Prolifico come nessun’altro, l’ex chitarrista dei Genesis ha trovato da tempo la giusta e consolidata band e l’entusiasmo di suonare, anche live. Album a ripetizione, sempre di livello ma nessuno lo si ricorda come capolavoro (mi piacque molto “Darktown” del 1999 e “To watch the storm” del 2003), ed anche quest’ultimo non aggiunge nulla di strabiliante a parte l’inserimento di molti strumenti “etnici” (tar, didgeridoo, duduk, quena…) a puntellare le marcate orchestrazioni. “Behind the smoke” apre cadenzata ed orientaleggiante l’album, “Martian sea” ha tanti cori e poi finisce con bel fraseggio di chitarra a duettare con un orchestrazione “sitar oriented” (segnalo Nick D’Virgilio alla batteria), “Fifty miles from the north pole” marca un’ atmosfera misteriosa e tenebrosa in cui Hackett tesse magnificamente la trama e cori fanciulleschi ad apportarne ariosità. “El nino” è uno show chitarristico in cui l’elettrica va a duettare con interessanti orchestrazioni. Dopo l’acustica “Other side…” arriva il brano più coeso e convincente: “Anything but love”. Ancora intrecci vocali e corali interessano “Inca Terra” dal sentore etnico e molto YES, ma poi nel finale, come spesso accade, è un poderoso lavoro chitarristico di Hackett a volere “l’ultima parola”. Idem per la folkeggiante “In another life”. “In the skeleton gallery” è una di quelle track che distinguono l’atmosfera di tutti i lavori del chitarrista. Con “West to east” Hackett ammicca tra ritornello e orchestrazioni, e chiude con quelle note elettriche di “The gift”che lo hanno reso celebre, dolcemente.
Best tracks: “Anything but love”, “El nino”, “ Behind the smoke”. 7/10