibile apprezzare degnamente la sua abilità sia in termini di velocità che feeling, compiutezza d’intenti e pulizia del suono, all’interno di composizioni che non eccellono certo per originalità.
Best tracks: “Thunder high…”, “Cherry blossoms”, “Super funky badass”. 7/10
 

Il successore dell’ottimo “Helios/Erebus” arriva dopo 3 anni e la band irlandese sembra calibrare con sempre maggiore perizia l’esperienza accumulata nel campo in cui sono visti primeggiare da anni, il cosiddetto post-rock. Già l’iniziale “Epitaph” ci introduce nell’etereo ed ipnotico mondo dei GIAA, un pezzo strutturato su un’ inusuale sequenza al piano. Si fa ricordare. La successiva “Mortail coil” spinge sull’accelleratore tra vorticose distorsioni chitarristiche e base tastieristica, i cori finali firmano un bel pezzo. I ritmi scendono blandi e affascinanti con la melodiosa e struggente “Winter dusk/awakening”, potrebbe apparire scontata ma è concepita e arrangiata invece in modo impeccabile, basta “capire” la parte finale. Scontata può invece essere “Seance room” che viene subito dimenticata dalla stupenda “Komorebi”, poesia alla Sakamoto. Mondi stellari riecheggiano in “Medea” che invoca tutto “l’Astronaut sound”. Ancora il minimalismo pianistico ed elettrificato di “Oesin” chiude  l’album nel modo più azzeccato per indicare la via del nuovo corso della band. La band riprende il loro celebre “All is violent, all…” e lo nutre d’esperienza e musicalità... non era facile “reinventarsi” in uno stile limitato.
Best tracks. “Epitaph”, “Mortail coil”, “komorebi”. 8/10

 

Dopo poco meno di 2 anni dal poco convincente “These systems are falling” il polistrumentista newyorkese partorisce un album meno gridato del precedente ma ne mantiene le basi stilistiche.
Già l’opener “Mere Anarchy” rimanda ad atmosfere tirate e claustrofobiche, la voce sussurrata ed un potente tappeto synth la rendono convincente e coinvolgente. Suoi “cavalli di battaglia” sono l’innesto delle voci femminili tra il suo cantato (“The waste of suns”) o il suo rappato (“Like a motherless child”, molto bella). La noiosa e risentita “The last of goodbyes” precede “l’inutile” “The ceremony of innocence”. Dopo la stanca “The tired and the hurt” finalmente è la voce Apollo Jane a riaccendere le attese nel contesto di una musica rarefatta che corrisponde a “Welcome to hard times”. La noia di “The sorrow tree” lascia spazio alla piu convincente e vocoderizzata “Falling rain and light”. La risentita “The middle is gone” e la sterile “This wild darkness” preparano il finale di “A dark cloud is coming”. Solo qualche sporadica intuizione interessante in un quadro sonoro che conosciamo già bene di un Moby un po’ stanco.
Best tracks: “Mere Anarchy”, “Like a motherless child”, “Welcome to hard times”. 6/10

 

Accostati al Post-Rock di Mogway e God is an astronaut, la band tedesca possiede una ritmica ed una dinamica ben più portentosa ed importante. Dopo gli ultimi 2 album che sperimentavano l’inclusione  delle vocals (molto convincente l'ultimo "Trips"), i LDC calibrano il loro Sound su quello che era il loro marchio di fabbrica testimoniato dal bellissimo “Avoid the light” del 2009. Ritmiche che richiamano i Rush ed i Tool ed atmosfere floydiane e porcupiniane sono gli ingredienti che forniscono questo bellissimo Rock strumentale ed atmosferico. I tamburi aprono i battenti nell’opener “Out there” e quando si diramano vorticosi i giri chitarristici di David Jordan e Florian Funtmann si capisce subito che sarà difficile restare immobili o disattenti, e tantomeno indifferenti, all’ascolto che verrà. Le 2 chitarre dialogano armoniose ed innamorate al cadenzare travolgente di un drumming sempre protagonista. La sospensione con cui si conclude il pezzo serve all’attacco devastante di “Ascending”, altro capolavoro che ci catapulta in uno spazio che non ha il tempo di pensare perché riff ed arpeggi vorticosi inebriano all’unisono senza respiro. “In the clouds” sussurra una linea dark-melodica (che sembra richiamare i Fields of the Nephilim) ma subito sconvolta ed arricchita da riffoni, sampler e ritmica frenetica in uno spazio crepuscolare. Il disco prosegue su questi paradigmi, forme d’onda che si dilatano e poi si raccolgono in un mantra senza fine: vale per la più eterea ed ipnotica “Like a river”, la sabbathiana “The far inside”, la pianistica (si fa per dire!) e variegata “On the verge”, la lenta e dilatata “Weightless”, ed il sommario finale di “Skydivers”. Il loro lavoro più maturo e centrato; resta il dubbio dove sapranno portare questo genere senza ripetersi (utilizzano solo chitarre e sampler)… se sapranno evolverlo ulteriormente entreranno nell’Olimpo della Storia del Rock.
Best tracks: “Out there”, “Ascending”, “In the clouds”.  8/10



GOD IS AN ASTRONAUT in tour:
Date tour in Italy: Milano, at Fabrique, 05 may 2018, Bologna, at Exagon, 06 may 2018, Roma, at Orion, 07 may 2018.


New album during 2018 by TOOL, ARENA, THE PINNEAPPLE THIEF, RIVERSIDE, MUSE.


LUNATIC SOUL will release the new album "Under the fragmented sky" on 25th may 2018.

GAZPACHO  will release the new album "Soyuz" on 17th may 2018.

GOD IS AN ASTRONAUT will release the new album "Epitaph" on 27th april 2018.

KINO will release the new album "Radio Voltaire" on 23th march 2018.

LONG DISTANCE CALLING will release the new album "Boundless" on 02th february 2018.

Sono trascorsi ben 12 anni da quell’ultimo capolavoro di John Payne a nome GPS, ultima testimonianza di inediti che lasciava presagire ad una continuazione artistica di livello dopo che la “sua” band lo avesse scaricato per ridare spazio allo sfortunata e originale ugula di John Wetton. Parlo degli Asia, band di riferimento negli anni ‘80 con un Rock Aor autorevole e poi negli anni ’90 con un Rock più Prog grazie all’input creativo del bassista e vocalist John Payne. Da un decennio si attendeva un lavoro nuovo, più volte annunciato e più volte confuso a quale firma dovesse uscire.
Si attendevano gli “ASIA featuring John Payne” ed invece Payne spiazza tutti con nome nuovo ma stessa band consolidata negli anni, in cui vi spicca il talentuoso tastierista Eric Norlander. Se alla batteria troviamo ancora il fido Jay Schellen, alle chitarre si alternano veri eroi dello strumento (come da sempre voluto nel contesto Asia): Guthrie Govan e Jeff Kollman su tutti. Il disco suona come un ottimo bilanciamento tra le composizioni melodiche degli Asia ed i tecnicismi degli indimenticati GPS. L’opener "Brother in arms" è affidata ad uno dei brani meglio riusciti del full-lenght, lunga cavalcata dalle bellissime armonie ed intrecci vocali e guizzi chitarristici che culminano proprio alla chiusura del pezzo. “Strange days” è il single scelto, vincente in tutto: linea melodica, refrain, superbo lavoro tastieristico che apre ad  un grandioso assolo di Govan. “Amor vincit omnia” sembra uscita dal cilindro degli Asia periodo Payne: cadenzata e solenne marcia che ritaglia intermezzi operistici e poi pianistici. Con “Time waits for no one” si torna su territori molto più melodici e accattivanti. “A sorrow’s crown” sembra promettere tanto ma non decolla mai abbastanza, nonostante il gran lavoro di Norlander. Molto più convincente la successiva “Fourth of July” dalla solida struttura ritmica ben accompagnata da archi e tastiere fino all’incedere davvero coinvolgente di un finale degno di quegli arrangiamenti virtuosistici mai pomposi  e mai scontati. Il secondo e melodioso single corrisponde a “Seasons will change” e ci introduce al capolavoro finale: “Give another reason”. Autentico gioiello del disco e dell’intero “repertorio Payniano”, il brano parte atmosferico per aprirsi prima ad un inedito cantato quasi rap e poi al refrain che diventerà il cavallo di battaglia dell’intero pezzo. Un ritornello che si fa cantare, sempre più forte e sempre più magnetico nei minuti successivi grazie alle ispiratissime note tastieristiche, arrangiate magistralmente con il lavoro acustico ed elettrico di Kollman. L’attesa non è stata vana, Payne firma un altro disco bellissimo. C’è grande Musica.
Best tracks: “Give another reason”, “Brother in arms”, “Strange days”. 8/10

Edgar Froese muore 3 anni fa ed il figlio Jerome, già in pianta stabile da diversi anni, ne eredita l’arduo compito di tenere in vita i pionieri della Musica Cosmica o Krautrock. 50 anni di Musica senza tempo, infinita discografia sempre più al servizio delle Soundtracks. “Quantum Gate” integra idee del defunto Edgar e prosegue un viaggio quantico! Ampi, lunghi e dilatati tuffi in mondi cosmici, catapultati nella "trance" di sequencer ed arpeggiatori. Questo racchiude l’opener “Sensing elements”, che ai suoni stellari aggiunge qualche essenzialissima sequenza di note per accennare una melodia da ricordare, sul fondo una chitarra elettrica ritmata cerca coesione nell’infinito schieramento di impulsi elettronici. Ormai ipnotizzati nel vorticoso mondo cosmico, “Roll the seven twice” propone già il colpo di grazia! Qui un moog “alla Klause Schulze” è richiamato a firmare il pezzo più vincente dell’album, non si può restare inerti neppure con il corpo! “Granular blankets” parte molto dark per poi librarsi nelle estensioni “alla Vangelis”. “It is time to leave…” riconduce su sentieri danzerecci, “trance-dance” dai suoni un po’ vintage. La successiva “Identity proven matrix” gira intorno un accennata melodia solenne. Siamo già persi nello spazio e “Non locality destination” ce lo ricorda nella sua scarna e sconclusionata struttura, ed echi chitarristici sembrano volerci fare da bussola. Finalmente una luce sembra aprirsi a noi, lentamente si avvicina e scorgiamo delle forme, ancora irrisolte, in “Proton bonfire”. Nel limbo delle incertezze, sospesi e ricatapultati negli abissi sonori che hanno reso celebri i Tangerine, “Tear down the grey skies” contiene quelle brevi melodie di suoni vellutati ed accarezzati. Il viaggio sta per concludersi e “Genesis of precious thoughts” lo fa ricollegandosi al principio nello stridulo accompagno degli archi, il ciclo non ha fine. E neppure i Tangerine Dream l’hanno. Bravi, ancora.
Best tracks: “Sensing elements”, “Roll the seven twice”, “Genesis of precious thoughts”. 7/10


ROGER WATERS in tour:
Date tour in Italy: Milano, at Forum Mediolanum, 17/18 april 2018, Bologna, at Unipol Arena, 21/22/24/25 april 2018, Lucca, at Mura città, 11 july 2018, Roma, Circo Massimo, 14 july 2018.

TONY BANKS will release the new album "5" on 02th february 2018.

JOE SATRIANI will release the new album "What happens next" on 12th january 2018.

DUKES OF THE ORIENT is the new band featuring John Payne (ASIA...) and Eric Norlander and it's planned a new album on 28th february 2018.

RAY WILSON in tour:
Date tour in Italy: Nocera Umbra, 22 july 2018.

TOTO in tour:
Date tour in Italy: Milano, at Forum Mediolanum, 10 march 2018, Bologna, at Unipol Arena, 23 march 2018.

STEVEN WILSON in tour:
Other date tour in Italy: Verona, at Teatro Romano, 25 june 2018, Nichelino (TO), at Palazzina di caccia Stupinigi, 26 june 2018.



C’era d'aspettarselo. La mente creativa, e spesso geniale, degli Anathema avrebbe partorito un proprio lavoro solista prima o poi… ed arriva puntuale, quando la sua band è entrata ormai nell’olimpo di un pubblico ben selezionato. Nessuna sorpresa neppure sul sound di questo album, riprende precisamente i parametri per cui gli Anathema hanno trovato il loro successo: ritmi pacati, note dilatate ed ipnotiche, melodie avvincenti. L’apertura è proprio questo: “The exorcist” è costruita sulle sole note di un  pianoforte e un cantato ritmato. Coinvolge, si. “This music” vede la partecipazione alle vocals della bella, brava e simpatica olandesina Anneke Van Giersbergen, il risultato è però un anonimo pezzo quasi “country”. Come del resto la successiva, monotona e noiosissima “Soho”. Bisogna attendere “The silent flight of the raven…” per ascoltare una composizione con una struttura e sonorità più interessanti, pianoforte più articolato ed elettronica puntellano in un crescendo evocativo, dai rimandi floydiani più psichedelici. La breve “Dawn” ha il suo perché, nel suo arpeggio chitarristico è inserito un bellissimo violino che firma un atmosfera molto Anathema. Cavanagh non può stare troppo tempo senza le paranoie melodiose e spesso sdolcinate e lentissime, quindi torniamo sui sentieri di “Soho” con “Oceans of Time”, e sempre accompagnato da Anneke, ovviamente. Il pianoforte di “Some dreams come true” chiude più o meno come l’album è iniziato. Mezzo flop per Daniel Cavanagh: album monotono, scontato e monocromatico, troppo. Avevo ben altre aspettative, forse.
Best tracks: "The exorcist", "The silent flight...", "Dawn". 6/10

Il progetto solista di Mariusz Duda dei Riverside avanza senza indugi, e questo quinto lavoro ne rivela un identità sempre più forte, coesa e centrata, ma mai particolarmente originale e caratterizzante. Coadiuvato solo dal batterista Wawrzyniec Dramowicz, il musicista polacco si cimenta un po’ su tutti gli strumenti (escludendo la chitarra elettrica, assente comunque totalmente dal sound) e sperimenta nuovi vocalizzi. La partenza è spaziale con “Blood on the tightrope”, dal groove irresistibile: giro di basso vincente in cui si inseriscono loop di sintetizzatori, ritmica in levare e poi le note di piano che magistralmente incollano un pezzo esemplare per costruzione. Le successive “Anymore” e “Crumbling teeth…” risultano meno ispirate e vano risulta l’inserimento degli archi nella seconda, il cantato resta troppo piatto ed incolore. Molto più interessante nel suo crescendo l’onirica “Red light escape” che contiene (nel finale) un bel sound tastieristico anni 80 comprensivo di sax! La title track “Fractured”  è un intreccio ipnotico di basso, cantato corale e mantrico,  e tappeto tastieristico di fondo. Da un arpeggio chitarristico si dimena l’incedere di uno dei pezzi più convincenti : “A thousand shards of heaven”. Orchestrato e magistralmente ritmato richiama ai Marillion per  la pulizia sonora, e le trame mai invadenti ma percepibili ed apprezzabili in ogni strumento interpellato. La successiva “Battlefield” ripropone una base più oscura,  elettronica e percussiva che fa affiorare ai primi lavori dei Riverside. Bel finale con la conclusiva “Moving on”, sviluppata in Depeche Mode style, anch’essa percussiva ed elettronica, con un bel refrain. Il disco è assolutamente gradevole e apprezzabile nella sua interezza ma ancora una volta sembra manchi qualcosa perché il progetto “Lunatic Soul” esploda ad un livello superiore. Manca la genialata, il cantato rimane ancora troppo anonimo e nessun pezzo è proprio irresistibile a differenza del precedente che conteneva vette superiori.
Best tracks: "Blood on the tightrope", "A thousand shards of heaven", "Moving on". 7/10
 

La band inglese torna dopo 3 anni dal convincente “For the journey” con la dipartita del bravissimo vocalist Damian Wilson e l'ulteriore ritorno di Glynn Morgan. Dagli stessi annunciato monumentale, non mi sembra un adeguata descrizione se non perché è stato compreso in 2 CD! L’album è sulla scia stilistica del precedente: i pezzi sono tirati, dinamici  e melodici, belli ma ormai troppo ripetitivi. Non basta il refrain killer di “Small dark lines”, la trascinante e più moderna “Trust the process” (con un bel lavoro tastieristico di Richard West), i brillanti arrangiamenti della melodiosa ballata di “The shire - part 2” (ma anche la part 3 al piano), il mix Threshold Style di “Subliminal freeways” (doppia cassa, riffone, refrain vincente, breve guitar-solo melodico) o l’ariosa ballata finale di “Swallowed” a far fare loro quel salto di qualità per accreditarlo come album capolavoro o quel decollo tra le band simbolo e dalla forte identità. Un rock che per quanto brillante e gradevolissimo resta spalmato in modo quasi anonimo nella vastità del suo genere.
Best tracks: "Small dark lines", "Trust the process", "Swallowed". 7/10



YES  will release the new live album "Topographic-Drama. Live across America"  on 24th november 2017.

HANS ZIMMER  will release the new live album "Live in Prague"  on 03th november 2017.

