La grande attesa è durata sei anni dai “velocissimi” e poco convincenti ultimi lavori. Darius Keeler e Danny Griffiths fanno ordine sulla loro già indefinibile musica e consolidano gli ultimi membri della band per piazzare il loro capolavoro articolato in due CD e/o  triplo LP. Nessuno può rimanere deluso da un lavoro che abbraccia comunque l’originario trip-hop, e poi il rock progressive, l’ambient e l’elettronica. Questa volta però tutto è chiaro ed ispirato e tutti sanno cosa fare. Già l’opener “Sorrounded by ghost” innesca aspettative importanti. Un motivo sospeso al pianoforte e la voce sussurrata di Lisa Mottram (novità della band) annunciano la più industrial, effettata ed astrusa “Mr Daisy”. Molto interessante. I toni si placano con la più introspettiva e ritmata, quasi rappata, “Fear there & everywhere”. Impeccabile costruzione compositiva. “Numbers” è rappresentativa del sound-Archive tanto vicino alla scena Bristol dei Massive Attack. Holly Martin gioca con un motivo parlato e mai cantato. Convincente. Cantata e bene da Holly è invece “Shouting within” su un motivo minimalista al pianoforte. “Daytime Coma” è il lungo viaggio ipnotico che caratterizza l’intero lavoro della band. Una magistrale immersione galattica all’inizio intrecciata da un pianoforte mantrico per poi snodarsi tra sequencer alla Tangerine Dream d’annata (migliore), il pezzo cresce ritmicamente e divinamente, e direi irresistibilmente fino ad esplodere! Se “Head heavy” doveva fungere da anonimo detonatore, così non è: in un contesto cinematografico Maria Q sa coinvolgere le sue proprietà vocali e si fa ricordare. “Enemy” vuol riprendere quello che “Daytime Coma” poteva aver trascurato, allora uno straziante Pollard Berrier conduce l'atmosfera enigmatica e darkeggiante fino  a colorarla di un' avvincente e claustrofobica rincorsa tra sound industrial ed ambient alla Eno degli eighties. A Dave Pen è affidato l’inno a chiusura del primo CD, “Every single day”, astruso e per niente banale. L’elettronico rap di “Freedom” con cui parte la seconda parte è davvero originale e riuscito nella sua moderna chiave beatlesiana. Che dire dell’intima e straziante “All that I have”? Bella come la sua vocalist Holly Martin. Se avete voglia di canticchiare un refrain liberatorio in un ambient più delicatamente industrial c’è “Frying paint” e allora avanti tutta: “set this city alight, set this city alight”… E’ giunto il momento del single da brividi: “We are the same” convincerà dal primo ascolto, la voce di Holly affiancata da un bel motivo elettronico nel buio delle domande più esistenziali. Bellissima! Più ariosa e vitale nel suo gioco ed intreccio corale è “Alive”. L’arpeggio tastieristico di “Everything’s alright” è un altro magistrale motivo per apprezzare l’intero album, ancora un brano struggente e vincente di un convincente Berrier. Gli Archive non finiscono di stupire e scrivono un altro pezzo capolavoro per idee compositive e post produzione. Pensate ad una modernizzata “On the run” dei Pink Floyd e inseriteci la voce di Lisa Mottram, ne esce “The crown”. Non è finita qui, bisogna chiudere in “Gold”! Non vi sveglierete certo dall’ipnosi indotta con questo finale di raccapricciante bellezza: la puntellatura del pianoforte come un requiem che si trascina in un ambient claustrofobico per poi danzare più liberi ma sempre controllati da questi Archive che hanno imbrigliato trame irresistibili per cullarci in un vero viaggio sonoro, di rara bellezza, compostezza e completezza. Un disco che abbandona quasi completamente le fumosità chitarristiche per firmarsi di un’elettronica ispirata e decisiva. E se di questo non ne siete sazi, i nostri allegano anche la colonna sonora del documentario “Super 8”. Beh, superano ancora il già altissimo livello: ascotatevi “Super 8” e “Zeitgeist” se non ci credete. Abbandonatevi e restateci.  Best tracks: “Daytime Coma”, “Enemy”, “We are the same”, “Everything’s alright”, “The crown”, “Gold”.  9/10