Questo nuovo lavoro che giunge dopo 5 anni dal precedente “Wasteland” può stabilire due aspetti: la band sta cercando un pubblico più ampio, un successo commerciale, e dal metal progressive da cui partirono sono giunti ad una formula più rock; e poi la grave perdita del chitarrista  Grudzinski nel 2016 è stata in realtà rimpiazzata dal tastierista Michal Lapaj, nel senso che le tastiere hanno ora il sopravvento ed il nuovo chitarrista Meller riveste un ruolo davvero marginale. L’apertura dell’album è un vero singolo che raccoglie perfettamente quanto finora ho espresso: “Friend or Foe?” sembra una hit anni ’80 con il cantato di Duda che usce come dall’ugola di Morten Harket degli A Ha. Il grande lavoro è tutto di Lapaji che costruisce ai sintetizzatori groove vincenti  e si lasciano ricordare. “Landmine blast” ha un bel giro di basso pulsante e la chitarra che avanza linee melodiche, sono i Riverside prima maniera. “Big Tech brother” è davvero travolgente, ritmica forsennata, riffoni e linee melodiche vengono agganciate perfettamente da un certosino lavoro ai synth di Lapaji. Gran pezzo, con spazio anche per Meller di lanciare echi di gilmouriana memoria ed un  finale incandescente che ricorda la bellissima “Echo” dei Leprous. “Post-Truth” e’ indefinibile nella sua composizione articolata e degna dei migliori Dream Theater. Arriva il pezzo più lungo e prog dell’album: “The place where I belong” è una giostra di atmosfere e funambolismi tecnici e stilistici. L’Hammond dei seventies si prende spesso lo scettro delle operazioni fino a quando Duda detta la melodia trascinante con un cantato in crescendo e molto evocativo. Dal sound dei 70  si torna ai Riverside più classici e granitici di “I’m done with you” che strizza l’occhio ai Porcupine Tree. “Self-Aware” è l’altro singolo che chiude l’album, un motivo ispirato che a tratti ha sentori reggae e poi finisce quasi galattica. Se “Id.Entity” voleva dare un identità definitiva alla musica dei Riverside non so quanto l’intento sia riuscito, a meno che aspirino ad  essere una band spaziale, nel senso libera di spaziare dove e quando vuole nello stile e genere. Perché l’album resta un saliscendi di diverse sonorità ed atmosfere. Io continuo a preferire i Riverside dei primissimi lavori.

Best tracks: “Big tech brother”, “Friend or Foe?”, “Self-Aware”. 7/10