La Norvegia distribuisce da oltre un decennio le band più interessanti nel mondo del Prog ed i Leprous ne sono un'altra testimonianza. Questo quinto loro full-lenght è finalmente il loro punto di coesione più riuscito dopo i primi esperimenti più Metal-Prog (“Bilateral” ) e poi Prog (“Coal”). Se ne definisce un identità ed emerge la loro vera anima, che è poi quella del leader Einar Solberg, versatile e talentuosissimo vocalist  e keyboarder. Avvicendamenti nella sezione ritmica della band hanno sicuramente contribuito a rallentare il processo evolutivo, ora raggiunto. Con l’iniziale “Bonneville” si parte subito alla grande: una dinamica jazzata su cui è puntellato il mostruoso cantato di Solberg fino a dilatarsi sui toni epici e solenni di un organo da brividi sopra un sussurrato loop elettronico. La successiva “Stuck” è più chitarristica e contiene un refrain avvincente ma anche un finale orchestrato e la presenza del violoncello di Raphael Weinroth-Browne (novità nella line-up). Tocca al pezzo più catchy dell’album: “From the Flame”, ancora refrain trascinante e memorabile, un hit costruito ed interpretato magistralmente. “Captive” è un proseguio un po’ anonimo se non fosse per alcuni interessanti spunti ritmici, preparatori per la successiva “Illuminate”! Riff avvincenti e Solberg ancora in evidenza. Come del resto anche in “Leashes” il buon Einar sprigiona vocalizzi maestosi che trascinano l’epicità del pezzo. Con “Mirage” si giunge al vertice musicale: ritmo sincopato, riffate che si chiamano e si rispondono sopra l’incessante incedere di un  sempre discreto loop elettronico. Nel finale il basso erge  fino al sentore complessivo di Porcupine Tree. Si tirano i remi con l’atmosferica “Malina” (capolavoro di armonizzazioni) e poi la più baroccheggiante “Coma”. Un riff alla Rush introduce “The weight of disaster”, una condenza di quanto finora ascoltato con tanto spazio alle performances della sezione ritmica. Chiude  “The last milestone”, un neoclassico, lirico ed orchestrato finale che rende gli onori all’ugola di Solberg, vero mattatore dell’intero album. Brividi, davvero. Leprous non sono più un mix di Opeth, Pain of Salvation, Gazpacho, Muse, ma sono i Leprous, perché una voce come quella di Solberg è solo dei Leprous.
Best tracks: “Bonneville”, “Mirage”, “The last milestone”.  8/10



LEPROUS in tour:
Date tour in Italy: Milano, at Magnolia, 13 november 2017.

ULVER in tour:
Date tour in Italy: Milano, at Santeria Social Club, 22 november 2017, Roma, Quirinetta, 23 november 2017, Ravenna, at Almagia, 24 november 2017.


Da oltre 20 anni sulle scene, sempre in continua evoluzione. Il fondatore, geniale frontman Kristoffer Rygg ha traghettato la sua “creatura allupata” prima nel black metal, poi nel trip-hop (di “Perdition City”), attraversando l’ambient e l’avantgarde (di “Shadows of the sun”) e l’elettronica cosmica  e solenne (“Messe” e “ATGCLVLSSCAP”) fino ad un uso dell’elettronica più Pop, diciamo alla Depeche Mode, come in quest’ultimo “The assassination of Julius Caesar”, in cui i testi cominciano ad essere importanti e particolarmente coesi alla musica. Sono rimasto affascinato dal personaggio Rygg e folgorato dalla Musica proposta: mai banale e sempre dettagliatissima, ordinatissima. L’iniziale “Nemoralia” fa capire subito gli intenti dell’album: singolo che ha tutto per essere canticchiato e ballicchiato! Refrain e cori femminili ammiccanti. “Rolling Stone” ha una base quasi tribale, un elettronica percussiva che si contrappone al cantato, ancora corale con le voci più  soul di Rikke Normann e Sisi Sumbundu. Alla fine il pezzo “impazzisce” nelle distorsioni elettroniche e chitarristiche. L’atmosfera si fa più dark nel mid tempo di “So falls the world”: sembra di sentire Dave Gahan tra i sintetizzatori più puliti e le melodie pianistiche, ma improvvisamente la band norvegese si proietta e chiude nei sentieri cosmici di Jean Michel Jarre! Ancora un bel pezzo da potenziale hit-single ("Southern gothic") è proposto magistralmente da Rygg per introdurre quello più inquietante e siderale dell’intero platter: “Angelus novus”. Loop spaziale e refrain irresistibile ne fanno un piccolo gioiello. L’atmosfera si alleggerisce con la seguente “Transverberation”, anche troppo. Ci pensa “1969” a tornare su territori più astrali. Sembra di ascoltare i grandi M83: atmosfere dilatate e ben definite con un cantato molto “eighties”. A chiudere ci pensa “Coming home”, il pezzo più astruso e complesso. L’iniziale atmosfera onirica ed ipnotica prende poi una direzione più decisa ed occlusa di ogni “stramberia”, in cui anche il sassofono presenzia e firma magistralmente un vero Kraut-Rock d’annata. Direi un gran bel disco, ispirato, coeso e ben prodotto, e aggiungerei anche che gli ULVER sono tra le realtà più interessanti di una Musica che propone idee vere, evocative ed emozionali.
Best tracks: "Angelus novus", "Coming home", "So falls the world". 8/10

 

Nessun altro suo disco è stato tanto chiacchierato prima della sua uscita come questo “To the bone”. Il guru dell’attuale scena Prog probabilmente se lo aspettava, come qualunque Artista veramente libero di esprimersi senza condizionamenti di quelle etichette che servono solo a chi necessita di comode (e spesso proficue) strutture identificative. “Wilson scende alla Pop Music”: chi ha stabilito la Pop Music rappresenti una discesa qualitativa? Chi ha stabilito che Wilson debba creare necessariamente una Musica circoscritta in uno stile conclamato? Domande a cui è pleonastico rispondere. Il suo primo lavoro solista “Insurgentes” fu, per stessa ammissione/dichiarazione di Wilson, un collage delle sue influenze musicali (che spaziavano dai Gong e Brian Eno, attraverso King Crimson e Pink Floyd, fino all’elettronica dei Kraftwerk al Pop di Tears for Fears, Peter Gabriel, XTC, Talk Talk…). Oggi, dopo altri 3 album in cui ha sviscerato ed evoluto il Prog fino al capolavoro di “Hand. Cannot. Erase”, ripropone quell’esordio, ma in modo più evoluto o, forse meglio, più accurato. I testi sono “social oriented” ed i temi molto attuali (fake news, manipolazione delle informazioni, terrorismo, immigrati…). “To the bone” parte come fosse Porcupine Tree di “In absentia” ma è solo un accenno destinato a sfociare subito in quella che è la direzione complessiva dell’album: melodie e ritmiche vincenti. Armonica e chitarra elettrica di Steve in evidenza, ma è il refrain etereo del cantato nella parte finale a far decollare il pezzo. La successiva “Nowhere now” sembra uscita dai “suoi” Blackfield, Popsong che si fa ricordare. Il duetto di “Pariah” sembra ispirata a quella meravigliosa “In your eyes” di Peter Gabriel con Kate Bush? Si, tanto  e bene. Ninet Tayeb risponde per le rime a Steven: pezzo intenso, da brividi, costruito magistralmente. Poi gli “Yes di Trevor Rabin” si percepiscono con la successiva “The same asylum as before”, irresistibile refrain e bel lavoro ancora di Steven alle sei corde. Tocca a “Refuge” convincere definitivamente sul valore di questo nuovo album: inizio ipnotico e struggente che scatena poi tutta l’arte compositiva di Wilson. Nell’incedere ritmico supportato da base campionata, si sprigionano all’unisono i cori, e l’armonica di Mark Felthame fino alla chitarra dilatatatissima e lacerante di Paul Stacey, nuovo ospite dei fidati del nostro guru. Ma serviva qualcosa  di più: ecco allora la solennità “dietro le quinte” di un organo gigantesco che supportasse questi minuti spaziali o, forse meglio, astrali! “4 note” al piano a chiudere questo capolavoro che lascia fluttuanti ed incantati. Ecco la discussa “Permanating”, vera disco song che fa il verso ad ELO (o se preferite Beatles) ed Abba, bel falsetto danzereccio anni 70. Il successivo  e gradevole intermezzo vocale assieme a Ninet introduce la più accesa e rockeggiante “People who eat darkness”, qui vi sento riecheggiare i Porcupine Tree di “Fear of  a blank planet”. Spudoratamente Prince è richiamato nella successiva “Song of I”, bel lavoro orchestrale in un atmosfera crepuscolare. Per accontentare (si fa per dire) i fans dei “long minutes” c’è anche il pezzo Prog che fa ancora l’occhietto  a “Fear of  a blank planet”, soprattutto con le chitarre. Nella seconda metà, spazio alle performances soliste in cui evidenzio l’irresistibile basso di Robin Mullarkey  ed il solo di David Kollar, altro “Lucky guest” dell’album. I membri collaudati della sua band, Craig Blundell e Adam Holzman (ancora superbo in tutto l’album), coadiuvano Steven Wilson da soli, nell’ultima traccia, che ha nel suo lento e  malinconico incedere chiare reminiscenze dei Porcupine Tree, magari del periodo più “easy” di “Stupid dream”. Non credo voglia essere un segnale per una reunion della gloriosa band perché Steven Wilson è ormai un artista solista consacratosi meritatamente attraverso una lunga “gavetta” fatta di passione, determinazione e gigantesco talento. I suoi molteplici lavori ad altro nome (Blackfield, No man, Bass Communion…) e le sue collaborazioni più disparate testimoniano l’anima musicale, inquieta e brillante di un Artista libero di spaziare dove vuole nella Musica di qualità, e questo suo collage (o collection!) di songs ne rende ancora alta testimonianza, senza aggrovigliarsi in stupide comparazioni. Non è certo un capolavoro (nessuna genialata) ma un disco pop-rock gradevolissimo realizzato ai massimi livelli. Tanto onore.
Best tracks: “Pariah”, “Refuge”, “Detonation”. 7/10

STEVEN WILSON in tour:
Date tour in Italy: Milano, at Teatro degli Arcimboldi, 09 february 2018, Roma, Atlantico, 10 february 2018.


ANTIMATTER in tour:
Date tour in Italy: Roma, at Wishlist Club, 06 october 2017.


DAVID CAVANAGH (ANATHEMA)  will release the debut solo album "Monochrome"  on 13th ostober 2017.

ROBERT PLANT will release the new album "Carry fire" on 13th october 2017.




Il gothic rock dei celebri (nel settore) Fields of the Nephilim "rinasce modellato" con l' introduzione di più voci femminili nelle sonorità decadenti, dilatate ma sempre melodiche come nuovo apparato stilistico del progetto del bassista Tony Pettitt, giunto al quarto album. Ora sembra di sentire gli ultimi Theatre of Tragedy. Echi mediorientali sono spesso avvertibili dalla presenza del violino di Bob Loveday. Come per il precedente e fortunato “Half life”, special guest come Lee Douglas (Anathema) presenziano le registrazioni. Nel complesso trovo l’album meno ispirato del precedente ma rimane anch’esso un buon documento della loro musica proposta. Cito l’introduttiva “Verdades” in cui vi echeggiano atmosfere orientali nel cantato spagnoleggiante! Le linee facili, melodiche e malinconiche di “Misery”. “12th night”  sembra uscita dal cappello dei memorabili Fields: chitarre dilatate e mantriche con irresistibile refrain. La popeggiante “Ours again” e la ballata darkeggiante di “Let me in”. La crepuscolare ma potentissima “Words and deeds”, tra i loro pezzi più ispirati dell’intero catalogo.
Best tracks: “12th night”, “Words and deeds”. 7/10




THE PINNEAPPLE THIEF  will release the new live album "Where we stood - The concert film"  on 08th september 2017.

LUNATIC SOUL  will release the new album "Fractured"  on 06th ostober 2017.

DAVID GILMOUR will release the new live album "Live at Pompeii" on 29th september 2017.


Il ritorno nel 2014 di Christine McVie per alcune date live con i Fleetwood Mac ha permesso di preparare questo disco con il chitarrista della band Lindsey Buckingham. Una serie di prove ed intrecci (nel disco vi suonano anche gli altri membri dei Fleetwood Mac ad eccezione di Stevie Nicks) che culmineranno nel 2018 in un nuovo  e probabilmente definitivo tour mondiale della gloriosa band statunitense. Le sonorità nel disco non si discostano da quelle in cui la band ci ha abituati, e tra alti e bassi l’album risulta davvero godibile. Segnalo l’incedere di “In my world” in cui emerge tutta la genialità del chitarrista Buckingham, con tanto di avvincente ritornello. “Red sun” è la classica ballata Fleetwood, la pacata “Game of pretend” è firmata da un ‘ispiratissima Mcvie, articolata al piano e arricchita da preziosi cori. “Carnival begin” fa il verso a quella gemma che fu “I’m so afraid”: Mcvie alla voce e band al completo in grande spolvero, con tanto di guitar-solo finale del sempre mitico Buckingham. Pezzo bellissimo, a chiudere un disco certamente non sconvolgente ma decisamente onesto per  quello che la band statunitense ha regalato al Pop-Rock, tanto.
Best tracks: “In my world”, “Carnival begin”. 7/10
 


THRESHOLD will release the new album "Lost in translation" on 08th september 2017

ROGER HODGSON in tour:
Date tour in Italy: Milano, at Scalo Milano Shopping Village, 16 july 2017.


Gli Anathema anellano un tris di capolavori tra il 2003 ed il 2012, trovando la giusta formula stilistica  e compositiva. Dopodiché commettono il grave errore di pensare che la stessa debba essere vincente all’infinito. Le perplessità di “Distant Satellites” vengono infatti confermate ed evidenziate da quest’ultimo “The optimist”, che di ottimista dovrebbe avere davvero poco! La band continua a proporre i pezzi con la stessa formula: rock melodico contenente in apertura il pezzo veloce alla “Thin air”, la ballata stucchevole andante alla “Dreaming light”, lo pseudo prog alla “The storm before the calm”, l’elettronica di “Closer”… album con la stessa struttura. Le intenzioni conclamate dei protagonisti lo vogliono come sequel più dark di “A fine day to exit” ma il risultato non ne mantiene la linfa creativa e la purezza compositiva. I pezzi sono piacevoli, sia chiaro, ma nulla aggiunge e nulla entusiasma nel contesto della loro già ricca e bella discografia. La noia del single “Springfield”, di “Ghosts”, di “Wildfires”, è attutita da “Endless ways” in cui vi spicca la bella voce di Lee Douglas,  il crescendo ipnotico (“marchio di fabbrica”) della title track “The optimist” e della più effettistica “San Francisco”. Ci sono anche pezzi più tirati che rimandano all’indie di Interpol o anche ai Radiohead, soprattutto per l’utilizzo della batteria: “Leaving it behind” e “Can’t let go”. Interessante la seconda metà un po jazzata della sussurata “Close you eyes”. L’album è chiuso giustamente dalla melodica quanto scontata “Back to the stars”, sintesi cruda e crudele di quanto finora esposto.
Best tracks: "Endless ways", "San Francisco", "The optimist". 7/10

