Non era facile trovare un nuovo eroe del Prog pari a Steven Wilson dei Porcupine Tree ed invece possiamo ufficialmente annunciare che c’è, esiste, e si chiama Bruce Soord. Forse non si può più parlare di Prog nel suo senso storico ma di eroe musicale a tutto tondo. Già con “Dissolution” la band aveva sterzato su lidi più commerciali e sintetici, un disco modellato per esaltare il nuovo batterista: sua maestà Gavin Harrison. Con quest’ultimo “Versions of the truth” è confermata la svolta. L’artwork di  copertina ben descrive i contenuti: epoca di confusione, le informazioni sono enigmatiche per la ricerca di una verità. Questa sospensione o precarietà è percepibile anche musicalmente. Mi spiego con ordine: si inizia con la splendida “Versions of the truth”, parte sussurrata per esplodere in magistrali arrangiamenti vocali supportati da una ritmica impetuosa, il puntellamento del piano e del cantato malinconico di Soord  richiamano ai Genesis di gloriosa memoria…un peccato finisca così, sul più bello. “Break it all”  è godibile quanto sentita e la successiva “Demons” poteva essere un bel pezzo per il Bruce Soord solistico,  refrain che si fa ricordare in un atmosfera acustica ed intimistica. La ballata di “Driving like maniacs” è davvero bella e  suggestiva, atmosfera sussurrata che si fa cantare, in macchina o in riva al mare alla vista di un tramonto…ma bisogna fare alla svelta perché dura poco! Si resta sulle stesse frequenze con “Leave me be”, tre accordi portanti per il ritornello e piccole divagazioni per un altro pezzo piacevole e nulla più. Il wurlitzer dei Supertramp affiora nella sussurata “Too many voices” che anticipa il pezzo più elaborato e interessante del nuovo lavoro: “Our mire”. Tutto il repertorio emerge in modo bilanciato ed efficace, ritmica superlativa, refrain vincente e note chitarristiche che rimandano a Steve Rothery dei Marillion. Ancora ultimi Marillion emergono nella bella “Out of line”, cadenzata e tanto cantabile. “Stop making sense” è un altro pezzo accennato, delicato, ben costruito e arrangiato. La chiusura appartiene alle misteriose atmosfere di “The game”, pezzo straordinario costruito sul saliscendi di un organo da brividi, accompagnato maestosamente dalla ritmica di Harrison e dalla voce sussurrata di Soord…ma non è possibile  lasciarlo finire così, almeno un assolo chitarristico era dovuto, era perfetto. Insomma, se i nostri volevano lasciare musicalmente il segno di sospensione di questi cupi tempi ci sono riusciti in modo geniale ma per me resta solo un bel disco, dal vero potenziale inespresso.
Best tracks: “Versions of the truth”, “Driving like maniacs”, “Our mire”, “The game”. 7/10