Nel corso di questi 25 anni di attesa dall’ultimo album in studio, Roger dichiarò più volte che aveva diverso materiale pronto per essere registrato e farne un nuovo disco: lo fece addirittura dopo l’uscita di “Amused to death”, poco prima e dopo l’opera “Ca ira”, e durante l’ultimo megatour di “The wall”. La sensazione era quella che in realtà avesse difficoltà a dare un senso ai pezzi, perché uscisse con un concept che lo convincesse appieno. D’altronde si parla di un artista che in soli 6 anni, tra il 1973 ed il 1979, aveva partorito 4 autentici capolavori con i Pink Floyd.
Nel suo processo evolutivo (non solo musicale, ma umano) Roger Waters sorprende ancora, a 73 anni suonati è capace ancora di rinnovarsi e di rimettersi in discussione. Dichiarò negli ultimi tempi che il suo lavoro era quasi completato, come radiogramma in cui un vecchio irlandese portava in giro per il mondo il nipote cercando delle risposte a domande fondamentali. Questo radiogramma invece divenne solo la demo per quello che sarà il produttore di quest’ultimo album: Nigel Godrich. Non è mai stato un segreto l'apprezzamento di Rog per “Ok computer” dei Radiohead ed insieme al suo nuovo e giovane direttore artistico, Sean Evans, contattò il loro storico produttore (un vero “Deus ex machina”) prima per il mixaggio di “The wall-live” ed ora per la produzione di questo “Is this the life we really want?”. Immaginare Roger Waters farsi guidare nella scelta dei pezzi, dei musicisti, negli arrangiamenti…è già clamoroso, ma intelligentemente capì che l’album doveva uscire con un suono più contemporaneo, diverso ancora da tutto quello che aveva già fatto. Pezzi relativamente brevi, nessun assolo di chitarra, niente di roboante, niente di palesemente, dico palesemente, floydiano (in realtà c'è una miscela di accenni all'intera storia floydiana). Ci sono tutte le minuzie watersiane invece: voci radiofoniche, urla, gorgheggi, vetri frantumati, allarmi, gabbiani e gli incessanti ed inesorabili ticchettii dell’orologio, del tempo che passa e scandisce… il bel “timing sussurrato” del nuovo batterista Joey Waronker. I musicisti del megatour di “The wall” sono stati tutti sostituiti da quelli nuovi della scena statunitense, fidi di Godrich: Jonathan Wilson (chitarre), Gus Seyffert (basso), il duo Lucius (cori) e soprattutto Roger Manning e Lee Pardini (alle tastiere) che si riveleranno nevralgici nel suono dell’intero album. Sono le tastiere a svolgere ruolo predominante e fondamentale nell’articolazione dei pezzi, il piano scandisce e puntella i testi bellissimi e, come sempre, angosciati ed irriverenti di Waters. E’ un Waters meno prolisso e più immediato e la cover dell’album spiega bene questo: l’intenzione è quella di imparare a leggere tra le righe, a cogliere l’essenziale. Cos’ è essenziale? Il tema sociale e  politico è concentrato ora sulla Paura, la Paura che divide e ci rende muti, piccoli ed “insignificanti”  come formiche di fronte ad una vita “ingiusta”. La domanda che apre l’album è appunto: “Perché i bambini vengono uccisi?”. “When we were young” è il breve intro ripetuto da una voce occlusa e che poi si definisce, si coglie quella “Speak to me” che apriva “The dark side…”…i riferimenti ai Floyd ci sono su tutti i pezzi, brevi accenni con un intento che si svelerà! Nella successiva “Deja vu” Roger si immagina Dio, cosa avrebbe potuto fare di meglio se questi uomini vanno per autodistruggersii…”se fossi un drone avrei paura di trovare qualcuno a  casa, forse una donna in cucina, che cuoce il pane, prepara il riso o semplicemente bolle alcune ossa”, mentre i banchieri ingrassano, mentre il Tempio è in rovina. Musicalmente il pezzo è una ballad intimista: voce, chitarra, piano e archi (bellissimi quando questi “decollano con il drone”). Forte richiamo a “Mother” ma anche alle sonorità tipiche dell’intero “The final cut”. Il ritmo ipnotico e struggente di “The last refugee” è già punta di vertice nell’album. Il corpicino senza vita del piccolo Alan Kurdi, riverso su una spiaggia turca, è l’ispirazione sul tema dei migranti. Il sogno di una donna che dice “addio” al figlio mentre dà un ultimo sguardo al mare. La voce di Waters è emozionante, il piano accompagna, ma il levarsi finale degli archi che sembrano ondeggiare sono la perla sensazionale del pezzo, che termina tra i sibili dei gabbiani. La tensione cresce e le sonorità si fanno anche più rock con “Picture that”, song di denuncia sugli orrori contemporanei: “i danni dei social network con i suoi followers e la smania di filmare qualunque cosa”, “leader politici senza cervello”… Forte il richiamo alle sonorità di “Animals”, le tastiere spaziano ariose nel ritmo incessante e claustrofobico, spazio anche per i cori tanto cari a Roger, e le rullate finali di Mason, ehm, Waronker! Suoni tribali introducono “Broken bones”, altra ballad per voce, chitarra acustica ed archi in cui si inseriscono le urla watersiane, quelle rabbiose ed insanguinate. Roger canta alle nuove generazioni di gettare quello che i loro padri hanno costruito, perché la Seconda Guerra Mondiale non sembra sia servita, perché l’Umanità non sa essere libera e con le ossa ancora rotte  “Non possiamo portare indietro l’orologio, non possiamo tornare indietro nel tempo, ma possiamo dire: vaffanculo, non ascolteremo le vostre stronzate e menzogne”. In quest’ atmosfera di denuncia e protesta, può iniziare il vertice lirico e musicale dell’album: prima con “Is this the life we really want?” e poi con “A bird in a gale”. La prima è una poesia musicata all’interno di un ritmo ipnotico e drammatico, puntellato meravigliosamente al piano ed inserimenti straordinari degli archi, il parlato di Roger diventa sempre più straziante e magnetico. Le note elettriche della chitarra strimpellata in modo ossessivo e delicato rimandano tanto ai Radiohead, tanto. La paura è il tema del pezzo: quella paura che ci tiene tutti in linea, fermi e muti come formiche: le formiche ora si aggiungono tra cani, maiali, pecore…quelli di orwelliana memoria! “L’oca è grassa” ma “la paura spinge i mulini dell’uomo moderno…la paura di tutti quegli stranieri, la paura dei loro crimini”, e “ogni volta che un imbecille diventa presidente, uno studente viene investito da un carro armato, un giornalista imprigionato, ogni volta che qualcuno muore per raggiungere le chiavi…”, è colpa delle formiche che siamo, “incapaci di distinguere il dolore che altri provano, per esempio, nel tagliare le foglie…e storditi dai reality”. “E’ perché siamo tutti in piedi, silenziosi ed indifferenti”. Il secondo pezzo canta echi di possibile fuga ma un destino avverso non è neutralizzabile. Siamo uccelli in una gabbia e fuori “Il cane gratta alla porta, il bambino annega in mare, posso addormentarmi sul pavimento?, nella storia c’è posto per me?”. Musicalmente il pezzo più sinistro, astruso dell’intero album: le note del piano dettano l’allarme, il cantato sembra deviato come le sonorità distorte all’interno di un atmosfera straziante, clustrofobica. Neanche gli echi di campane redimono nell’incessante ticchettio di una macchina agghiacciante: sembra quella di “Welcome to the machine”! Il clima si addolcisce con la successiva e bellissima “The most beautiful girl in the world”, già alle prime note al piano tanti brividi sulla condizione della donna, cosi’ delicata ed ambigua. Un pezzo che potrebbe stare benissimo in “Amused to death”, piano, archi e cori femminili nel finale. “Smell the roses” è il primo single, l’unico pezzo effettivamente subito etichettabile ed a forte richiamo floydiano, con il suo giro alla “Have a cigar”… ma c’è spazio anche ai cani e ad un brevissimo  accenno chitarristico stridente, alla Gilmour ecco! Dopo tanta Compassione e Colpa è il momento di cercare Soluzioni e la soluzione è l’Amore. Non in senso pleonastico e popolare ma “È un viaggio che parla della natura trascendentale dell’amore. Di come l’amore ci può aiutare a passare dalle nostre attuali difficoltà a un mondo in cui tutti possiamo vivere un po’ meglio”, e ancora “L’amore, se siamo abbastanza fortunati ad essere esposti ed abbastanza coraggiosi da abbracciarlo, ci può trascendere dal mondano al sublime” ci spiega Roger Waters. Gli ultimi 3 pezzi sono in realtà collegati, è una suite ma non lo risulta formalmente (altra piccola novità). La sublime cantilena di “Wait for her” è giocata su un breve e ripetuto giro di accordi al piano, “raccontata” in un atmosfera rarefatta e garbata accompagnata dall’acustica e dai gabbiani in sottofondo, con un refrain irresistibile e solenne. Aspettare una donna e prendere coscienza dell’importanza del suo amore, saperlo riconoscere, perché a lei sono riservate le speranze di un mondo migliore. “Oceans apart” è il brano di raccordo con la voce più "nasale" di Roger e “Part of me died” chiude più “convinto” le speranze di “Wait for her”. Questo disco si chiude così, nell’emozione di conoscere la potenza che suscita e trasmette  la vita ed il valore di un uomo, di un artista superiore: Roger Waters. Il Waters di “Siamo tutti cani rognosi meritevoli dell’estinzione” è lo stesso che dice “Solo l’amore può salvarci”, forse niente di illuminante, ma l’uomo Waters è quello che  a quasi 74 anni supera la sua fama,  e lotta ancora in prima persona contro tutti i folli Poteri che hanno fatto diventare la morte di suo padre la morte di tutti i deboli e gli innocenti. Roger non ha regalato un altro bel disco Rock dalle schitarrate che si fanno ricordare, ma un piccolo, diverso gioiello musicale in cui prevale delicata la coesione dei tanti dettagli che si fanno apprezzare solo meglio in cuffia. Godrich questo lo ha capito fin da principio ed ha saputo valorizzarlo e realizzarlo al meglio.
Best tracks: "The last refugee", "Is this the life we really want?", "A bird in a gale". 8/10
 

Il Guru olandese Arjen Lucassen partorisce l’ennesimo concept album con le sue amate radici fantascientifiche. Mondi, scenari  e personaggi fantasy sono il timbro del suo progetto Ayreon da oltre 20 anni e, nell’astrusità e complessità della sua musica, il simpatico polistrumentista ha saputo ritagliarsi coerentemente e devoziosamente il suo pubblico affezionato. Ancora una volta cattura in sala di registrazione molti cantanti noti (vi spicca ancora James LaBrie) per l’interpretazione dei diversi personaggi che si avvicendano nella sua fantastoria, ma questa volta anche autentici guitar-heroes come Guthrie Govan e Paul Gilbert e special guest come Mark Kelly dei Marillion. L’album abbandona le sonorità più prog ed elettroniche di “The theory of everything” o del suo solista “Lost in the new real” e si reimmerge nelle atmosfere pompose, folkeggianti ed anche metal, molto metal. L’album è lunghissimo ed articolato in doppio CD, e come sempre packaging curatissimo. La prima traccia “The day that world…” ne sintetizza bene l’intero album: riff portentosi ed avvincenti, bel solo di Mark Kelly e poi spazio a quello chitarristico. La successiva “Sea of machines” ha una struttura più folk evidenziata dal violino di Ben Mathot ma poi si snoda su un arpeggio di chitarra davvero trascinante, ripreso poi in “The human compulsion”. “Everybody dies” Ayreon 100%. “Star of Sirrah” epica ed articolatissima, con bel guitar solo. Il folk di “All that was” cavalcato dalle due vocalist femminili. Tra i pezzi più tirati c’è la successiva “Run apocalypse run!”, che contiene un bel keyborad solo. La conclusione del primo CD è affidata a “Condemned to live”, tra i pezzi più riusciti e bell’intervento di LaBrie. Il secondo CD inizia senza particolari discostamenti con quanto finora descritto. Segnalo 2 bei soli di tastiera e chitarra in “The dream dissolves”, l’orientaleggiante “Deathcry of a race” e la molto purplelliana “Into the Ocean”. L’incedere atmosferico di “Bay of dreams” introduce la mettallara “Planet Y is alive”. Poi continua ancora, ma è decisamente troppo… Arjen si dilunga troppo e appesantisce (anche per esigenze liriche), rendendo poi poco “digeribile” l’inevitabile complessità di progetti così ambiziosi quanto lodevoli.
Best tracks: "The day that the world...", "Sea of machines", "Condemned to live". 6/10
 

Secondo lavoro per la band dell’attivissimo John Mitchell, geniale e virtuoso chitarrista (già con gli Arena, Frost, Kino…). Il prog melodico e raffinato della band, che include Craig Blundell alla batteria, ruota intorno ad un concept molto caro al chitarrista ed i pezzi pur se in classica forma canzone acquistano una coesione che contribuisce a rendere il disco ancor più interessante. L’intro pianistico e atmosferico di “Deep sleep” crea subito grandi aspettative, confermate  dalla poppeggiante “Awakenigs” e soprattutto da “Sigma”, molto vicina ai territori degli ultimi Arena, gran ritornello, riff portentoso e gran lavoro finale di Blundell. Il sound si acquieta con “In floral green” in cui un cantato “sillabato” si unisce ad una melodia pianistica fascinosa, rendendo il pezzo tra i più riusciti. Ancora superArena con “Everglow” ed ancora un trascinante ritornello a farla da padrone con annesso intermezzo strumentale, stupendo. La sincopata “False lights” contiene ancora un accattivante ritornello che dialoga con accenni di nu jazz prima ed epicità tastieristica poi. Dopo la tiratissima “Symbolic”, la più tranquilla e melodica “The divine art of being”, entrambe includono brillanti interventi chitarristici. E’ il momento del pezzo più epico e prog dell’album: “The big dream”. Dopo un intro in chiaro stile Arena prima maniera, con chitarrismo alla Echoes dei Floyd e solennità tastieristica, il pezzo entra in sentieri astrusi, quasi Crimsoniani. Atmosfera drammatica che sfocia nel bellissimo fraseggio elettrico di Mitchell. Vale il disco! L’epilogo è affidato alla giusta e sussurrata “Hello world, goodbye” (con Mitchell sempre in evidenza) ed alla melodica  e pianistica “Sea beams”, qui interviene anche il flauto ad accompagnare questo disco favoloso! Mitchell non è solo un incredibile chitarrista, dal gusto e stile gilmouriano, ma un geniale compositore.
Best tracks: “Sigma”, “Everglow”, “The big dream”, “In floral green”.  8/10


The release date for “Is This the Life We Really Want?,” the new album from ROGER WATERS, has been delayed by two weeks. Originally scheduled for May 19, Columbia Records will now release it globally on Friday, June 2!
 
STEVE WILSON  will release the new album "To the bone"  on 18th august 2017.
 
Fleetwood Mac’s  LINDSEY BUCKINGHAM & CHRISTINE McVIE  will release their first album  on 09th june 2017.
 
STEVE WILSON in tour:
Date tour in Italy: Milano, at Teatro degli Arcimboldi, 09 february 2018, Roma, at Atlantico, 10 february  2018.
 
TANGERINE DREAM will release the new album "Quantum gate" on 29th september 2017.

YES featuring Jon Anderson, Trevor Rabin and Rick Wakeman, in tour:
Date tour in Italy: Roma, Auditorium Parco della Musica, 17 july 2017, Schio (Vicenza), Arena campagnola, 18 july 2017, Arbatax (Nuoro), Rocce Rosse, 22 july 2017.

L’ex tastierista di Japan e Porcupine Tree firma dopo quasi 10 anni un nuovo lavoro solista, ma una parentesi in cui non è stato mai nell’apatico torpore artistico,  considerando i 2 lavori in collaboazione con Steve Hogarth. Quest’ultimo “Planets+Persona” rappresenta certamente il suo disco più maturo, articolato ma coeso, in cui musicisti italiani e svedesi lo coadiuvano nella registrazioni di brani ispiratissimi con l’inclusione dei più disparati strumenti.
“Solar sea” è ambient intriso di nu-jazz, la successiva “New found land”  prosegue sulla stessa direzione ma la tromba di Luca Calabrese ed una batteria pulsante ne accentuano la meraviglia. Con “Night of the hunter” si svolta nei territori della World Music, iniziali suoni acustici vengono scalzati dall’irruzione di un tappeto percussivo elettronico in un incedere spaziale. “Interstellar Medium” riporta nei territori ambient. “Unholy” gira su un impercettibile quanto sorprendente e bellissima melodia al piano, contrappuntata dai piu disparati timbri strumentali…da  segnalare la voce ed il sax di Lisen Love.  La delicata “Shafts of light” introduce la conclusiva  e robotica “Solar storm” che progredisce in una rarefatta atmosfera free-jazz. Disco bellissimo, ideale per una ricca e versatile dimensione meditativa.
Best tracks: “Unholy”, “Night of the hunter”, “Solar storm”. 8/10

Prolifico come nessun’altro, l’ex chitarrista dei Genesis ha trovato da tempo la giusta e consolidata band e l’entusiasmo di suonare, anche live. Album a ripetizione, sempre di livello ma nessuno lo si ricorda come capolavoro (mi piacque molto “Darktown” del 1999 e “To watch the storm” del 2003), ed anche quest’ultimo non aggiunge nulla di strabiliante a parte l’inserimento di molti strumenti “etnici” (tar, didgeridoo, duduk, quena…) a puntellare le marcate orchestrazioni. “Behind the smoke” apre cadenzata ed orientaleggiante l’album, “Martian sea” ha tanti cori e poi finisce con bel fraseggio di chitarra a duettare con un orchestrazione “sitar oriented” (segnalo Nick D’Virgilio alla batteria), “Fifty miles from the north pole” marca un’ atmosfera misteriosa e tenebrosa in cui Hackett tesse magnificamente la trama e cori fanciulleschi ad apportarne ariosità. “El nino” è uno show chitarristico in cui l’elettrica va a duettare con interessanti orchestrazioni. Dopo l’acustica “Other side…” arriva il brano più coeso e convincente: “Anything but love”. Ancora intrecci vocali e corali interessano “Inca Terra” dal sentore etnico e molto YES, ma poi nel finale, come spesso accade, è un poderoso lavoro chitarristico di Hackett a volere “l’ultima parola”. Idem per la folkeggiante “In another life”. “In the skeleton gallery” è una di quelle track che distinguono l’atmosfera di tutti i lavori del chitarrista. Con “West to east” Hackett ammicca tra ritornello e orchestrazioni, e chiude con quelle note elettriche di “The gift”che lo hanno reso celebre, dolcemente.
Best tracks: “Anything but love”, “El nino”, “ Behind the smoke”. 7/10
 

L’atto musicale conclusivo a nome Deep Purple sembra sia stato dichiarato essere proprio quest’ultimo lavoro.  Un album molto propagandato ed etichettato come tra i loro lavori più Prog. Io non ci ho trovato quasi nulla di Progressive e, ancor più, di interessante, a differenza invece del precedente “Now what?!” del 2013. Di quel poco rimasto della storica band originale ho scoperto invece il brillante lavoro di Don Airey alle tastiere e la conferma del guitar-hero Steve Morse. Proprio nel pezzo di apertura emergono i citati nell’incalzante incedere di “Time for Bedlam”. Il single “All I got is you” è di quelli che da solo potrebbe valere l’acquisto: atmosferica ed intensa, bella prova al microfono di Ian Gillan.
Tra i vari pezzi anonimi però emergono e segnalo anche la trasognante “The surprising” ed il pezzo davvero vicino al prog: “Birds of prey”. Qui i musicisti tutti spolverano il loro mestiere ad arte, e nel finale Morse sprigiona al meglio la sua perizia chitarristica.
Best tracks: "All I got is you", "Birds of prey".  6/10



ROGER WATERS  will release the new album "Is this the life we really want?"  on 19th may 2017.

ANATHEMA  will release the new album "The optimist"  on 09th june 2017.

THE EDEN HOUSE will release the new album "Skin deep" on 16th june 2017.

The new band LONELY ROBOT of Arena guitarist John Mitchell will release the new album "The big dream" on 28th april 2017.

MARILLION in tour:

Date tour in Italy:  Roma, at Auditorium Parco della Musica, 03 october  2017, Milano, at Teatro degli Arcimboldi, 04 october 2017.

RADIOHEAD in tour:
Date tour in Italy:  Firenze, at  Parco delle Cascine, 14 june  2017, Monza (MI), at Autodromo, 16 june 2017.

HANS ZIMMER in tour:
Date tour in Italy: Milano, at Mediolanum Forum, 29 june 2017.

ARCHIVE in tour:
Date tour in Italy: Roma, at Villa Ada, 12 july 2017.

DEEP PURPLE in tour:
Date tour in Italy: Roma, at Palalottomatica, 22 june 2017, Bologna, at Unipol Arena, 26 june 2017, Milano, at Mediolanum Forum, 27 june 2017.

ANATHEMA in tour:
Date tour in Italy: Milano, at Alcatraz, 16 october 2017.

YANN TIERSEN in tour:
Date tour in Italy: Firenze, at MusArt Festival, 17 july 2017, Roma, at Auditorium Parco della Musica, 18 july 2017, Venezia, at Teatro La Fenice, 19 july 2017.


 
Dopo 3 anni e diversi rinvii, finalmente fuori l'ultimo lavoro della band patrimonio di Aviv Geffen ed il subdolo contributo di Steve Wilson dei Porcupine Tree. I notevoli e frequenti impegni di Steve Wilson solista avevano un pò arenato il suo nome nel precedente "IV". Quest'ultimo lavoro lo riporta in auge e la sua firma impreziosisce formalmente e sostanzialmente la musica. La creatura Blackfield si conferma ormai come band Pop per eccellenza, Pop raffinatissimo, forte di melodie vincenti ed irresistibili. Il duo è coadiuvato dai soliti membri originari ma in modo marginale, perchè Wilson si prende l'incarico anche del basso. I pezzi sono brevissimi e tutti "appetitosi". Si comincia con "A drop in the Ocean", intro orchestrale per il primo hit convincente di "Family man", ricorda molto le sonorità di album come "Stupid dream" dei Porcupine Tree. I toni cadenzati del pezzo vengono sostituiti da quelli più malinconici della successiva "How was your ride", la più convincente dell'album. Wilson condisce il pezzo anche con un bel guitar solo, semplice ma affascinantissimo. "We'll never be apart" integra i ritornelli faciloni in chiaro stile Blackfield a firma Geffen (ma c'è la mano anche di Alan Parsons alla produzione), invece "Sorrys" è la sua ballata acustica. "Life is an ocean" gira su un arpeggio di piano e vocalizzi che ricordano gli Yes seconda maniera (quelli anni 80). "Lately" è un potenziale secondo hit a cui succede un altro pezzo molto convincente: "October". Ballata malinconica al piano e contrappuntata dall'orchestra. Bellissimo cantato di Wilson, splendido interprete. "The jackal" poteva anche non esserci per la sua banalità! Anche la strumentale "Salt water" non lascia il segno. Il segno lo lascia invece la successiva e struggente "Undercover heart", forte di un ritornello vincente, forse stucchevole ma coinvolgente, tanto. "Lonely soul" è molto fascinosa e riuscita, grazie soprattutto alla voce in falsetto ed al cantato femminile a creare un groove davvero interessante. A chiudere c'è l'altra ballata stucchevole ma irresistibile di "From 44 to 48". I primi ascolti lasciavano delle perplessità per la loro eccessiva semplicità, ma poi ci si convince che la classe non è acqua davvero, ed i Blackfield sono una realtà Pop infallibile.
Best tracks: "How was your ride", "October", "Undercover heart". 8/10


JOHN WETTON (1949), prog rock pioneer who co-founded Asia and served in King Crimson, has passed away (31 january 2017) after a battle with cancer. R.I.P.

STEVE HACKETT  will release the new album "The night siren"  on 24th march 2017.

DEEP PURPLE  will release the new album "Infinite"  on 07th aprilh 2017.

RICHARD BARBIERI  will release the new album "Planets + Persona"  on 03th march 2017.

AYREON  will release the new album "The source"  on 28th aprilh 2017.


 

Il progetto "Electronica" era "solo" una sperimentazione ed una preparazione per il nuovo capitolo "Oxygene". Ancora un uscita discografica, ed il Maestro dell'elettronica fa ancora centro. Supercentro. Un nuovo viaggio astrale ed ancestrale fatto di suoni superbi, di sequenze incantevoli.
Le collaborazioni di "Electronica" hanno dato nuova linfa e nuove ispirazioni, soprattutto in termini di utilizzo dei suoni. L'apertura pt.14 ci introduce nel "trip" cosmico e già ci sembra di volare in un universo di suoni spettacolari: base ad incedere, linea melodica ed il suo Arpa Laser a fare da contrappunto. Niente di meglio! Con la successiva pt. 15 sembra già di dondolare in uno spazio vacuo, un buco nero, con incredibili suoni sincopati sulla stessa base e linea melodica percepibile appena, ma il tanto che basta per la "trance" ineluttabile in cui si è immersi. La pt. 16 ormai conduce in una direzione precisa, dopo la sospensione ed il mistero creto dai primi 2 pezzi. Una linea melodica precisa ma ancora transitoria, un introduzione alla pt. 17. Questo è il pezzo hit, quello che si fa ricordare e canticchiare, a bocca  chiusa ovviamente! Ma anche ad occhi chiusi. E la pt. 18 ce li fa tenere proprio così, breve ed etereo intermezzo. Con la pt. 19 si viene di nuovo catapultati in uno spazio misterioso e dopo un paio di minuti una nuova linea melodica ci sembra condurre e accompagnare fiduciosamente da qualche parte, però sempre indefinita e precaria. Improvvisamente un organo solenne sembra ci segnali l'arrivo in un posto definito: è l'ultima parte. Silenzio, gorgoglii, cigolii che si aprono ad una sequenza di note lunghe, lunghe, ampie  e solenni, stile M83. Brividi, brividi e brividi di un viaggio intergalattico ma direi meglio di un esperienza avvicinabile ad un coma, musicale.
Capolavoro assoluto.
Best tracks: "pt. 14", "pt 15", pt. 17", pt. 20".  9/10

 

 

Non era facile succedere al bellissimo "Pale Communion", ed infatti quest'ultimo lavoro appare poco meno ispirato. Ad aprire è l'acustica "Persephone" dal "sapore rinascimentale", "Sorceress" condensa il sound degli ultimi Opeth. La vivacità sconclusionata e acrobatica di "The wilde flowers" introduce la jethrotulliana "Will O the wisp", bella come il suo guitar solo. L'ambiziosa "Chrisalis" gira e rigira molto ma alla fine non va da nessuna parte, quasi scontata. L'orientaleggiante "The seventh sojourn" è interessante. "Strange Brew" sembra uscita dal repertorio solista di Steve Wilson, molto crimsoniana in diverse "zone". "A fleeting glance" aspira ad un hit quasi fallito per la sua scontatezza. Per fortuna c'è "Era" che tra riff devastante e ritornello epico, vince e convince. Tra alti e bassi un bel disco, nulla di indimenticabile.
Best tracks: "Sorceress", "Will O the wisp", "Era". 7/10



GREG LAKE (1947), prog rock pioneer who co-founded Emerson, Lake & Palmer and King Crimson, has passed away (07 december 2016) after a battle with cancer.
R.I.P.

New album during 2017 by STEVE WILSON, MUSE, TOTO, TOOL, ASIA featuring JOHN PAYNE, LUNATIC SOUL.

 

 
A solo 1 anno da "Restriction" esce un pò a sorpresa il loro nuovo lavoro che contiene diverse novità, sia  a livello di sonorità che di formazione. Non compaiono più le 2 vocalist femminili (Maria Q e Holly Martin) che davano più calore e colore alla loro musica e la stessa sembra orientarsi su un territorio industrial, astruso, sincopato e "ghiacciato". Ad attutire la ruvidezza sonora generale, ci sono 2 pezzi molto interessanti con la voce calda e sussurrata di Berrier: "Blue faces" e "Bright lights" accompagnate magistralmente al piano. "A thousand thoughts" richiama agli eterei vocalizzi, loro marchio di fabbrica. "The false foundation" è Archive style al 100%, ma terminare con una natalizia "The weight of the world" dice molto sulla mia titubanza generale di questo lavoro.
Best tracks: "Blue faces", "The false foundation", "Bright lights".  6/10
 
 
 
 
 
BLACKFIELD  will release the new album "V"  on 10th february 2017 (instead 18th november 2016!)

ORK  will release the new album "Soul of an octopus"  on 24th february 2017 and tour in Italy from 03 march at 16 march 2017.


 

 
Dopo le 2 ultime uscite discografiche, in cui Moby spaziava  sfacciatamente e brillantemente nell'elettronica raffinata, il poliedrico musicista americano propone un album diversissimo, crudo al limite dell'industrial e secco al limite del punk. E' un messaggio musicale arrabbiato, di protesta, ed il cantato accentua o asseconda l'impeto rivoluzionario. Le prime 2 tracce bastano a condensare l'intero album, che diventa poi monotono nella sua ossessività. Trovo sempre ammirevole la volontà di un artista di cambiare e sperimentare ma diventa anche facile perdere la propria identità se l'obiettivo sembra più un tentativo che una precisa idea armata di ogni strumento per farne un lavoro coeso e brillante. Fortunatamente c'è il singolo (non un caso) "Are you lost in the world..." a placare la monotonia industrial con un vincente contrappunto melodico che ha reso celebre l'artista.
Best tracks: "Are you lost in the world..., "A simple love". 6/10



STEVE HACKETT in tour:
Date tour in Italy: Torino, at Teatro Colosseo, 29 march 2017, Legnano (MI), at Teatro Galleria, 30 march 2017, Schio (VI), at Teatro Astra, 31 march 2017, Roma, at Auditorium Conciliazione, 01 april  2017.

MIKE OLDFIELD will release the new album "Returns to Ommadawn" on 20th january 2017.


 

 
Può essere considerato l'album testamento di Piotr Grudziński, lo sfortunato chitarrista della band trapassato durante le registrazioni di questa Musica. Il seguito del bellissimo "Love, fear..." raccoglie molti suoi pezzi  riarrangiati in un lavoro strumentale e contenente scarti anche di "Rapid..." e Shrine...". Il risultato è stupefacente, non solo per chi ha amato, come me,  i primi lavori targati Riverside ma per tutti coloro che adorano lo space-rock con forte contaminazione elettronica, l'ambient più strutturata. L'album si inserisce musicalmente a cavallo tra i lavori solisti del frontman Mariusz Duda firmati "Lunatic Soul" ed i Riverside più floydiani. Si parte alla grande con "Where the river flows", viaggio dal crescendo epico e spaziale, elettronica alla Tangerine Dream sfuma verso le più  acustiche sonorità alla Lunatic Soul. Fantastico lavoro tecnico di chitarra ritmica, loops e sintetizzatori. La successiva "Shine" è dominata da un giro di basso maestoso su cui gira il ritonello chitarristico e una mastodontica ritmica di sostegno, non si scorda facilmente, tutt'altro. La terza perla è sicuramente quella migliore, in assoluto il pezzo che sigla l'album intero. "Rapid Eye movement" è riarrangiata in una veste Porcupine Tree prima maniera. In un atmosfera cupa ed elettrizzante, spaziale, cosmica e trascinante, il pezzo culmina in un apoteosi ipnotica. Piotr Grudziński qui dimostra tutto il suo gusto chitarristico, regalando brividi clamorosi. La suite di "Night session" chiude il primo CD: le atmosfere sono quelle degli Ashra tempel che incontrano Porcupine Tree e Lunatic Soul, ma la seconda parte è pura sperimentazione con stralci jazzistici e tanto di sax a condimento. "Sleepwalkers" apre il secondo CD, il mix di elettronica e perizia strumentale fa apparire veri sonnambuli nell'immaginario dell'ascoltatore, cupa e gotica nel più Steve Wilson style possibile. Si prosegue poi con una serie di pezzi da "Love, fear..." dalle sonorità ambient richiamabili ai Lunatic Soul di Duda. Chiusura affidata a "Eye of the soundscape", mancava un ambient alla Brian Eno, ed eccola servita! Con questo lavoro i Riverside dimostrano non solo la loro perizia tecnica e compositiva ma quella  raffinatezza melodica di cui molte band concorrenti alla fine difettano. Album ricco di Musica bellissima.
Best tracks: "Rapid eye movement -remix", "Where the river flows", "Shine".  8/10



DREAM THEATER in tour ("Images, words & beyond"):
Date tour in Italy: Roma, at Auditorium Parco della Musica, 30 january 2017, Padova, at Gran Teatro Geox, 01 february 2017, Milano, at Mediolanum Forum, 04 february 2017

 

 
 
In un "momento" di estremo vigore creativo il Re dell'elettronica piazza il secondo capitolo del progetto "Electronica" dopo pochi mesi dall'uscita del primo. La collaborazione con gli altri musicisti si completa. Tra i partecipanti di questo disco cito: Pet Shop Boys, The Orb, Jeff Mills, Cyndi Lauper, Primal Scream, Edward Snowden ed Hans Zimmer!
L'inizio è sconvolgente, straordinario. La suite di "The Heart of Noise" è tra le perle della sua intera carriera: inizio lento ed ipnotico di un viaggio che accellera e accarezza le nostre frequenze più inesplorate."Brick England" vince con il suo ritornello in chiaro stile Pet Shop Boys, è maestria melodica e commerciale. I pezzi successivi spaziano all'interno di un elettronica commerciale, a volte rimanda ai Chemical Brothers ("Exit"), altre ai Depeche Mode ("Here for you"), altre ai Massive Attack ("What you want"), altre ai Kraftwerk ("As one", "Gisele", "Falling down"), altre al Mike Oldfield che utilizza caratterizzanti cantati femminili ("Swip to the right", "These creatures"). Interessante il cantato nell'atmosfera surreale di "Walking the mile". Il disco si discosta per sonorità dalle atmosfere spaziali e spesso ipnotiche del primo capitolo mantenendo però  intatto il valore compositivo.
Best tracks: "The heart of noise -suite", "Brick England", "Electrees". 8/10
 
Dopo oltre 15 anni di attività finalmente la band di Bruce Soord comincia a raccogliere i giusti riconoscimenti. Certamente tra i migliori talenti della scena inglese, Soord non è solo un brillante compositore, ma esperto produttore e tecnico del mixer. Bruce ha già collaborato con Anathema, Opeth e Steve Wilson. Il sound dei TPT intreccia Porcupine Tree, Blackfield e Anathema, molto melodico e ricco in fase di arrangiamento. Dopo il suo recente esordio solista, Soord interviene a firma TPT ed è boom. Questo "Your wilderness" può inserirsi tra le migliori uscite discografiche del 2016. In quest'ultimo album si sente la giusta coesione, si sentono i pezzi vincenti che i precedenti lavori difettavano per quel millimetro fatale! Qui è davvero tutto perfetto: una collezione di pezzi bellissimi, stupefacenti. Forse quel che mancava precedentemente era il genio di un batterista, ed allora è chiamato "alle pelli" Sir Gavin Harrison! Come non accorgersi del suo gusto e della sua tecnica!? E' lui che impreziosisce ogni pezzo sempre in modo diverso, sempre nel modo più appropriato. Diventa pleonastico descrivere ogni singolo pezzo, possono e devono solo essere ascoltati e dimenticarsi delle futili parole che invadono il nostro quotidiano. Ad un certo punto sembra di sentire i magici Supertramp! Perchè su "Fend for yourself" c'è anche il clarinetto di John Helliwell, già. In questa raccolta voglio però segnalare un pezzo sopra tutti: "The final thing on my mind". Capolavoro assoluto, composta per regalare brividi, per trascinare la mente dove va il cuore.
Best tracks: "In exile", "That shore", "The final thing on my mind". 8/10
 

ROGER WATERS annunces 2017 North American tour and a new album for spring 2017.
 
 
Forse la band più prolifica della scena Prog. Da quasi 40 anni Hogarth e Soci continuano a partorire album, tutti di qualità, ognuno con una sua identità. Dopo 4 anni i Marillion ci regalano un ennesimo capolavoro (diciottesimo album), tanto da poter essere paragonato qualitativamente a "Brave" e "Marbles". Musicalmente molto diverso: i brani sono solo 5 (6 nella versione deluxe) ma suddivisi in diverse parti, e coesi da un tema politico (la loro prima volta), con un vero mattatore che corrisponde al vocalist  Steve Hogarth; particolarmente in quest'ultimo lavoro Steve fa decollare in lungo e largo  la sua voce fascinosa. L'intera band comunque da prova, anche qui, di grande unità e maturità; tutti contribuiscono a deliziare e ricamare brillantemente brani ispiratissimi. "El dorado" dimostra l'approccio narrativo nel quale il cantante conduce una danza che raggiunge picchi di rara bellezza,  plauso al tastierista Kelly che accompagna e crea mood da brividi. "Living in FEAR", strutturata su un cullante giro di piano, esplode su ritornello che non vuol farsi dimenticare, in chiaro stile Marillion. La seguente "The leavers" è ben più articolata, attraverso un loop tastieristico molto ritmico e vi hanno modo di infilarsi performance deliziose di basso e chitarra. L'implacabile Rothery qui lascia davvero il segno con il suo sound riconoscibilissimo. E ad un certo punto Kelly sembra richiamare un giro di note con cui Hans Zimmer firmò quel capolavoro di "Interstellar". Poi chitarra e orchestrazioni all'unisono preparano una fuga splendida, che finisce con l'ugola di Hogarth e giro di note al piano. "White paper" sembra partire come una "Neverland" e poi creare l'atmosfera di "Wrapped up in time", un pezzo che accoglie tutta la complessità e la caratterizzazione musicale che la band ha saputo creare negli anni. Si chiude con il gioiello "The new kings", epico e struggente. Hogarth impone brividi, e la chitarrra di Rothery diventa stridula, squarciante come una lama, una lama che lascia segni indelebeli tra gli arpeggi ipnotici di Kelly. Album sontuoso, meraviglioso. Applausi scroscianti ai Marillion, ancora una volta.
Best tracks: "El dorado", "The leavers", "The new kings". 8/10
 


JEAN MICHEL JARRE will release another new album "Oxygene 3" on 02th december 2016.
 
BLACKFIELD  will release the new album "V"  on 18th november 2016.
 
MOBY will release the new album "These systems are falling" on 14th october 2016.
 
ARCHIVE will release the new album "The false foundation" on 07th october 2016.
 
RIVERSIDE will release the new album "Eye of the soundscape" on 21th october 2016.
 
OPETH will release the new album "Sorceress" on 30th september 2016.

 
 
Sono tra quelle band della scena prog che hanno illuso con il loro lavoro d'esordio per poi perdersi strada facendo. Certo, confermarsi dopo il sontuoso "Identity" non era facile. I nuovi Pink Floyd della Norvegia ci hanno provato con "All rights removed" e poi con "The greatest show on Earth", ed ora con "Disconnected", ma non fanno che ripetersi ulteriormente: I pezzi sono strutturati sempre nello stesso modo, con la chitarrra di Bjorn Riis (meglio il suo recente lavoro solista!) che galoppa stridula su territori sterili, scontati, senza una vera meta, senza quelle belle idee del loro esordio. Se siete nuovi a questa band potete ascoltarvi "Killer" o "Disconnected", così per capire cosa fanno, ma se volete il meglio frugate direttamente nel loro disco d'esordio.
5/10
 
5 anni potrebbero sembrare molti dal loro ultimo lavoro "The king of limbs", in realtà Yorke e Co. sono rimasti molto attivi non solo con il progetto "Atoms for Peace" del carismatico cantante e quello solista di Jonny Greenwood, ma anche con molte esibizioni live. Proprio da queste sono scaturite molte delle tracce contenute in quest'ultimo album prodotto ancora dal mitico Nigel Godrich. Il sound si arricchisce e si perfeziona di incantevoli orchestrazioni (qui Greenwood si fa forte della sua ultima esperienza solista maturata), ne è prova il pezzo d'apertura. Poi lievi ed ipnotici tasti d'avorio strutturano uno dei pezzi meglio riusciti: "Daydreaming". L'atmosfera cupa e struggente di "Decks dark" avvicina i fan alle sonorità di "Hail to...", ed "In rainbows", un pezzo bellissimo. "Desert island disk" conduce a sonorità quasi country, con chitarra acustica e voce sussurrata. L'elettronica percussiva degli ultimi Radiohead domina "Ful stop", un inseguirsi di voci in un incedere affascinante e magistrale. Orchestrazioni nella delicatissima "Glass eyes" che introduce la percussiva "Identikit", cori in falsetto e giro di chitarra a contrappuntarla. "The numbers" richiama ai più sommessi Pink Floyd di inizio carriera ("Atom heart mother" per intenderci), orchestrazioni si fondono perfettamente sul giro di chitarra acustica. L'atmosfera sognante di "Perfect tense" richiama subito alle sonorità della band tanto amata, cantato di Yorke a  cullare gli arpeggi di chitarra e poi i cori, quei cori! Si va verso la conclusione: una delicata e puntellata "Tinker tailor soldier..." sfuma quasi "inosservata" fino alla conclusiva "True love waits", piano e voce che fanno chiudere gli occhi. Ancora un bel disco, nulla di clamoroso da sottolineare nel suono e nelle composizioni, ma un lavoro ben costruito, progettato, che aggiunge e nulla toglie al pregevole patrimonio consegnatoci fin qui.
Best tracks: "Decks dark", "Ful stop". 7/10
 

HANS ZIMMER has announced his very first tour in Europe in spring 2016, with Guthrie Govan!
 
MUSE in tour:
Date tour in Italy: Milano. at Forum Mediolanum, 14-15-16-17-18-19-20-21 may 2016.
 
MARILLION will release the new album "FEAR" on 09th september 2016.
 
JON ANDERSON (YES) and ROINE STOLT (THE FLOWER KINGS, TRANSATLANTIC) will release the new album "Invention of knowledge" on 24th june 2016.
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BRIAN ENO will release the new album "The ship" on 29th april 2016.
 
AIRBAG will release the new album "Disconnected" on 10th june 2016.
 
DAVID GILMOUR in tour:
Date tour in Italy: Roma, at Circo Massimo, 02-03 july 2016, Pompei, at Anfiteatro, 07-08 july 2016, Verona, at Arena, 10-11 july 2016
 
KEITH EMERSON, founding member and keyboardist of Emerson, Lake and Palmer and a prog rock legend, has died (suicide) at the age of 71. RIP
 
JEAN M. JARRE in tour:
Date tour in Italy: Roma, at Auditorium Parco della Musica, 09 july 2016
 
YES in tour:
Date tour in Italy: Firenze, at OBI hall, 31 may 2016, Roma, at Teatro Olimpico, 01 june 2016

 
 
La più acrobatica e virtuosa band del mondo del Rock produce l’opera più lunga e complessa della loro discografia. La macchina Dream Theater ha metabolizzato il nuovo corso intrapreso con Mangini alla batteria per realizzare forse il loro progetto più ambizioso. La veste più melodica ed equilibrata dei loro ultimissimi album qui si condensa nella sua più completa ed epica espressione. Ben oltre 2 ore di Musica dentro 2 CD che esprimono chiaramente il desiderio di voler ancora trasmettere molto in termini musicali, molto e bene ma non certo in modo nuovo od originale. Evidenzio del primo CD: “Dystopian Overture”, sintesi epica e  solenne, struggente e articolatissima composizione che ben descrive l’intero album, in cui spicca decisamente il lavoro tastieristico di Rudess che si cimenta anche in bellissimi intermezzi orchestrali, degni di rappresentazioni cinematografiche. Il tema strutturale/ritornello è ripreso bene nella melodica e avvincente “Act of Faythe” in cui il cantato di LaBrie (in gran spolvero per tutto l’album) coinvolge tanto tanto e culla anche. La cadenzata “Brother, can you hear me?” decolla ancora con l’ugola di LaBrie, bellissima. Sono le prove vocali che dimensionano il valore intrinseco dei pezzi, ne sono prove ancora: “Ravenskill” (dal finale epico e struggente), “Chosen” (sussurrata da LaBrie ed elettrificata da Petrucci), “The X aspect” è una gemma di brividi che iniziano con  il piano di Rudess a tessere con gran gusto l’intro del cantato trascinante che il buon James farà ricordare per molto molto tempo. Dov’è Petrucci? Nella ritmica “A new beginning”, dove vi ricava un bel guitar solo. Nel secondo CD non posso non menzionare la travolgente “Moment of Betrayal” (potente nel drumming secco di Mangini, nel suo coinvolgente refrain, e in quegli inseguimenti virtuosistici che tutti i musicisti ci hanno regalato nella loro carriera), “Begin Again” richiama “The X aspect” per la sua dolcezza mai stucchevole,  stupenda. “The Path that Divides” per chi volesse sentire il potente marchio di fabbrica DT. Chiude l’album “Astonishing”, in cui tutti i temi vengono ripresi sapientemente tra archi, marce trionfali e vocalizzi favolosi in quel tono epico di cui  l’intero album  è impregnato. Nulla da aggiungere, tra qualche passaggio noioso o inutile, di tanta codesta Musica solo farsene coinvolgere.
Best tracks: "The X aspect", "Begin again", "Astonishing". 8/10
 

The brilliant RIVERSIDE's guitarist PIOTR GRUDZINSKI (1975) has passed away (21.02.2016). RIP
 
JEAN MICHEL JARRE will release the new album "ELECTRONICA 2: the art of noise" on 06th may 2016
 
DREAM THEATER in tour:
Date tour in Italy: Milano, at Teatro Arcimboldi, 17-18-19 march 2016, Trieste, at Teatro Politeama, 20 march 2016
 
STEVE WILSON in tour:
Date tour in Italy: Trieste, at Politeama Rossetti, 26 April 2016, Firenze, at OBI hall, 27 April 2016, Verona, at Anfiteatro del Vittoriale, 12 july 2016, Pescara, at Teatro D'Annunzio, 13 july 2016.
 
TOTO in tour.
Date tour in Italy: Torino, at PalaAlpitour, 06 February 2016, Montichiari, at Pala George, 07 February 2016.
 
FRANCO BATTIATO & ALICE in tour:
from 13 february 2016 to 8 April in many cities of Italy
 
IRON MAIDEN in tour.
Date tour in Italy: Milano, at Mediolanum Forum 22 July 2016, Roma, at Rock in Roma-Capannelle, 24 July 2016, Trieste, at Piazza dell'Unità d'Italia, 26 July 2016.
 
A new project involves TREVOR RABIN, RICK WAKEMAN, JON ANDERSON together!
 
New album during 2016 by MARILLION, AIRBAG, BLACKFIELD, MOBY, RADIOHEAD, JEAN M. JARRE, ROGER WATERS.
 
DREAM THEATER  will release the new  album "The Astonishing" on 29th January 2016.

 
 
E’ stato controverso e complesso, ambiguo, eccentrico, profondo e sorprendente sempre, sul palco, e probabilmente anche nella vita privata, in quella vita in fondo sempre più borghese, quasi tradizionalista, che andava conducendo negli anni. E’ stata proprio questa apparente dicotomia del personaggio (o forse meglio parlare dei personaggi, tanti personaggi!) con la sua persona, fondamentalmente austera, a rappresentare al meglio la forza artistica e umana di David Bowie. Essere tutto ed il contrario di tutto fino al midollo, fino alla morte. Una morte che diventa forma d’Arte sopraffina,  anch’essa. L’ha immaginata e l’ha rappresentata,  e poi l’ha strumentalizzata come suo Ultimo Saluto. Con questo disco, “Blackstar”. Quale modo migliore per eluderla o caricarla, utilizzarla o solo abbracciarla dolcemente? E poi con un bel Colpo di Scena per il suo pubblico… niente di meglio che festeggiare il sessantanovesimo compleanno con il proprio ultimo testamento musicale e poi andarsene inaspettatamente 2 giorni dopo, per sempre.Un capolavoro! Il disco è già questo, senza neppure ascoltarlo!
Eppure Bowie era già seriamente malato da almeno 4 anni,  nel suo estetico e dignitosissimo silenzio. Proprio in questo silenzio ha partorito i suoi 2 album migliori; quelli più raffinati, complessi, maturi… forse il silenzio quando è sofferto, devastante e lacerante aiuta certi processi creativi, spacca e apre le porte migliori. Abbandonata la scena live già dal 2006 per i noti problemi cardiaci, si concentra in studio prima con l’ottimo “The next day” e poi il Duca Bianco accellera  la cavalcata per partorire ad ogni costo questo autentico capolavoro che è “Blackstar”. Lo ascoltai prima che Bowie morisse e non fu comunque difficile pensarlo subito come un vero testamento, aiutato anche dal meraviglioso video di “Lazarus”. I nuovi musicisti dei quali si accompagna provengono tutti da radici jazz ed il sassofono di Donny McCaslin è proprio il filo conduttore nella Musica proposta. Non è anch’esso un caso: Bowie iniziò a suonare da bambino il sax,  suo primo strumento, suo grande amore…niente di più naturale che rispolverarlo alla grande, proprio alla fine. “Where are we now?” si chiedeva  (cantando meravigliosamente) 3 anni fa il Duca Bianco… ora sembra aver trovato tutte (o quasi) le risposte; già con l’iniziale, lunga e articolata “Blackstar”. I riferimenti biblici, mitologici ed esoterici sono la struttura  portante di un cantato onirico, a tratti sussurrato ma sempre affilato ed incessante, le atmosfere sono cupe al battere percussivo ed ossessivo. Poi appare una luce improvvisa rappresentata dalla voce “normalizzata” di Bowie, ma è solo un intermezzo perché la morte è annunciata. La successiva “ ‘Tis a pity she was a whore” disorienta subito non solo per i suoi connotati musicali super jazzistici in cui i fiati la fanno da padrone ma anche per il suo testo strambo  e ”terreno”. E’ bellissima, comunque. Solo 5 minuti  e si torna sulle atmosfere claustrofobiche, inquietanti e disperate di “Lazarus”: Bowie canta (meravigliosamente), spiega e si domanda, e il sax risponde, gli soffia lieve, lo accompagna nel lievitare del suo trapasso in cui si vede già lontano. E’ il capolavoro che annuncia, ci annuncia. La successiva “Sue” ci parla di false speranze, di tradimenti, di “una fede infinita per opere senza speranza” e la musica è un labirinto di suoni in cui il battere ed il levare la rendono sempre più ossessiva  e frenetica. Con “Girl loves me” Bowie sembra vivere un' incomprensione , una solitudine  che non è solo affettiva, e la musica riflette questo senso ancora di inquietudine in cui il contrappunto degli archi non levia una struttura onirica e schizofrenica. Pianoforte e  sax introducono il pezzo più melodico e struggente dell’album, è “Dollar days”, una sorta di analisi sul valore delle cose a cui si è fatto affidamento, a ciò che si sta perdendo e forse non si vuol perdere. “Vedendo di più e sentendo di meno”, “Dire di no ma intendere si”, “Questo è tutto quello che ho mai avuto da dire”. Con questi versi Bowie saluta, rendendosi conto che non può dare tutto via, o forse meglio non vuole. La più leggera “I can’t give everything away” chiude l’Opera magnifica di Bowie. Chiudere così la propria vita è un privilegio, si, ma anche un viaggio perfetto che può volere e costruire solo chi ha cercato sempre oltre, lontano da ogni pregiudizio, ma vicino agli  amici Pianeti, tutti. Non necessariamente il solo Marte.
Best tracks: “Lazarus”, “Blackstar”, “Dollar days”.  8/10
 


DAVID BOWIE (1947), the Total Artist, has passed away (10 january 2016) after an "18-month battle with cancer".
R.I.P.

 
Dopo 8 anni di attesa finalmente il Principe dell’Elettronica arriva sul mercato con un nuovo lavoro da studio, e lo fa in grande stile, grandissimo. JMJ decide di rimettersi in gioco con 2 intenti precisi: farsi conoscere come  vero e vecchio guru della specialità dagli utenti più commerciali dell’elettronica, ovvero quelli della discomusic, e trovare nuovi stimoli compositivi introducendo elementi diversi ed inesplorati. Per fare questo decide di avvalersi di illustrissime collaborazioni, artisti del settore che hanno contribuito a modellare ed evolvere l’Elettronica stessa. Ne esce un vero capolavoro! Un album che sintetizza (è proprio il caso di dire!) al meglio quanto finora ha saputo e potuto regalare questo genere alla Musica stessa nel corso di 40 anni (l’avvento del primo moog…). Con Boys Noize si parte e si decolla subito in uno spazio intergalattico e qui ci sono molte sonorità alla “Chronologie”, è “The time machine”. Con gli M83 recupera il cantato solenne ed ammiccante facendone un vero hit, è “Glory”.  Con Vince Clarke si torna sulle sonorità spaziali ed ipnotiche ma con motivi melodici (parte 2) memorabili, è la suite di “Automatic”. Con Moby si torna a cantare, a gridare elettronicamente, è “Suns have gone”. C’è spazio anche per i Tangerine Dream, e qui sono riconoscibilissimi gli strumenti che li hanno resi celebri, moog in primis. Sono i paesaggi eterei di “Zero gravity”. Come si può far diventare sensuale l’Elettronica? Con la voce di Laurie Anderson. E’ “Rely on me”. Il padre della trance Armin Van Buuren sbarca con la sua astronave per farci fare un  nuovo viaggio intergalattico, ma anche danzereccio, è “Stardust”. Il re delle colonne sonore dark-noir è coinvolto per il pezzo più inquietante, nel suo incedere lento e poi esplosivo, è “A question of blood”. Infine chiude “The train & the river”, il capolavoro. Addirittura il talento pianistico di Lang Lang è chiamato in causa per mixare i tasti d’avorio nel territorio forse più a lui antitetico, ma, come spesso accade, ne esce il pezzo più incredibile e coinvolgente. Si, in realtà ho dimenticato di citare anche le collaborazioni con Air, Pete Townsend, Massive Attack…ma troppa, tanta carne sul fuoco e tutta buona, gustosissima… forse perché il fuoco è elettronico o forse perché ai fornelli c’è sempre lui, l’unico ed inimitabile Jean Michel Jarre.
Best tracks: “The time machine”, “Automatic 2”, “Stardust”, “A question of blood”, “ “The train & the river”.  9/10
A solo 1 anno dall’interessantissimo “Demon” i Gazpacho recuperano le tracce scartate e ne fanno un nuovo album. Nel panorama Prog sempre distintisi per gli arrangiamenti complessi, quasi astrusi, ritmi pacati, percussivi e l’integrazione nel loro sound di strumenti inusuali. Il cantato di Ohme è il valore aggiunto anche su questo nuovo lavoro che non aggiunge  nulla di nuovo, anzi spesso toglie. Molto pezzi risultano inutili e slegati, non solo a chi non li conosce. A parte la bella ed orientaleggiante “Algorithm”, “Know your time” e “Choir of ancestors”, che sembrano uscite dal loro capolavoro “Tik Tok”, è un album che non si farà ricordare molto.
Best tracks: “Algorithm”, “Choir of Ancestors”.  6/10
Ancora un bel lavoro di questo pianista ormai affermatosi come guru di una "new age” emozionale e raffinatissima. Si accompagna da Daniel Hope al violino e la Amsterdam Sinfonietta per calibrare ancora brani di grande fascino: “Petricor” è la giusta apertura per il suo marchio di fabbrica, melodia ed incedere ipnotico. Il resto scorre all’interno di un viaggio dolce e contemplativo con picchi, discese, risalite che mai ne deturpano  l’armonia complessiva ma anzi l’arricchiscono. “Four dimensions” è quel qualcosa di sussurato che lo si capisce solo se ci si abbandona. “Elements” sviolina una piacevole inquietudine, in “Twice” due voci sembrano parlarsi al battere continuo, uguale ed inespugnabile del tempo. “ABC” è il suo struggente dna pianistico, fatto di ampi spazi e lunghi tempi in cui il timbro emerge nella sua bellezza e ricchezza. Le puntellature di “Mountain” e l’arpeggio sospeso di “Song for Gavin” non fanno che completare nel migliore dei modi un altro bell’album, forse il migliore se qualcuno volesse iniziare a conoscerlo.
Best tracks: “Petricor”, “Four dimensions”, “ABC”.  7/10
Con quest’ultimo lavoro il leader Mariusz Duda trova il giusto compromesso con quanto proposto a nome “Riverside” e il suo ultimo progetto “Lunatic Soul”. La parte più metal, elettrica  e prog dei primi si fonde con quella più soft, elettronica ed acustica dei secondi. Il suono è molto anni ’70, onnipresente l’organo e la chitarra si “limita” ad arricchire le bellissime melodie conferite da Duda. Ne rende bene testimonianza “#addicted” o nell’ancor  più floydiana, struggente ed inquietante “Afloat”. Episodi di astrusità compositiva con i riff alla Porcupine Tree e l’elettronica e le sonorità di rimando ai primi bellissimi lavori Riverside con “Saturate me”. Sezione ritmica e ritornello ammaliante in “Discard your fear”, anche qui si percepiscono richiami ai Porcupine Tree e, nei riffs,  addirittura i Black Sabbath. La complessità di “Towards the blue horizon” sembra essere ispirata dall’ultimo Steve Wilson ma è “Time travellers” a trascinare l’album su quote più alte. Una ballata acustica, con il cantato di Duda in grande spolvero ed un crescendo da brividi.
Best tracks: “#addicted”, “Discard your fear”, “Time travellers”.  8/10
A 5 anni di distanza dall’ultimo e ottimo “The final frontier” torna in scena  la band icona dell’heavy metal. Pausa lunga per i problemi di salute dell’ugola di Bruce Dickinson, ma il ritorno conferma appieno l’evoluzione ad un Rock più articolato, più ricco, che ben accompagna i testi profondi ed impegnativi del più saggio Bruce. Album in doppio CD e pezzi spesso molto lunghi ed anche i più convincenti: l’epicità di “The book of souls”, la classicità dark-style di “The great unknown” o “The man of sorrows”, l’articolata e bellissima “The red and the black” ed infine la chiusura finale dell’album con i 18 minuti di “Empire of the clouds”, costruita al piano e arrangiata con archi e violini, incedere soffuso e lento per poi esplodere con arpeggi elettrici e riffs di maniera che preannunciano lo sfogo vocale di Bruce. Da sottolineare l’ottimo lavoro alla batteria di Nicko McBrain. L’album non aggiunge nulla di nuovo o di migliore al precedente ma si assesta tra i loro buoni album.
Best tracks: “The great unknown”, “The red and the black”, “Empire of the clouds”. 7/10
 
Nettamente il suo miglior disco solista. E' un Gilmour maturo e libero musicalmente e mentalmente. Libero di staccarsi dagli archetipi floydiani, dai rancori o malumori watersiani, dalle attese specifiche dei suoi fan, dalle pressioni discografiche (ha gia donato il "suo" nuovo e ultimo PF album). Produce ora il suo lavoro più intimo, consapevole di aver già sfoggiato ogni sorta di effetto speciale (più o meno giusto e/o riuscito) a nome PF, ora può  ricomporsi e centrarsi. Ha ascoltato  nuova musica, l'ha integrata al suo patrimonio e ne ha trovato fonti d' ispirazione, in questi lunghi 9 anni. Ha rimescolato e riordinato le idee, le intuizioni ed i suoi obiettivi e ci regala il suo disco più variopinto e completo, ma con la sua identità intatta, i suoi suoni, le sue melodie ed il suo stile già celebrati. Compositivamente nulla di trascendentale o innovativo (sia chiaro)  ma ogni pezzo funziona, anche se spesso strutturato come ciò che gli ha  dato il successo. Partire "alla Shine" lo fece con "Signs of life", "Cluster one", "Castellorizon", ed oggi con "5 am". Il fatto è che non sono più copie ma nuovi brillanti versi su quell'approccio vincente e consolidato, con una chitarra sempre più lacerante e malinconica. La banalità del jingle di "Rattle that lock" è rivalutabile, un pezzo da non sottovalutare, se pensiamo meglio al suo testo cupo e straziante sorprendentemente accompagnato da una musica ritmata e giocosa. Così si giunge subito alla vera perla dell'album: "Faces of stone". Deve averla "sentita" talmente tanto da aver trovato anche le parole (davvero difficile per lui) giuste, quelle per la madre a cui è dedicata. Una malinconica sequenza di note al piano è contrappuntata dal ritmo cadenzato dei fiati (accordion e french horn) creando una ballata dall' atmosfera struggente e magnetica, impreziosita dai suoi intermezzi elettrici culminnate alla fine con quella chitarra tagliente e lacerante, quelle note smorzate, sgommate e sovrapposte che lo hanno reso unico. " A boat lies waiting" è il tributo al suo amico Richard Wright. Lenta e sussurrata, ipnotizzante come nell'osservare una barca allontanarsi nell'immensità del mare. Qui chiama in causa Crosby and Nash, Roger Eno e soprattutto quel Yaron Stavi che sarà il vero valore aggiunto per tutto il disco. Il suo doppio basso timbrerà  quella nuova prima impronta jazzistica accennata su "Dancing right in front of me" in cui spiccano il bellissimo fraseggio chitarristico e appunto le note al piano jazzate. Con "In any tongue" si marca di reminiscenze floydiane: radiosa solennità, sempre contrappuntata al piano (dal figlio Gabriel) e da bellissime orchestrazioni culminanti con l'assolo gilmouriano doc (nel brano compare alla batteria anche un certo Andy Newmark!). "Beauty" potrebbe rimandare a quella "Coming back to life",  ma la supera nettamente: uno strumentale di meravigliose note alla chitarra a dialogare con il piano di Roger Eno in un incedere che ci fa floydianamente decollare! A questo punto non resta che aprire quella porta, ed eccoci nelle atmosfere swing di "The girl in the yellow dress", per nulla banale, anzi, straordinariamente coinvolgente e cullante...con il piano di Jools Holland, il doppio basso di Chris Laurence ed il sax di Colin Stetson. La successiva "Today" è forse il pezzo più debole ma certamente utile nel richiamare il suo passato solista molto pop, per esempio di "About face". Si chiude con "and then..." una prosecuzione del motivo iniziale di "5 am", sviluppato a tutto tondo e che impone cuffie e massimo relax per lasciarci ancora in sospensione come lo stesso titolo sembra imporre. Un plauso dunque alla sua band ormai confermata e consolidata (Pratt, DiStanislao, Carin, Manzanera), alla brillantissima produzione ed all'artwork come sempre curatissimo ed evocativo. Un plauso ancora a questo Signore delle 6 corde, che non pago di aver contribuito a rivoluzionare ed impreziosire il mondo del suo strumento e della Musica tutta, ci offre con il suo approccio dimesso e austero, un nuovo gioiello sonoro in cui è possibile scoprire la sua più intima, affascinnate e struggente natura artistica ed umana.
Best tracks: "Faces of stone", "In any tongue", "Beauty". 8/10
 
ANTIMATTER  will release their new studio album "The Judas table" on 09th october 2015
 
JEAN MICHEL JARRE will release the new studio album "Electronica" on 16th october 2015
Un nuovo disco di Satriani è sempre un regalo che la Musica ci offre per apprezzarne le sue infinite possibilità. La corsa delle sue offerte è implacabile e periodica …e mai banale. Quest’ultimo album non solo prosegue nella sua qualità ma la condensa e l’arricchisce ulteriormente.  Il nostro guitar-hero si avvale di nuove presenze nel suo “staff”, ovvero la band con cui ha supportato il suo ultimo tour: la sapiente ferocia di Marco Minnemann alla batteria (ma c’è sempre spazio anche per Vinnie Colaiuta), Brian Beller al basso ed il suo oramai fido Mike Keneally alle tastiere.  Il “Re dei legati”  si presenta appunto con l’opener “Shockwave Supernova”, potenza stellare! Note più controllate e sfondi tastieristici disegnano l’atmosferica ed avvincente “Lost in memory”. “Crazy Joey” è gustosa accademia chitarristica. Shuffle  e richiami blueseggianti spaziano dentro “In my pocket” ed anche “San Francisco Blue”, si apprezzano anche l'armonica ed un hammond in "Scarborough stomp”. Momenti delicati  e romantici in “Butterfly and zebra”, “Stars race across the sky” e soprattutto “All of my life”, bellissima. Il pezzo più trascinante e devastante è “On peregrine wings”, una tempesta di suoni (dal 02:54 min. wow!) dentro un ritmo incalzante. Il Satriani melodico, commovente curatore di ogni nota e ogni timbrica è (anche) dentro “If there is no heaven” e l’avvincente finale “Goodbye Supernova”. Fantastico Satriani, un chitarrista emozionante e creativo, capace di dimostrare ancora una volta che la tecnica (tantissima) può e deve  essere al servizio del gusto, binomio raro però per molti suoi colleghi, si.
Superlativa anche la grafica ed il  package del CD.
Best tracks: “On peregrine wings”, “All of my life”, “If there is no heaven”, “Goodbye supernova”. 8/10
 
JOE SATRIANI in tour.
Date tour in ITALY: Milano, at Teatro della Luna, 5 october 2015, Firenze, at Teatro Obihall, 06 october 2015, Roma, at Auditorium Parco della Musica, 07 october 2015.
 
 
STEVE WILSON in tour.
Date tour in ITALY: Cremona, at Teatro Ponchielli, 21 september 2015, Roma, at Auditorium Conciliazione, 22 september 2015.
With David Kilminster on guitars and Craig Blundell on drums.
L’attesa è durata 5 anni ed il lungo parto ha estrapolato un doppio CD (con circa 30 pezzi)! David DeFeis, tra le più interessanti ugole della Scena Metal, sforna ancora un progetto ambizioso con la solita matrice epica! Il primo CD rimane sugli stessi territori delle loro ultime produzioni (“Visions of Eden”, “The black light of Bacchanalia”).
“Lucifer’s hammer” apre con il marchio di fabbrica: vocalizzi e ritmica a martello sono integrati da diversi guitar solos aggiunti da Josh Block e, soprattutto nel secondo CD, da Dave Ferrara. Idem per “Persephone” che aggiunge l’immancabile pianoforte. Il polistrumentista DeFeis si cimenta anche in un pezzo dalla ritmica interessante come “Demolition Queen”. Il pezzo più avvincente resta comunque la ballata di chiusura:“Fallen angels”, giocata su un giro di note che si lascia ricordare. Il secondo CD invece scopre territori inusuali, ma solo per certi versi, perché DeFeis (che firma strumentalmente ogni pezzo) richiama le sue influenze principali: Led Zeppelin e Black Sabbath. “D.O.A” è onirica nei suoi sottili rigurgiti psichedelici e “Black Sabbath” è tutto dire! “Anger never Dies” ha refrain e chorus degni di una A.O.R. Rock .”Haunted wolfshine” ha vocalizzi e guitar solo da brividi, il pezzo più esaltante ed anche memorabile insieme a “A greater burning of innocence”, una ballata acustica in cui la voce ed il talento di DeFeis emergono nella loro più cristallina dimostrazione.
Best tracks: “Fallen Angels”, “D.O.A.”, “Haunted wolfshine”, “A greater burning…”. 8/10
 
DAVID GILMOUR will release the new studio album 'Rattle than lock" on 18th september 2015.
 
RIVERSIDE will release their new studio album 'Love, fear and the time machine" on 04th september 2015.
 
CHRIS SQUIRE (1948), the co-founder and longtime bassist of prog rock icons YES and the only member of the group to feature on every studio album, has passed away (27 june) just over a month after revealing that he was suffering from a rare form of leukemia.
The Best innovative Bassist of the Musical Rock Scene!
R.I.P.
 
A 3 anni di distanza dal loro ultimo lavoro “The 2nd law” esce l’album che frena la loro incredibile ascesa, se non commerciale sicuramente musicale.  E’ sempre stato enigmatico spiegarsi il loro successo anche tra il pubblico giovanissimo e “musicalmente disarmato” nonostante la loro musica strizzasse  l’occhiolino al prog ed a molte altre non facili contaminazioni…la loro immagine “cool” li ha certamente aiutati. Il talento straordinario del leader  Matt Bellamy questa volta subisce una fase di stanca o comunque di confusione. Il sound torna più crudo, come alle origini, e la contaminazione elettronica al loro Rock, che rappresentava proprio l’aspetto più interessante, è stata accantonata quasi del tutto. I pezzi sono sempre belli, per chi non li conosce, ma ripetitivi (“Dead inside”, “Mercy”) nel format compositivo e nel loro cantato per chi li apprezza da tempo…hanno però un gusto più intimistico (“Aftermath” trascinata da una chitarra cruda e straziante o dagli archi di “The globalist”).  Sono “The handler” e “Defector” a richiamare spudoratamente le sonorità dell’album “Absolution” . Apprezzabile sempre il concept di base ed i testi impegnati ed illuminati di Bellamy.
Best tracks: “Aftermath”, “The globalist”, “Dead inside”. 7/10
Dopo 4 anni gli ARENA danno seguito al bellissimo “The seventh degree…” e regalano ancora Musica di altissimo livello compositivo ed emotivo. Il sound è più ricco del predecessore, ricontagiandosi, in una certa misura, al prog degli inizi. E’ il confermatissimo cantante Paul Manzi a trascinare i pezzi  ed  è sempre John Mitchell ad arricchirli con note chitarristiche efficaci, puntuali e dal sound cristallino. I tasti di Nolan dettano e puntellano le danze nella loro celebre epicità. “The demon strikes” è l’opener che ben sintetizza quanto detto: si canta e si ricorda a squarciagola. “How did it come to this?” è un vero single di successo, una ballata melanconica che avvolge e poi si congeda con un bellissimo guitar solo di Mitchell. Basta quest’inizio per promuovere l’album e diventa superfluo descrivere ogni altra successiva perla. E’ doveroso segnalare il prog di “The Bishop of Lufford” e la finale “Traveller beware”, le aperture chitarristiche di “No chance encounter”, la dolcezza cullante di “Oblivious to the night”, lo show tastieristico di Nolan dalla Banksiana memoria in "What happened before" e poi “The Unquiet sky”. Si canta e porta lontano, molto lontano.
Best tracks: "The demon strikes", "How did it come to this?", "The unquiet sky", "Traveller beware". 8/10
 
JOE SATRIANI will release the new studio album 'Shockwave supernova"' on 24th july 2015.
 
VIRGIN STEELE will release their new studio album 'Nocturnes of hellfire & damnation"' on 22th june 2015.
 
MARCO MINNEMANN will release the new studio album 'Celebration"' on 01th june 2015.
Quasi in concomitanza con la morte del bassista Mike Porcaro esce il nuovo disco dei Toto, ed è un gran disco! La storia personale della band americana si è sempre intrecciata con quella puramente artistica, tra gioie e dolori. Eventi che hanno inciso anche in cambi di formazione più o meno forzati,  in questa release torna Joseph Williams alle vocals ed alla batteria il talentuoso Keith Carlock sostituisce Simon Phillips. Sin dall’opener “Running out of time” è preannunciata l’intenzione di volerci regalare un album importante, che restituisse i fasti del loro miglior periodo (1982-1988). Un pezzo dinamico e magistralmente arrangiato che rimanda subito al periodo “The seventh one”. La successiva “Burn” è un ispirato hit-single di sicuro richiamo, un sussurrato arpeggio al piano sostiene e sospende la struttura a cui risponde un cantato esplosivo come il suo drumming. “Holy war” è un altro hit-single con tanto di ammiccante refrain e guitar solo. Si cambia registro con “21st century blues”, una blueseggiante ballad che ricorda il periodo di “Tambu” e nel cantato (della roca voce di Steve Lukather) di “Kingdom of desire”.  Con “Orphan” si giunge all’hit-single memorabile. L’arpeggio di chitarra si fonde perfettamente nel cantato vincente di Williams, ma è la batteria che sostiene favolosamente il pezzo rendendolo  davvero travolgente. La crescente, epica   e secca “Unknown soldier” rimanda (soprattutto nel cantato di Lukather) decisamente a quella “I will remember” di “Tambu”, impreziosita dall’elegante e profondo drumming  di Karlock. Da questo momento le atmosfere si fanno piu soft  e seventies con una serie di ballate in cui emerge la vena compositiva di Paich e Steve Porcaro. “The little things” sembra estratta da “Isolation”, quasi sdolcinata ma mai banale, tanto da conquistare subito un personale canticchiato! La successiva “Chinatown” è la perla di Paich che ci trasporta direttamente nei primi 80 (c’è anche David Hungate al basso!), gli accordi del piano sostengono refrain e chorus dei grandi ricordi. Con “All the tears that shine” si tocca il vertice emotivo: il refrain ha un accennato shuffle che sembra evocare quella “Mushanga” di “The seventh one”. Paich parla, sussurra  ed il refrain risponde travolgente. Favolosa! “Fortune”  accenna ad uno swing molto dinamico e magistralmente arrangiato. Infine si chiude con il pezzo più epico dell’album. “Great expectations” fa l’occhiolino decisamente ad “Hydra  e “White sister”, articolata e trascinata dalla chitarra ritmica, contiene diversi passaggi dal vago sapore prog. Insomma un album che più Toto non si può! Nel vero senso della parola. Il produttore CJ Vanston ha saputo collegare ed esaltare al meglio i pezzi all’interno di un sound moderno ma sempre evocativo, in cui non emergono "solos assassini" ma grande coesione, fusione e raffinatezza tra i suoni. Un nuovo must nella carriera di questa storica band, che suona ancora la Musica, come poche.
Best tracks: “Running out of time”, “Unknown soldier”, “All the tears that shine”.  8/10
 
 
MIKE PORCARO (1955), lovely Toto's bassist, passed away on March 15th.
R.I.P.
 
FAITH NO MORE will release their new studio album "Sol invictus" on 19th may 2015.
Date tour in ITALY: Milano, at Sonisphere, 02 june 2015.
 
JETHRO TULL in tour.
Date tour in ITALY: Roma, at Auditorium Conciliazione, 20 april 2015.
 
DAEVID ALLEN (1938), a founding member of the influential jazz outfit Soft Machine and the driving force behind the prog-rock group Gong, passed away on March 12th.
R.I.P.
 
OZRIC TENTACLES in tour.
Date tour in ITALY: Pordenone, at Il deposito, 03 may 2015, Roma, at Planet Club, 05 may 2015, Bologna, at Locomotiv Club, 06 may 2015.
 
MUSE will release their new studio album "Drones" on 08th june 2015.
Date tour in Italy:  Roma, at Rock in Roma Ippodromo Capannelle, 18 July 2015.
 
ARENA in tour.
Date tour in ITALY: Verona, at Club Il Giardino, 15 april 2015.
 
DREAM THEATER in tour.
Date tour in Italy: Bari, at Prog in the Castle, 30 June 2015, Roma, at Auditorium Cavea, 01 july 2015, Pistoia, at Blues Festival, 19 july 2015.
 
DAVID GILMOUR in tour.
Date tour in ITALY: Verona, at Arena, 14 september 2015, Firenze, at Teatro La Mulina, 15 september 2015.

Steven Wilson rappresenta oggi il migliore (e noto) esempio di musicista devoto TOTALMENTE alla Musica. Personalmente lo seguo dal 1995, quasi dai suoi esordi nel mondo discografico, aveva solo 18 anni! Appena maggiorenne aveva prodotto già 3 lavori con i Porcupine Tree e “The sky moves sideways” era un vero inno alla musica floydiana, il suo background cromosomico. Il successo che ebbero in Italia facilitò il mio apprezzamento…da allora fu un autentica scalata di progetti e collaborazioni senza sosta ma con tanta dedizione e talento: IEM, No-Man, Bass Communion, Blackfield… produzioni, missaggi e collaborazioni per Opeth, Fish, Marillion, Anathema, King Crimson, Jethro Tull, Yes. Con “The  incident” del 2009 chiude ai Porcupine Tree per intraprendere una carriera solista e focalizzarsi libero da condizionamenti (discografici) e forte delle esperienze  (musicali) acquisite. Da “Insurgentes” del 2009, in cui assembla una serie di pezzi che ne riconoscessero i suoi diversificati orientamenti ed origini musicali, perfeziona il suo lavoro compositivo circondandosi di musicisti di elevatissimo talento tecnico: Adam Holzman, Guthrie Govan, Nick Beggs, Marco Minneman... e produce 2 album  che lo consacrano come vero Principe Prog. Con quest’ultimo “Hand. Cannot. Erase” giunge già alla perfezione, attraverso un equilibrio quasi sconcertante di quanto finora fatto, coadiuvato ancora una volta dai suoi fidi esecutori. Il viaggio sonoro perfetto inizia con le note accennate al piano e samples ambient di “First regret” e decolla con “3 years older” dagli accennati richiami ai Camel ed ai Genesis ed impreziosita da numerose articolazioni sul refrain strutturale vincente. Così è il momento di presentare subito un bel singolo di successo ma non per questo banale, con avvincente linea melodica e saldissima sezione ritmica: “Hand. Cannot. Erase.”. “Perfect Life” è il pezzo  alla Porcupine Tree! Samples ambientali introducono il parlato di Katherine Jenkins che fa esplodere in risposta il cantato ipnotico di Steve che si carica di ritmo e tanta struggente nostalgia. Non si farà dimenticare! In “Routine” si ritorna al Prog Seventies dei suoi ultimi lavori: note al piano con diversi intermezzi solistici ed annessi interventi della bellissima voce femminile di Ninet Tayeb ed i cori della The Cardinal Vaughan Memorial School Choir. Il pezzo termina con un malinconico arpeggio di chitarra e cantato di Steve. “Home invasion” è un revival di Prog in cui ognuno dei musicisti gioca funambolico e raffinato sullo strumento, la struttura è dettata dai tasti magici del fender rhodes di Adam Holzman ed i tempi astrusi e secchi di Minneman. Ora inizia il viaggio cosmico! “Regret #9” parte con l’assolo al Moog di Adam, incredibile! Il basso profondo ci immerge nel favoloso assolo chitarristico di Govan e lo strumentale è servito! Steven pensa bene ora di cullarci con un bell’arpeggio acustico ed un cantato melodico di forte richiamo, è appunto “Transience”. Questo “intermezzo” introduce il pezzo indescrivibile: “Ancestral”. Variopinto pathos, pathos da ogni nota, da ogni millimetro sonoro scelto ed incastrato. Come se non bastasse SW ci regala la più bella ballata del decennio: “Happy returns”. Suona struggente, suona bellissima ed indimenticabile, impreziosita ulteriormente da un lavoro alle chitarre da brividi (oltrechè dal gusto sopraffino alla batteria di Chad Wackerman!). Brividi che ci accompagnano tra le note dolci del piano e dei cori che fanno conclamare decisamente ad un  capolavoro. Un disco che può essere apprezzato a tutti i livelli possibili di comprensione musicale, può essere ascoltato facilmente nelle righe o tra le righe musicali lasciando comunque strascichi emozionali straordinari perché compositivamente ispirato e vincente, perchè ricchissimo di suoni perfettamente scelti, sviluppati ed incastrati.

Best tracks: “Perfect life”, “Regret #9”, “Ancestral”, “Happy returns”.  9/10
 
ARENA will release their new studio album "The unquiet sky" on 27th April 2015.
Dopo poco più di un anno dall’esperienza Colonna Sonora di “Axiom”, gli Archive sfornano un nuovo album dai suoni sempre più industrial e trip hop. Holly Martin domina  il contributo vocale, forte del successo del precedente “With us until…”, e sono proprio i pezzi in cui lei vocalizza che sembrano i più coinvolgenti (“Kid corner”, “End of our days” e soprattutto  la romantica e sussurrata “Black and blue”). Il resto sono richiami ai Massive Attack ed ai Portishead, pezzi molto percussivi ( “Restriction”, “ Ruination”, “Crushed”), dinamici quanto scarni, che abbandonano le aperture elettroniche, cosmiche ed ipnotiche di “Lights”, “Pills” o “Controlling crowds”, per esempio. Ad eccezione della delicata  “Third quarter storm” o l’interessante “Greater goodbye” non ci sono spunti originali o composizioni ispirate, un album insomma che non aggiunge nulla di nuovo a quanto finora proposto dalla band.
Best tracks: “Greater goodbye”, “Third quarter storm”, “Black and blue”.  7/10
 
SUPERTRAMP in tour ("Forever tour").
Date tour in ITALY: Milano, at Mediolanum Forum, 09 november 2015
 
EDGAR FROESE (1944), founding member and keyboardist of the long-running band TANGERINE DREAM and an electronic music pioneer, passed away  on January 20th. 
R.I.P.
 
New album by AC-DC, SCORPIONS, OZRIC TENTACLES, MARK KNOPFLER and EUROPE. 
 
GAZPACHO will release the new live album "Night of the demon" in May 2015.
 
STEVEN WILSON in tour.
Date tour in ITALY: Milano, at Teatro Dal Verme, 30 march 2015, Roma, at Teatro Sistina, 31 march 2015.
 
TOTO in tour.
Date tour in ITALY: Milano, at Parco Monte Stella, 03 july 2015, Roma, at Auditorium Cavea, 05 july 2015, Taormina, at Teatro Antico, 19 july 2015.
 
THE GENTLE STORM in tour.
Date TOUR in ITALY: Roma, at Traffic, 21 february 2015, Milano, at Lo-fi, 25 february 2015, Bologna, at Locomotiv, 26 february 2015.
 
THE GENTLE STORM is the new band featuring ARJEN LUCASSEN & Anneke van Giersbergen Anneke van GiersbergenANNEKE VAN GIERSBERGEN. They will release their first album "The diary" on 25th march 2015.
 
STEVE HACKETT will release the new studio album 'Wolflight"' on 30th march 2015.
 
STEVEN WILSON will release the new studio album 'Hand. Cannot, Erase."' on 02th march 2015.
 
TOTO will release their new studio album 'Toto XIV' on 20th march 2015.
 
Dopo una serie di gioielli che iniziarono da “Not of this world” del 2001,  la Prog Band inglese attraversa con quest’ultimo lavoro una fase confusa di cambiamento iniziato ma non ancor ben assestato. Il mitico chitarrista e leader della band Nick Barrett vira indeciso con quest’album a sonorità più cupe, quasi claustrofobiche e sussurrate. Spariscono quasi totalmente i suoi assoli chitarristici e con essi anche il buon batterista Scott Higham lascia le pelli a Craig Blundell, a conferma di un certo tormento nella storia della sezione  ritmica della band. Ed è proprio “In bardo” l’unico episodio in cui emergono le maestranze sugli strumenti dei singoli musicisti, momenti di gloria per Barrett, Blundell ed il tastierista Nolan che si limita nell’intero album a cucire con i “suoi” tappeti sonori. Le note taglienti ed il “sustain” tipico di Barrett sono ancora presenti sulla più ariosa e zuccherata “Beautiful Soul”, nelle malinconiche quanto astruse “Faces of darkness” e “For when the zombies come”.  “Explorers of the infinite” è sicuramente il pezzo più riuscito e coinvolgente. Una composizione tipica Barrettiana trascinata da una melodia efficace e sussurrata da un arpeggio malinconico quanto suggestivo. Sprazzi di grandi Pendragon dunque, sprazzi anche di novità ma anche sprazzi di “confusione” compositiva. Forse i semi gettati per un nuovo futuro e sempre brillante capitolo di questa gloriosa Band.
Best tracks: “Faces of darkness”, “For when the zombies…”, “Explorers of the infinite”.  7/10
 
E’ il quarto album del progetto “Lunatic Soul” di Mariusz Duda, eclettico musicista polacco meglio noto come leader dei Riverside.
Rispetto soprattutto agli ultimi Riverside, Duda percorre con questo progetto una strada decisamente più intimistica, melodica ed elettronica. “Walking…” si discosta più di tutti dai primi 3 album in puro stile “New Age” e raggiunge un ottimo equilibrio con il Rock richiamando le sonorità care agli Anathema e quelle oscure (e maschili) dei Dead Can Dance.  Le prime 3 tracce sono sequenze percussive e dall’incedere ipnotico e  Duda, che nell’album suona tutti gli strumenti ad eccezione della batteria, impreziosisce con il suo pirotecnico basso il finale di “Gutter”. Le tracce proseguono su sentieri più sperimentali e psichedelici con vaghi echi orientali tipici dei primi 3 album, “Treehouse” la più rockeggiante, “Pygmalion’s ladder” la più Prog. Il finale regala il capolavoro: “Walking…” è costruita su una vincente linea melodica che culmina con un arpeggio favoloso a tutto richiamo dei migliori “The Cure”.
Best tracks: “Shutting out the sun”, “Cold”, “Gutter”, “Walking on a  flashlight beam”.  8/10

 


FISH in tour.
Date tour in ITALY: Mestre, at Teatro Corso, 07 february 2015, Milano, at Blue Note, 08 february 2015, Roma, at Planet Club, 11 february 2015, Firenze, at Viper Club, 13 february 2015.
 
STEVEN WILSON's (PORCUPINE TREE...) fourth solo album is scheduled to be released in February 2015
Sembrava che la storia discografica dei PF (anche l' ultima senza Waters) fosse terminata con “The Division Bell” del 1994 . La morte successiva  e prematura del timido ma brillante tastierista Richard Wright non poteva che suggellare questa tesi. Invece Gilmour, che già aveva in qualche occasione ricostruito almeno formalmente e più civilmente i rapporti con Waters, spiazza tutti con l’esigenza di dedicare e riconoscere ufficialmente i meriti di Wright nel Sound floydiano, recuperando vecchie registrazioni del 1993 e rielaborarle poi con il marchio Pink Floyd. Gilmour e Mason si accompagnano a Phil Manzanera, Youth ed Andy Jackson per la selezione dei pezzi e gli stessi, seppur in modo marginale, contribuendo anche  sugli strumenti.
L’album è strutturato in 4 parti, quasi interamente strumentale.
Si parte con “Things left unsaid”, intro di effetti che funge anche da raccordo con quello che sarà l'epilogo, e si prosegue con “It’s what we do” quasi  a far saper subito chi sono o, forse, chi erano. Forti i rimandi al periodo “Wish you were here” con le raffinate keys di Wright. La breve intermission  “Ebb and flow” introduce la convincente “Sum”. Un "benvenuto alla macchina" con una grande ritmica dettata dai tom di Mason e poi l' organo ipnotico di Wright,  le estensioni chitarristiche di Gilmour ed i vari  sequencer a rimandare al Sound che li ha resi celebri. Il brano conduce all'altra bellissima ritmica tribale e percussiva impartita da Mason in “Skins”.  “Unsung” è un breve dialogo delicato tra Wright e Gilmour con vaghe reminiscenze ed inquietudini di “Echoes”. Si giunge con “Anisina” alla fine della parte 2. Il pezzo è proprio del “The division bell” Sound, impreziosito da clarinetto e sax tenore e concluso con la chitarra “a tutto tondo” di Gilmour. “The lost art of conversation” è una bella e breve composizione di Wright al piano dagli accenti lievemente jazzistici. “On noodle street” una sorta di delicato e breve swing su tappeti di synth floydiani e “Night light” un altra breve intermission di effetti che conduce a “Allons-Y 1”. Qui i rimandi al periodo “A saucerful of secrets “ e poi di “Animals” si fanno piu intensi, chitarra ritmica di Gilmour in evidenza per una cavalcata davvero coinvolgente. Con “Autumn ‘68” (no Summer!) i brividi affiorano davvero: pipe organo sensazionale di Wright puntellato da Gilmour alle 6 corde. Si ritorna sulle note di “Allons-Y 2” per introdurre il vero decollo: “ Talkin’ Hawking”. Pezzo costruito su un giro di accordi al piano e perfettamente armonizzato, bilanciato ed impreziosito da cori favolosi, stridule chitarre e voci sintetizzate (è quella di Stephen Hawking!), struggente gioiello. Con “Calling” inizia l’ultima parte, forse quella più interessante. Note inquietanti dalla chitarra straziante di Gilmour aprono le strings in Vangelis–style. Il brano prosegue con il bellissimo ed ipnotico contrappunto di accordi di “Eyes to pearls” sui bellissimi tappeti di effettistica, hammond organo e farfisa. La successiva “Surfacing” gira su un bell’arpeggio di chitarra acustica, tappeti di sintetizzatori e gli immancabili suoni striduli della chitarra solista di Gilmour. È il brano etereo che introduce la conclusiva e cantata “ Louder than words”.  Una ballata floydiana con avvincente refrain, cori e piano, e conclusa con assolo controllato di Gilmour. “E’ più forte delle parole”, si, quest' album e di ogni vicissitudine legata al loro percorso artistico e non. La loro musica ha parlato sempre meglio di tutto ed anche in questo caso il risultato è lo stesso: tanta emozione. Waters scuoterà ancora il capo nell’ascoltare questa Musica oramai compassata, bella ma quasi stucchevole come la cover dell’album, d’altronde. Eppure, dalla rottura del 1983, il marchio Pink Floyd di Gilmour produce questo: bella musica floydiana ma priva della concettualità, della sperimentazione, delle geniali intuizioni ed innovazioni dettate da Waters. Un album bello, mai gridato ma raccontato, accennato (la stessa chitarra di Gilmour non invade e non domina come nei precedenti lavori), magistralmente costruito e prodotto (cura sconvolgente dei dettagli: basti pensare alla fusione dei pezzi, come il passaggio tra "Unsung" e "Anisina") ed onesto, si,  per dare un ultimo regalo ai fan e soprattutto un tributo all’amato Richard Wright.
Best tracks: "Sum", "Autumn '68", "Talkin' Hawkin", "Calling", "Eyes to pearls", "Surfacing", "Louder than words". 8/10

A dare un seguito al magnifico “March of progress” di 2 anni fa, ci pensa questo nuovo gioiello musicale di una  band che ha avuto diversi cambi di formazione ma che stavolta trattiene ancora l’ugola Damian Wilson. Ed è la sua voce incisiva e profonda  a marchiare meravigliosamente  la loro musica. Sound sempre potente e perfettamente bilanciato tra gli strumenti. Il chitarrista e leader Karl Groom traina le composizioni con i suoi arpeggi e riff magistralmente poi legate ed impreziosite dal gusto timbrico e armonico del fido tastierista Richard West. “The box” è il pezzo piu articolato e prog, “Lost in memory” e “Autumn red” Threshold-Style al 100% con ritmica martellante su tappeti  arpeggiati e refrain, “The mystery show”ha il refrain epico ed epocale che si canta a squarciagola senza mai stancarsene e dimenticarsene, ma è “Siren Sky” il vero gioiello dell’album. L’intermezzo strumentale (poco prima del quarto minuto) di guitar solo e successive fughe di pad è un brivido che ipnotizza e non si vorrebbe mai terminasse!
Best track:  “The box”, “The mystery show”, “Siren sky”. 8/10

L’inesauribile ispirazione connota questo tratto maturo e avanzato della vita artistica di Franco Battiato. Forse il periodo migliore, quello in cui  solo i Grandi (Artisti) esprimono al meglio il loro valore. Battiato straripa oggi di forza non solo artistica, e questo è possibile constatarlo nei suoi spettacoli "live" dove l’ironia e l’autoironia dei suoi intermezzi dominano quasi sulla stessa Musica proposta.
Dopo il suo ultimo capolavoro “Apriti sesamo” l’artista ancora sforna e torna alla sua vecchia passione: l’elettronica. Il progetto con il suo “cybersound's producer” Pino Pischetola abbraccia un elettronica sofisticata e raffinatissima in cui il recupero di vocoder e moog si innesta tra i suoni di archi, organi  e i più moderni cibernetici, tra il pianoforte e la sua voce rarefatta... verso un viaggio “trance”! E’ un Battiato immenso e sempre piu mistico.
Best tracks: “Leoncavallo”, “Le voci si faranno presenze”, “L’isola elefante”, “Proprietà proibita”. 8/10
 
FLEETWOOD MAC reveal to record a new album with Christine McVie and World Tour 2014/2015
 
PINK FLOYD   will release their new studio album ‘The endless river"’ on 10th November 2014

La leggendaria voce del Rock ritorna con toni sussurrati e raffinati, ma mai in modo banale o scontato. Anche quest’ultimo album rimane in un contesto folk intriso di elettronica (“Little Maggie”) e sonorità medio-orientali (“Pocket of golden”). Grande equilibrio dei suoni ed il bel timbro vocale di Plant che emerge all’interno di composizioni piacevoli ma non indimenticabili. “Turn it up” rimanda ai vocalizzi Led Zeppelin, “House of love” all’era di “Fate of Nation”, “Astolen kiss” è un intima ballata pianoforte  e voce, “Up on the hollow hill” ballata intrisa di elettronica, “Embrace another fall” il pezzo più coinvolgente.
Best tracks: “Little maggie”, “Embrace another fall”. 7/10

La band statunitense cavalca la sua new-wave evoluta con un ritorno alle sonorità di “Antics”. Suoni diretti e melodie trascinanti. Le composizioni sono tutte ispirate e gradevoli, tutte con refrain trascinanti: la ritmica e danzereccia “All the rage back home”, l’ipnotica “My desire”, la ballata ossessiva di “Anywhere”, la ballata dolcissima “My blue supreme”, l’indie rock di “Breaker 1”.
Best tracks: “My desire”, “Anywhere”, “My blue supreme”. 8/10

Accantonati gli esordi doom-metal, il leader Mikael Akerfeldt trascina la band ormai verso sonorità progressive dei Seventies e Svalberg domina la scena nell’album con un organo onnipresente ed ispirato. I pezzi sembrano uscire dagli ultimi lavori di Steve Wilson (che collabora da tempo con la band), epici cori strasbordano un po’ ovunque ma c’è spazio anche allo space-rock di “Goblin” a richiamare anche gli Ozric Tentacles. Il finale (“Faith in others”) è struggente, archi e cantato non si lasciano dimenticare ed il motivo portante è di quelli che cullano ed ipnotizzano. Un pezzo capolavoro!
Best tracks: “Eternal rains will come”, “ Moon above, sun below”, “Goblin”, “Faith on others”. 8/10

John Payne rivisita alcuni pezzi prog (ma non troppo!) con il solo apporto di Bruce Bouillett e Moni Scaria alle chitarre ed il fido Jay Schellen alla batteria. Favolosa “Rock and roll star” e l’intro strumentale “Sirius” (di Alan Parsons) acquista nuovi bellissimi suoni e forza ritmica.
Best tracks: “Sirius”, “Eye in the sky”, “ “Rock and roll star”. 7/10

La formazione cambia ancora il cantante: Benoit David lascia il posto a Jon Davison, non è Jon Anderson ma il timbro vocale è ancora molto simile! Davison partecipa alla composizione di molti pezzi ma la musica purtroppo non decolla quasi mai, vira verso sentieri piu Pop ma senza l’ispirazione che caratterizzò invece la tentazione commerciale di album come “90125” o “Big Generator”. Sembra piu un ibrido del periodo “Tormato”, la fase più buia della storia musicale Yes! Grazie alla ballata di “to Ascend” ed il prog epico e seventies di “Subway walls” l’album può comunque essere acquistato. Bella la cover art di Roger Dean.
Best tracks: “to ascend”, “Subway walls".  6/10


PINK FLOYD will release "The endless river" in october , their first album since 1994's "The division bell". It's a Richard Wright tribute and it includes tracks from "The division bell"'s  recording sessions  (Roger Waters  does not seems to be  involved). 

PINK FLOYD will release "The endless river" in october , their first album since 1994's "The division bell". It's a Richard Wright tribute and it includes tracks from "The division bell"'s  recording sessions  (Roger Waters  does not seems to be  involved). 

With this album  Anathema have confirmed and strengthened their absolute musical value  in terms of melody and emotional sound from year to year and from album to album. "Distant satellites" has the drawback to repeat for the third consecutive album the same structure and sequence composition but it always maintains his emotional contribution. The highly successful suite in 3 parts "Untouchable" is here replaced by "The Lost Song", with the same convincing vocal contributions of Lee Douglas that gives "anathemic" chills in part 2! "Ariel" is a lovely vocal duet between Lee and Vincent Cavanagh with a little 'folk' taste. "Anathema" seems to be their worthy and summary musical manifesto, obsessive and relentless till a dominant first electric guitar which usually "lies behind the scenes." This time the hard rhythms are more vibrant thanks also to the versatile Daniel Cardoso's contribution. "You are not alone" seems to wink to Radiohead and "Firelight" introduces the most successful and engaging piece with an floydian organ, which is the title track. "Distant Satellites" is an atmospheric, relentless, haunting and hypnotic, built on a solid and slightly electronic rhythmic base.
Best tracks: "Distant satellites," "The lost song part 2", "Anathema".  7/10

The genious inventor of Ambient Music has just made a new collaboration: Karl Hyde of Underworld (band of House Music and Electronics). This "Someday World" is one of his most successful and inspired works of the last 10 years. A series of rhythmic and melodic pieces, original and abstruse enough, with a strong use of wind and percussion instruments and a few sampler to connote a "seventy and eighty" sound. "Mother of a dog" seems to come out of the hat of Depeche Mode.
Best tracks: "The satellites", "Witness", "Strip it down."  8/10

"The road of bones" is the tenth studio album of this glorious band in prog scene. They usually make a new interesting album every five years but this is their masterpiece since "Subterranea" of 1997. Since that album, the band has changed his  bassist John Jowitt and keyboardist Martin Orford who have been replaced by Mark Westworth first and then by Neil Durant. Although several changes of the line-up Holmes and Nicholls have always been able to make good level standard albums and the last one represents the best quality of their music ever. "From the outside in" starts with rousing riffs and refrains part in a great sweep to introduce the atmospheric and colorful "the road of bones". Durant shows his best value and contribution to the composition, the sound looks after every detail and its ivory keys give strong emotions. "Without walls" is the most progressive and epic of the album and the vocal timbre of Nicholls gives its best. "Ocean" is a beautiful ballad with a lulling rhythm, and enjoy all the upbeat. This would be enough to close a superb album but the IQ want to give a second album (for a  "limited edition CD") of other great music (rhythm section in evidence, "Ten Million demons" and "Hardcore" above all).
Best tracks: ALL tracks!  9/10

The British band essayed the trip-hop, electronics, the progressive and now embarks on a "small" soundtrack, again with good results. After many alternations in the band Keeler, Griffiths, Berrier and Pen seem to have found a consolidated dimension. The album takes not more than 30 minutes and the "leitmotif" that drags the whole work is mesmerizing sequence of "Axiom". The famous vocals are entrusted to a beautiful and poignant "Distorted angels" and more rhythmic "Baptism." "Transmission completed date" is the most magnetic and percussive piece. A beautiful work but it does not add much more to what has been done by the band.  
Best tracks: “Axiom”, “Transmission data terminate”.  7/10

A Fourth album after Wetton's return, who was replaced by John Payne during his long and successful stint in the band. Just as the predecessors,  "Gravitas" is also a good album in full Asia Style, a kind of melodic and rousing rock where there are the beautiful vocal lines of a great Wetton at his best, the rhythmic section is more obvious and the keyboards are limited to enhance rather than to tow. These are the emerging elements rising from the album with the contribution of  a young skilful guitarist, such as Sam Coulson,  who replaced the legendary Steve Howe, being busy with the YES.  The disc starts with the pulsating and engaging hit single "Valkyrie". Then the beautiful "Gravitas", that  besides including a moving progression of piano notes supporting beautifully the piece, also compels a final guitar solo of an extraordinary Coulson! "The closer I get to you" contains vocals like Yes style, "I would die for you" was retrieved from the suspended archives (1986) and finally successfully created, "Joe DiMaggio's glove," is a ballad with a refrain not to forget.
Best tracks: "Valkyrie", "Gravitas", "Joe DiMaggio's glove". 7/10

The artist leaves the new age and the ambient sounds to return at commercial sounds of the 80 years ("moonlight shadow", for instance) using a promising young singer, Luke Spiller (great performance for "I give myself away"). It's a pop with many "California Beat Style" ballads or Paul McCartney's echoes ("Dreaming with the wind", "Man on the rocks"), sounds more rock and epic with "Chariots" and "Nuclear". Pleasant album, well-designed but not memorable.
Best tracks: "I give myself away", "Dreaming in the wind". 7/10
 
"St. Carolyn by the Sea/Suite from there will be blood" is the new album from the Jonny Greenwood's (Radiohead) and Bruce Dessner's  (The National) collaboration.
Out 03 march 2014, Deutsche Grammophone/Universal. 
Gazpacho are confirmed yet group with a strong identity in the progressive rock scene. This new album is even more complex and inspired from a compositional point of view. All tracks have a complex and almost atonal structure with sudden inserts melodically memorable ( the notes turn of piano within "I've been walking"), nostalgic voices like from a gramophone and oriental references ("Death Room"), parisian atmospheres with the accordion of "The wizard of Altai Mountains".  The final ("The Cage")  return to the more classic Gazpacho Sound Style of "Tik Tok" or "Night" album with the epic orchestrations. The guitars are only hinted at and almost replaced by the violins that dominate an album hard as it is fascinating.
Best track: "I've been walking-suite". 8/10
 
In recording studio for A NEW ALBUM:
ANATHEMA, PENDRAGON, YES, THRESHOLD,  JOHN WESLEY, VIRGIN STEELE, JEAN MICHEL JARRE, DAVID GILMOUR, ROGER WATERS
 
IQ will release their new studio album 'The road of bones' on  May 2014.
 
ASIA will release their new studio album 'Gravitas' on 21th March 2014.
SAM COULSON is the new young & virtuoso guitarist in the line-up.
 
IAN ANDERSON will release his new studio album 'Homo erraticus' on 14th April 2014.
 
TANGERINE DREAM in tour.
Date TOUR in ITALY: Torino, at Teatro Colosseo, 09 June 2014 
 
Superjazzband THE ARISTOCRATS in tour.
Date TOUR in ITALY: from 20 March 2014 in Milano, Brescia, Pisa, Modena, Verona, Torino, Perugia, Teramo, Taranto, Caserta until Roma at Planet Rock, 09 April 2014.
 
CRIMSON PROJEKCT to support the new live album 'Live in Tokio'.
Date TOUR in ITALY: Chieti, at Auditorium Supercinema, 29 march 2014 - Bologna, at Teatro Manzoni, 30 March 2014 - Milano, at Auditorium Fondazione Cariplo, 31 March 2014 - Roma, at Auditorium Parco della Musica, 01 April 2014 - Firenze, at Viper Theater, 02 April 2014.
 
KEITH CARLOCK is the new TOTO's drummer. A brilliant musician of Jazz area.
TOTO are in studio to record  a new album.
 
GAZPACHO will release their new studio album ‘Demon’ on 17th March 2014.
 
ARCHIVE will release their new studio album ‘Axiom’ on 12th May 2014.
 
CYNIC  will release their new studio album ‘Kindly bent to free us’ on 18th February 2014.
 
CAMEL have had to replace keyboard player Guy LeBlanc with previous band member Ton Scherpenzeel for their next batch of live dates.
Date TOUR in ITALY: Torino, at  Hiroshima, 20 March 2014 - Vicenza, at Teatro Comunale,  21 March 2014
 
Superband TRANSATLANTIC in tour.
Date TOUR in ITALY: Milano, at Alcatraz, 02 March 2014 - Rome, at Orion-Ciampino, 03 March 2014